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Perché l'Italia non può rinunciare al gasdotto Tap

I grillini, da sempre contrari, oggi alla prova di governo che faranno? Ma la Tap non è una questione solo italiana e tornare indietro non si può

Sergio Mattarella è volato in Azerbaigian, forse per rassicurare che la Tap si farà, nonostante chi nel governo gialloverde ritenga l'opera inutile.

Il ministro per il Mezzogiorno, la pugliese Barbara Lezzi, è contraria e da anni insieme ad altri esponenti grilini ha combattuto dai banchi dell'opposizione contro questa infrastruttura che trasformerebbe la Puglia in un hub energetico, sacrificando uno dei tratti di spiaggia più belli e decine di ulivi.

I numeri della Tap

878 chilometri di lunghezza, tre Paesi attraversati, 10 miliardi di metri cubi all’anno di gas. Questa è la Trans Adriatic Pipeline, meglio nota come Tap, che porterà il gas dell’Azerbaigian fino a Melendugno in provincia di Lecce.

Un progetto che nasce dall’accordo internazionale tra Grecia, Italia e Albania poi ratificato dal nostro Parlamento nel dicembre 2013. È una delle più grandi opere che l’Unione Europea si appresta a realizzare e che libererebbe dalla dipendenza energetica dalla Russia. Per questo la Tap era tanto cara anche a Barak Obama e oggi a Trump.

“Tap rappresenta un progetto vero e non si basa su scenari del gas non attuali. Lo testimonia il fatto che lo scorso 19 settembre a Baku gli interi volumi che porterà il gasdotto sono stati venduti per 25 anni, con un'operazione da 130 miliardi di euro: la più grossa vendita di gas nella storia dell'energia”. Ha detto con tono rassicurante Giampaolo Rossi, Country Manager di Tap, nell'ottobre 2013 nell’audizione in commissione Attività Produttive della Camera, mentre qualche stanza più in là, in commissione Esteri, gli faceva eco l’associazione Re:Common avanzando dubbi sul fatto che la società abbia sede a Baar, paradiso fiscale della Svizzera.

Recentemente, anche l'attuale Country manager di Tap, Michele Mario Elia, ha confermato che si tratterà di "un’opera strategica perché porterà in Europa forniture di gas più competitive, in un contesto di prezzi internazionali in costante crescita. Inoltre, rafforzerà l’indipendenza energetica dalla Russia garantendo una maggiore sicurezza agli stati membri. Grazie a TAP, l’Italia diventerà uno dei principali hub energetici del Vecchio Continente nonché la porta di ingresso del gas azerbaigiano nel mercato europeo”.

Quanto costi l’opera nessuno sa dirlo con sicurezza, ma il 4 luglio il Consiglio di amministrazione della BERS - la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo - ha approvato un prestito fino a 500 milioni di euro per la realizzazione della Tap, avanzando una stima dei costi che si aggira sui 4,5 miliardi di euro. Intanto l'opera doveva chiudersi nel 2019 e adesso le prime consegne di gas sono previste entro il 2020.

Quello che si sa è che l’impianto fino a Melendugno è a carico della multinazionale, poi lo sviluppo fino all’Austria è tutto a carico della Snam Rete Gas Pubblico, società del Ministero del Tesoro italiano.

Nel piano decennale di sviluppo della rete di trasporto del gas naturale pubblicato sul sito Snam si legge che si opererà ai “potenziamenti della rete nazionale al fine di permettere lo sviluppo di nuovi punti di entrata localizzati nel Sud del paese (Linea Adriatica)".

Le altre vie del gas

In particolare il GRIP (piano d'investimento regionale) del corridoio Sud include due progetti, promossi da terze parti, finalizzati all’importazione di gas naturale in Italia proveniente dalle aree del Mar Caspio e, in prospettiva, da ulteriori bacini di produzione del Mediterraneo orientale e del Medio Oriente. In primis è quindi considerato il progetto Trans Adriatic Pipeline (TAP), che consentirà di far arrivare gas di provenienza dell’Azerbaigian in Italia, attraverso la Grecia e l’Albania.

Il gasdotto Poseidon – che collegherebbe l’Italia alla Grecia – potrebbe essere invece successivamente collegato a nuove ulteriori fonti di produzione nel più lungo termine. In coerenza con la realizzazione programmata di nuove infrastrutture che potrebbero approdare nel Sud Italia, Snam Rete Gas ha pianificato la realizzazione di vari progetti che consentiranno di ricevere ulteriori quantitativi di gas naturale da un futuro punto di entrata da Sud, ad esempio per un nuovo terminale di rigassificazione.

Gli interessi degli Usa

Ma le vie del gas non sono tutte azere. Nel 2014, nei giorni precedenti il G7 dell’energia, si era sparsa la voce che il governo italiano, rispondendo all’invito di Barack Obama di rompere l’asse energetico UE - Russia, aveva messo nel congelatore il progetto South Stream che invece avrebbe portato in Europa il gas russo. Un'ipotesi subito smentita dall'allora premier Matteo Renzi.

D'altronde che il cammino per il gas russo sarebbe stato impervio lo aveva anticipato anche l’ex ad Eni Paolo Scaroni in commissione attività produttive della Camera: "Il futuro del gasdotto South Stream lo vedo piuttosto fosco perché la crisi russo-ucraina metterà a rischio le autorizzazioni necessarie dell'Ue; non so se si farà".

Ad oggi Gazprom ha tagliato fuori l’Italia dal tracciato, il gasdotto non passerà più per Tarvisio e giungerà direttamente a Baumgarten, lasciando fuori dal nuovo tracciato anche la Slovenia.

Quello del gas e dell’approvvigionamento energetico è il tema che ridisegnerà la geopolitica. Suona ancora chiaro il monito di Obama a Bruxelles di liberarsi della dipendenza dal gas di Putin che ha legato le mani all’Europa per un’azione chiara a sostegno dell’Ucraina.

Rispetto a South Stream, nato sotto la buona stella dell’amicizia che legava l'ex premier Silvio Berlusconi e Vladimir Putin, la Ue ha sempre mostrato perplessità perché sarebbe l'ennesimo tentativo della Russia di bloccare la politica di differenziazione degli approvvigionamenti di Bruxelles.

Gli azionisti europei di Gazprom

Gli azionisti del gasdotto russo hanno però sangue europeo. Oltre a Gazprom, che detiene il 50%, partecipano l'italiana Eni con il 20%, la tedesca Wintershall e la francese Edf con il 15% ciascuno. Gazprom ha stabilito anche joint venture con aziende provenienti da Austria, Bulgaria, Croazia, Slovenia, Grecia, Ungheria e Serbia per la gestione del tratto "onshore" nei territori di competenza.

Nel 2014 l'ad di Gazprom Alexej Miller in un'intervista a un'emittente russa ha comunicato che il gasdotto raggiungerà le coste bulgare nel dicembre del 2015. "Il South Stream è necessario per la stabilità delle forniture di gas russo ai consumatori europei", data la situazione in Ucraina. 

Il gasdotto South Stream è destinato a trasportare fino a 63 miliardi di metri cubi di gas naturale in Europa, aggirando paesi di transito come l'Ucraina. Per garantire il flusso di metano al South Stream, la Russia amplierà la propria rete di metanodotti realizzando ulteriori 2.446 chilometri di condutture con 10 centrali di compressione, per una capacità totale di 1.473 megawatt. L'intero progetto dovrebbe essere portato a compimento nel 2019.  

Il gas è una questione politica

Insomma, quella del gas è una partita che da tempo sta impegnando le delegazioni europee. Prima che si affacciasse il progetto Tap, la Commissione Ue si era spesa per il Nabucco che avrebbe portato in Austria il gas dal Caucaso. Era nato nel febbraio del 2002 grazie alle compagnie energetiche OMV (Austria) e Botas (Turchia), alle quali si sono aggiunte la bulgara Bulgargaz, la romena Transgaz e l'ungherese MOL; si aggiunsero al progetto e fu firmato un protocollo di intesa per la costruzione del gasdotto.
Nel 2003 poi il progetto ha raccolto l’interesse dell’Unione europea che ha garantito il finanziamento del 50% dei costi dello studio di fattibilità. Nel frattempo si è aggiunta anche la Germania, la Francia ha subito invece il niet della Turchia. Ogni Paese partner dell’opera detiene il 16,67% della società Nabucco Gas Pipeline International GmbH.

Ma nel giugno 2013 il consorzio Shah Deniz ha preferito convogliare il gas azero nella Tap, indirizzando così le decisioni della Ue che si è vista costretta, dopo tanti denari spesi, ad abbandonare Nabucco. Il gasdotto, che nei piani iniziali doveva essere operativo nel 2019 (oggi si parla del 2020), ha accelerato tutti i processi europei e non esclude che una volta completato non possa rimettere in campo la realizzazione del Nabucco West per l'approvvigionamento dell’est europeo.

In questo quadro la Puglia diventerebbe l’hub centrale per la diffusione del gas nel continente europeo perché nel nostro Paese approda anche un altro gasdotto importante, il Galsi, che parte dall’Algeria.

I no Tap tornano in piazza

Intanto i comitati sono di nuovo in piazza a dire no alla Tap, opera che andrebbe ad approdare in una delle parti più belle del Salento e, con un governo che ancora non ha chiaro cosa fare delle grandi opere, la speranza che si possa trovare un altro approdo si riaccende.

Comitati, associazioni e anche il sindaco di Meledugno sono concordi nel dire che l’Europa non ha bisogno di tutto questo gas, un po' perché le rinnovabili hanno sostituito parte del fabbisogno energetico e un po' per il calo generalizzato dei consumi. 

Ad assicurare gli investitori e i Paesi impegnati nella realizzazione dell'opera c'è sempre lui, il mite Sergio Mattarella, che in visita di Stato in Azerbaijan ha assicurato che l'Italia andrà avanti.

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Sara Dellabella