Il rito dei dpcm mira a nascondere i fallimenti amministrativi
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Politica

Il rito dei dpcm mira a nascondere i fallimenti amministrativi

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Il governo di Giuseppe Conte ha oramai una sua odiosa ritualità burocratica, quella di presentare un nuovo dpcm ogni due settimane dopo aver fatto circolare molteplici bozze per testare il polso di opinione pubblica ed enti locali. Tattica sgradevole ma efficace perché capace di oscurare momentaneamente il fallimento amministrativo che ci troviamo davanti nella seconda fase della pandemia. Anche l'ultimo decreto è un modo astuto per mettere i principali problemi sotto il tappeto e nasce con la complicità, seppure mascherata dal reciproco gioco di scarico delle responsabilità, delle Regioni. Dividere l'Italia per livelli di gravità dell'epidemia non è di per sé un'idea maligna poiché dovrebbe prevenire un letale lockdown nazionale che travolgerebbe l'esecutivo sia sul piano economico che politico.

Tuttavia, ancora una volta il collasso del sistema viene scaricato sui piccoli produttori, costretti a chiudere o lavorare a singhiozzo, e sui cittadini, chiamati a sacrificare parzialmente le proprie libertà costituzionali. Coprifuoco, chiusure, limiti alla circolazione sono dispositivi con cui il governo si libera dalle responsabilità di ciò che non è stato capace di fare negli scorsi mesi e regola dal centro la vita degli individui. Le file infinite per eseguire il tampone, la lentezza nel processare i risultati, il tracciamento fallito, la medicina territoriale debole ed incapace di curare a domicilio, la mancata espansione dei reparti Covid degli ospedali, l'incapacità di reclutare e formare personale in breve tempo, gli inutili e costosi banchi rotanti, il trasporto pubblico mai aumentato sono tutti segni del fallimento della macchina dello Stato. Una fragilità amministrativa che va ben oltre questo governo, che ha una durata storica, ma che nelle emergenze condotte da una classe politica debole e priva di leadership mostra ancora di più il fianco.

Lentezze, disguidi, fallimenti che si susseguono nonostante il governo si sia riempito di comitati tecnici, task forces, consulenti e commissari. Siamo sempre più invasi dalla tecnocrazia, dallo sfoggio delle competenze che si affiancano al potere, eppure nessuno riesce a risolvere problemi pratici, organizzativi, che attengono alla catena di comando e alla reale erogazione di servizi ai cittadini. L'esecutivo legifera in continuazione, quando invece dovrebbe essere più coinvolto il Parlamento, ma nessuno sembra in grado di riuscire a mettere in pratica quanto stabilito.

Il Paese è pieno di leggi e regolamenti in cui c'è dentro di tutto, ma ben poco di questa alluvione leguleia diviene pratica. Più che medici e scienziati, certamente da consultare per raccogliere informazioni e disporre protocolli di cura, a fianco del potere servirebbe una iniezione di manager e di organizzatori a tutti i livelli dell'amministrazione per attuare quanto la politica si è prefissata. Ma come nel gioco dell'oca questo ragionamento ci riporta al punto di partenza e cioè alla responsabilità della classe governante. Sia a livello nazionale che locale assistiamo ad una commistione di responsabilità scaricate sui cittadini-contribuenti e ciò non soltanto per il falso federalismo pasticciato del titolo V, ma anche per un sistema che non ha più cinghie di trasmissione né filtri funzionali per selezionare le élite politiche. I partiti sono liquefatti, i governi dipendono oramai più dal quadro economico e dagli equilibri europei che dai risultati delle elezioni, le leggi elettorali non valorizzano la rappresentanza e la responsabilità dell'eletto, la frammentazione e l'opportunismo politico originano coalizioni sempre più male assortite, le Regioni sono dei meri enti di spesa senza responsabilità fiscale, la pletora di consulenti governativi è una ruota che gira a vuoto.

Gli Italiani, che devolvono allo Stato oltre la metà del proprio reddito, meritano davvero tutto questo? Troppo spesso gran parte dell'opinione pubblica si perde nella contingenza politica, dimenticando quanti mali irrisolti il Paese si porta dietro e come non si faccia assolutamente nulla per cercare di risolverli. La pandemia ha scoperchiato tutte queste crepe, ma il tentativo di chi governa è sempre il solito e cioè allontanarsi da qualsiasi presa di responsabilità dei fallimenti dello Stato che ci si parano davanti. E riporre tutto sotto il consunto tappeto del legalismo burocratico e di una pedagogia dall'alto nei confronti dei cittadini sempre più petulante e moralista.

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Lorenzo Castellani