Il governo bocciato sulla riapertura della scuola
(Ansa)
Politica

Il governo bocciato sulla riapertura della scuola

La mancanza di banchi, docenti, norme certe preoccupa tutti i genitori del paese che hanno percepito l'incapacità ed i ritardi dell'esecutivo

Se esistesse un partito dei genitori imbufaliti, oggi avrebbe la maggioranza assoluta. Sono le mamme e i papà che tra una settimana accompagneranno i loro figli a scuola. Da quel giorno, le famiglie italiane faranno un salto nel buio. Ci sono le aule? Non è dato sapere. Ci saranno i maestri e i professori dietro la cattedra? Non è dato sapere. Che succede se un alunno sarà positivo? Su chi ricade la responsabilità? Che succede se un insegnante si rifiuta di andare a lavorare? Chi lo sostituisce? E se un professore è malato, chi prende il suo posto? E i banchi? Perché non sono arrivati? Perché abbiamo perso giorni preziosi a sparlare di banchi a rotelle? A queste domande nessuno dà risposte: e chi fa scena muta merita la bocciatura senza appello.

Non ve lo perdoneremo, noi genitori. Ci avete costretto a vivere il primo giorno di scuola dei nostri figli, un momento gioioso della vita, come una bomba ad orologeria. Un viaggio verso l'ignoto. Un immenso scaricabarile tra governo, sindacati e presidi sulla pelle delle nuove generazioni.

E non ci si venga a dire che l'epidemia è un bel problema: i genitori lo sanno già. Fin dal primo giorno in cui hanno dovuto apparecchiare tablet e pc in casa, improvvisandosi periti elettrotecnici e trasformando il salotto nell'unità di crisi della Farnesina (con un costo economico non indifferente). Non ci si venga a dire che anche all'estero hanno i loro problemi: è vero, ma solo in Italia siamo rimasti fermi al palo. In sei mesi di tempo, si è parlato solo di scuola: ma alle parole è seguito il nulla. Il nulla personificato dalla disgrazia di avere uno dei peggiori Ministri dell'Istruzione della storia, affiancato da una sfinge di Stato che è il commissario Domenico Arcuri. Lui e la realtà sono come due rette parallele: non si incontrano mai. Fino a ieri continuava a filosofeggiare sulla scuola che riaprirà in sicurezza, sui banchi monoposto per tutti. La realtà è che persino il Quirinale teme il disastro: se i banchi non arrivano, addio al distanziamento sociale e tanti saluti alle lezioni in sicurezza.

Ammesso e non concesso che si trovino le aule, la sorpresa più grande è che mancano le cattedre. Se ne sono accorti adesso, i geni. Oltre 60 mila posti sono rimasti scoperti: le procedure di assunzione sono state un flop, le graduatorie per i supplenti una catastrofe. E questo non veniteci a dire che è un problema sanitario. L'unico vero problema è che il governo, sulle scuole, cioè sul futuro intellettuale ed economico del nostro Paese, si è mosso a rallentatore. Tardi e male.

Per non parlare dei sindacati. Quelli per cui la scuola è roba loro. Quelli che vogliono la paralisi a prescindere. Quelli in cui comandano ancora segretarie, amministrativi e bidelli (sì, bidelli, con tutto il rispetto). Quelli che tengono in ostaggio la gran parte del corpo docente che vede il proprio lavoro come una missione cruciale, non come una busta paga da ritirare. Sarà difficile ripartire, se al primo starnuto si sciopera.

Tutto questo non ve lo perdoneremo. Perché sappiamo che è difficile risolvere i problemi in tempi di Covid. Ma è impossibile risolvere i problemi, se non li si ritiene importanti. Chi aveva la responsabilità di pianificare fin da marzo la riapertura delle scuole, ha commesso il più grave dei sacrilegi: si è dimenticato che dal servizio scolastico nazionale non dipende solo la pagella dei nostri figli, ma anche il posto di lavoro delle madri, il servizio di baby sitting dei nonni, la serenità di intere famiglie, la qualità del futuro dei nostri ragazzi, in buona sostanza l'economia del paese, per chi guarda al di là del proprio naso.

Insomma, se ci siamo ridotti così, a una settimana dalla riapertura, è perché qualcuno ha pensato che le discoteche fossero più importanti delle scuole. E forse, questo qualcuno, a scuola dovrebbe tornare.

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Federico Novella