Il governo del disprezzo
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Il governo del disprezzo

Le dichiarazioni di Gentiloni e le nomine di Boschi e Lotti non lasciano molte speranze sulla voglia di imprimere una svolta al Paese

Inutile girarci intorno. La scelta di nominare l’onorevole Maria Elena Boschisottosegretario alla Presidenza del Consiglio, consegnandole una posizione centrale nel governo, rappresenta un atto di alto tradimento della politica. La promozione della madrina della riforma costituzionale clamorosamente bocciata dagli italiani incarna non solo il disprezzo del suo partito nei confronti dei cittadini ma consegna all’antipolitica un argomento insuperabile: questa classe dirigente del Pd è sleale e priva di dignità. Era stata l’onorevole Boschi a guardare in faccia gli italiani prima del 4 dicembre e pronunciare queste parole: "Non esiste un piano b: torno a casa anch’io se vince il no, la mia esperienza politica è finita". 

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Una bugia miserevole. Il fatto che lei abbia chiesto e sollecitato la permanenza in un ruolo chiave del nuovo esecutivo (escludo l’ipotesi che l’Italia non potesse sopravvivere se privata dei servigi istituzionali della Signora…) non può quindi che suscitare politicamente ribrezzo. A confezionare la poltronissima è stato Matteo Renzi, il quale ha pure ottenuto che in consiglio dei ministri trovasse spazio un altro inspiegabile promosso: il fidatissimo Luca Lotti.
Boschi e Lotti costituiscono la tenaglia renziana all’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni. Il neo premier si ritrova con una compagnia di giro nella quale si staglia la figura di Angelino Alfano stavolta nella veste di ministro degli Esteri dopo la fallimentare gestione del ministero dell’Interno. Nel caso del poliedrico Alfano evito di scomodare il richiamo a valori e principi, so che si offenderebbero e neanche poco. Nessuno può affermare che Alfano, il quale è di incerta madrelingua italiana e ignora totalmente la lingua inglese, stia alla Farnesina per meriti e competenze: tremo, sì tremo, all’idea di un bilaterale tra Alfano e il segretario di Stato americano Rex Tillerson, un gigante delle relazioni internazionali e numero uno del colosso Exxon Mobil, e immagino che il nostro faticherà ad andare oltre a un ammiccamento sulle prospettive delle tessere premio carburante. A proposito di disastri sarà interessante seguire le iniziative del nuovo ministro dell’Istruzione e dell’Università, Valeria Fedeli, che nel curriculum espone una carriera più che trentennale come sindacalista dei lavoratori tessili della Cgil: di sicuro l’esperienza del rammendo e del taglia e cuci le tornerà utile per mettere mano alla riforma della scuola.
Ma torniamo a Gentiloni. Le sue dichiarazioni programmatiche sono state tutte un salamelecco a Renzi e a quanto è stata straordinaria la sua opera. Quando alla Camera ha detto di voler "completare" l’opera dell’ex premier un brivido è corso lungo la schiena. Ma siccome non si deve vivere di pregiudizi è giusto giudicare Gentiloni dagli atti che il suo governo si intesterà. Il quadro triste consegnato dopo la crisi di governo - una crisi nella quale Matteo Renzi ha maramaldeggiato oltre ogni soglia di tolleranza - pone il neo premier davanti a una grandissima responsabilità che è presto detta: Gentiloni è chiamato a fare gli interessi del Paese, non i grevi interessi revanchisti e sfascisti di Renzi. Lo verificheremo prestissimo dalla sua capacità di affrancarsi dalla tenaglia Boschi-Lotti (la vedo durissima) e dall’attitudine a spegnere gli incendi e non attizzare nuovi fuochi sociali.
L’Italia dilaniata dall’incontenibile arroganza del renzismo ha bisogno di essere pacificata, di lenire le ferite profonde di uno sviluppo asfittico e per giunta asimettrico tra Nord e Sud. Gentiloni dimostri di essere uno statista, accompagni il Paese alle urne senza strappi evitando di scavare ancora di più il fossato in cui ci ritroviamo. In questo buio, sforzarci di vedere la luce è sempre più faticoso.

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Giorgio Mulè