De-Benedetti
ANSA/FABIO FRUSTACI
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Grandi Vecchi alla riscossa

De Benedetti, Del Vecchio, hanno 80 anni ma ancora la voglia di lottare e strigliare manager e figli

«Capisco che i miei figli non amino il giornale, però smettano di distruggerlo». C’è chi a 84 anni passeggia fuori stagione sulla spiaggia di Alassio con il labrador, chi osserva i cantieri della metropolitana addormentandosi su una panchina e chi si prepara all’ultima battaglia. La più assurda e difficile, quella contro la prole alla quale aveva affidato l’azienda. Quindi contro se stesso. Carlo De Benedetti a caccia del 29,9 per cento del gruppo Gedi perché i conti vanno male e l’azione vale 23 centesimi («so che il prezzo è basso, ma hanno fatto un disastro») non è solo un fremito da pagina dell’economia o il capriccio senile di un signore annoiato. È un gigantesco colpo di scena hollywoodiano, è l’uscita del faraone dalla piramide in una notte di luna piena per riprendersi la scena.

I figli Rodolfo e Marco, intanto, difendono la poltrona di comando di Repubblicae ricevono schiaffi in silenzio, anche dalla redazione dove sono partiti gli applausi per l’Ingegnere e nessuno si è sognato di dire una sola parola in loro favore. Hanno respinto l’offerta al mittente considerandola una miseria e probabilmente non si capacitano del ritorno di paparino con la scimitarra. Proprietario del colosso Kos - 81 fra residenze per anziani e strutture mediche per un totale di ottomila posti letto ottenuti con sostanziosi accreditamenti pubblici - è impensabile che non abbia trovato un attico vista mare per sé. Eppure gira in tondo con aria da raider dalle parti di Largo Fochetti, vittima di un dinamismo da trentenne, prefigurando di ricomprare-risanare-regalare (verbo per lui privo di significato dalla nascita) il gruppo a una fondazione.

Sembra una follia, un eccesso di stizza. Invece il ritorno dei grandi vecchi è una elettrizzante tendenza che manda al rogo l’ennesima sgangherata profezia di Steve Jobs: «In questo momento il nuovo sei tu, ma fra non molto sarai il vecchio e verrai spazzato via». Ma davvero? Leonardo Del Vecchio, Luciano Benetton, Silvio Berlusconi, Giuseppe De’ Longhi, Ferruccio Ferragamo. E prima di loro Bernardo Caprotti, Pietro Barilla, Maurizio Borletti, la famiglia Busnelli, vincenti nel riconquistare l’azienda. E nel mondo colossi come l’indiano Ratan Tata o l’estemporaneo miliardario statunitense Warren Buffett, che non si è dovuto riprendere niente ma è un esempio devastante per ogni catena di comando politicamente corretta: lui ha 89 anni, il suo vice Charles Munger 95 e il delfino Tony Nicely 75, un liceale. La squadra degli ottantenni potrebbe vincere la Champions league della finanza.

Se anche De Benedetti dovesse riuscire nella scalata-bis ai gioielli di famiglia arriverebbe secondo, dopo Bernardo Caprotti che nel 2011 riprese il controllo di Esselunga allora di proprietà dei tre figli. Gliel’aveva data lui attraverso una fiduciaria, s’era tenuto solo l’8 per cento, ma un giorno andò a fare la spesa, ne uscì disgustato e decise di tornare a battere cassa. Gesti estremi ma non estranei al capitalismo familiare, capace di colpi di mano e di romantici ritorni a casa. Come quello di Pietro Barilla, gigante della pasta italiana, che nel 1975 vendette la sua creatura alla multinazionale statunitense Grace per ricomprarla quattro anni dopo in nome dell’italianità. E non senza sofferenze. Un giorno disse: «Nel 1978 non avevo ancora la cifra in cash e davanti ai manager di Grace rimasi così male che mi misi a piangere».

Tre anni fa, quando ha deciso di rientrare in Luxottica perché avvertiva sinistri scricchiolii, l’allora ottantunenne Leonardo Del Vecchio lo ha fatto in sordina, ma con decisione. Benservito all’a.d. Adil Khan, di nuovo pieni poteri per sé, mentre l’ex top manager Andrea Guerra sceglieva la via della Leopolda renziana. Il maggior gruppo mondiale degli occhiali aveva di nuovo il fondatore sulla tolda. Perché? «Si tende a dare sempre più importanza ai manager» spiegò. «Ma ciò che veramente conta sono le idee, la visione imprenditoriale, la capacità di guardare lontano. Il manager si concentra sulle tecniche di gestione e a volte si dimentica di chiedersi se il prodotto che fa è buono o cattivo».

Con la stessa determinazione un mese fa, a 84 anni, Del Vecchio è andato all’assalto di Mediobanca. Ha scelto l’11 settembre, data simbolica, per scuotere il salotto di Piazzetta Cuccia e in una settimana ha rastrellato il 6,94 per cento delle azioni. Un blitz in piena regola, senza annunci, senza avvisaglie, da grande condottiero silenzioso. Semplicemente l’a.d. della banca d’affari milanese Alberto Nagel è accusato dal numero uno di Luxottica di poco coraggio, se non di immobilismo. Agli amici Del Vecchio ha rivelato che «si aspetta un cambio di passo» ed è pronto a salire al 14 per cento. A quel punto la sua non sarebbe solo una secchiata d’acqua gelata per la sveglia, ma l’indicazione della porta d’uscita. Gli economisti da salotto ce l’avevano venduta come la stagione delle agili gazzelle bocconiane con master a Harvard, invece è sempre quella degli orsi grigi. Riflessivi, apparentemente lenti, con gli occhiali sulla punta del naso e il plaid sulle ginocchia, ma determinati a colpire senza scampo negli anfratti della foresta finanziaria. Saggi e letali. Pronti a sussurrare ai giovani, parenti o no, la strofa di Paolo Conte: «Come disse Atahualpa o qualche altro dio, descansate niño che continuo io».

Più o meno il senso di ciò che ha detto Luciano Benetton alla famiglia tornando a 82 anni sul ponte di comando. Nessuna faida, ma l’accettazione dura (per i figli) di un dato di fatto: l’azienda aveva bisogno del totem. Poche taglienti parole quando ha fatto piazza pulita del passato, sostenuto dalla sorella Giuliana, due anni meno di lui: «Nel 2008 avevo lasciato l’azienda con 155 milioni di fatturato, la riprendo con 81 di passivo. Mentre gli altri ci imitavano, la United colors spegneva i suoi colori. Ci siamo sconfitti da soli e negozi che erano pozzi di luce sono diventati bui e tristi come quelli della Polonia comunista. Sono tornato a metterci la faccia, nel 2020 tornerà in attivo anche il bilancio». Parole dolci per gli oltre 7 mila dipendenti, micidiali per il sangue del suo sangue. Una restaurazione completata tre mesi fa quando è stato richiamato in ufficio - nel suo ufficio - Gianni Mion (76 anni), il vero ingegnere finanziario dell’impero, colui che 30 anni fa seppe trasformare gli artigiani dei maglioncini in una delle più potenti famiglie italiane. E che oggi deve occuparsi della successione dei talenti.

Due ulteriori rientri vip hanno lasciato strascichi ribollenti di retroscena. Uno è quello di Ferruccio Ferragamo (73 anni) nel quartiere generale fiorentino di una delle griffe del lusso più famose del mondo. Presidente e amministratore delegato ad interim, dentro lui e fuori il delfino di turno, Eraldo Poletto, dopo soli 18 mesi e dopo una significativa flessione della redditività. Frase definitiva e molto british per motivare la decisione: «Era un bravo manager, sul quale avevamo puntato per l’esperienza nel retail e nel marketing, ma è sopraggiunta una diversità di vedute strategiche. Ne abbiamo preso atto e ci siamo lasciati in buoni rapporti».

L’altra «riconquista» alla spagnola è quella di Giuseppe De’ Longhi (80 anni, trevigiano, 3,3 miliardi di patrimonio netto), l’artefice del successo della multinazionale dei piccoli elettrodomestici, tra macchine per il caffè, robot da cucina, climatizzatori e aspirapolvere, arrivata a 2 miliardi di ricavi. Ha deciso che il futuro digitale va cavalcato nel modo giusto e a guidare la rivoluzione intende esserci lui. Tutto ciò somiglia a una foto immortale di Robert Capa, scattata in Sicilia nel 1943 dopo lo sbarco americano: raffigura un pastore locale che indica con un bastone la strada per Palermo a un giovane soldato palestrato. Il marine dell’Iowa accosciato è alto come il vecchio picciotto in piedi. Ma è quest’ultimo a indicare la strada al ragazzone. L’uno ha dentro di sé gioventù e forza, l’altro la bussola del tempo. 

«Onora il padre» scriveva Tommaso Berger vent’anni fa urlando al tradimento filiale. E scalava le classifiche della saggistica dopo avere scalato quelle dei redditi con marchi come il caffè Hag, le acque minerali Fiuggi, Sangemini, Ferrarelle, Levissima, Uliveto e la pomata Vegetallumina. Storie di dolore e di tribunali, di imperiosi ritorni e di cessioni per monetizzare. Onora il padre è la metafora di Ratan Tata (81 anni, la gerontofebbre non è solo italiana), che cinque anni fa aveva lasciato la tolda dell’impero indiano dell’acciaio, dell’auto (anche Jaguar e Rover), della finanza. Ma dopo due bilanci a precipizio è tornato nottetempo a Mumbai a silurare il presidente Cyrus Mistry contro il parere dei figli e rischiando una crisi di governo. Ha abbandonato lo yacht per rientrare a osservare i mercati dal forziere di Paperone. È l’azionista numero uno, il primo cent fu del nonno. «Avevo il diritto, anzi il dovere di farlo».

Ottantenni con la nostalgia del comando. Il fenomeno è dirompente, controtendenza, quindi televisivo. Non a caso l’ultimo successo Hbo s’intitola Succession, serie tv in onda su Sky Atlantic dove padri e figli si scannano per il potere dentro la famiglia Roy, top nei media. La rivista Variety spiega che l’autore Jesse Armstrong ha preso spunto da Rupert Murdoch & Sons. Ma la fiction potrebbe essere facilmente ambientata in Italia. Per una volta non ad Arcore, perché Silvio Berlusconi (83 anni) di sta muovendo con i mezzi corazzati non contro i figli e il management ma a favore. Preoccupato per l’assedio di Vincent Bolloré a Mediaset, il Cavaliere ha fatto arrivare gli ussari del fondo Peninsula (guidato dall’ex top manager di Mediobanca, Stefano Marsaglia) con un miliardo fresco per supportare Piersilvio nella realizzazione di MediaForEurope, il nuovo polo europeo della TV in chiaro, e per blindare l’azienda di famiglia. Si è messo di nuovo davanti a tutti a prendere il vento in faccia, leader napoleonico fino in fondo.    

Diceva Benedetto Croce che «la cosa migliore che possano fare i giovani è invecchiare». Più che un destino, una condanna. I gerontoleoni l’hanno preso in parola e a due mesi dal 2020 continuano a immaginare la foto di famiglia simil-Buckingham Palace anni Cinquanta. Con i padri in piedi, la mano protettiva appoggiata sulla spalla delle madri in crinolina. I figli stanno al loro posto più in basso in pantaloni alla zuava e ciuffi da Guerra e Pace appiccicati alla fronte. Innocui e annoiati come i levrieri accucciati.

Si divertano pure con le blockchain e i bitcoin, l’importante è che non facciano danni. In molti lo pensano, De Benedetti lo ha spiattellato chiaro. Peraltro Rodolfo e Marco hanno un vantaggio decisivo sui colleghi in ritirata: per conoscere le novità di famiglia non devono neanche invitare a cena il vecchio e stappare un Sassicaia per rabbonirlo. Basta che accendano la tv alle 20.30, lui sta spiegando tutto a Lilli Gruber. n

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Giorgio Gandola