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ANSA/ ALESSANDRO DI MEO
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Grandi opere in Italia: perchè non partono

Alta velocità Brescia-Verona. Metro di Torino e Roma. Manca il piano economico-finanziario. Perchè chi dovrebbe prepararlo non lo prepara...

L’alta velocità fra Brescia e Verona? È ferma. I lavori del Terzo valico di Genova? Bloccati. La Metropolitana di Torino? Non si riesce a completare la fase istruttoria. E quella di Milano? Manca la definizione del piano economico-finanziario. Sono solo i casi più eclatanti di quel che non sta succedendo alle grandi opere che il presidente del Consiglio Matteo Renzi invoca a ogni piè sospinto per rafforzare la richiesta di una maggiore flessibilità sui conti pubblici in Europa. Ancora poche settimane fa il governo ha mandato a Bruxelles una serie di progetti da finanziare appunto con i soldi che chiediamo di poter spendere in più.

Si vedrà con quali risultati (anche alla luce dell’inevitabile spostamento di risorse richiesto dall’emergenza terrorismo). Ma intanto, come si comporta l’Italia in questo settore giustamente considerato cruciale per la crescita economica? È qui che si incontra la storia sconcertante della Struttura tecnica di missione del ministero Infrastrutture e Trasporti.

A questa unità operativa è stata affidata per molti anni la predisposizione, dal punto di vista tecnico, economico e normativo, dei grandi interventi nelle infrastrutture del Paese. Superstrade, corridoi ferroviari, porti, linee metropolitane e molte altre opere erano valutate da una trentina di consulenti incaricati di istruire le pratiche prima dell’esame del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), che avrebbe stanziato i soldi necessari.

Tutto questo è andato avanti fino a marzo dello scorso anno, quando Ercole Incalza, dirigente pubblico di lunghissimo corso del settore dei trasporti che aveva messo in piedi questa squadra, è incappato in un’accusa di corruzione, turbativa d’asta e altro che lo ha portato prima in carcere e poi agli arresti domiciliari. A quel punto il meccanismo si è bloccato, anche perché nei giorni immediatamente successivi sono arrivate le dimissioni dell’allora ministro dei Trasporti Maurizio Lupi.

A lui è subentrato Graziano Delrio, già titolare dell’importantissima poltrona di sottosegretario alla presidenza del Consiglio, lasciata per il nuovo incarico. La struttura di missione è stata azzerata e i badge dei superconsulenti non hanno più funzionato nemmeno per consentire l’ingresso nella sede del ministero, in piazzale di Porta Pia.

Le motivazioni di questa mossa si possono facilmente immaginare: le vicende di Incalza da una parte e di Lupi dall’altra (dimessosi in seguito alle rivelazioni su un Rolex relegato al figlio da uno degli arrestati dell’inchiesta) hanno reso la Struttura di missione un’eredità imbarazzante, da cui il nuovo ministro ha deciso di tenersi alla larga. Lo stesso Delrio, del resto, non è mai sembrato entusiasta del nuovo incarico (vissuto a quanto pare come una “diminutio” rispetto a quello precedente) e non stupisce che abbia preferito stare defilato per evitare incidenti di percorso.

In teoria, azzerata la struttura tecnica di missione, le sue funzioni avrebbero dovuto essere svolte dalle diverse direzioni del ministero dei Trasporti, ma evidentemente queste non sono state in grado di dare corso (o non hanno voluto) alle iniziative avviate negli anni passati. Né lo ha fatto la nuova struttura di missione affidata nel frattempo all'economista Ennio Cascetta. Il risultato è il blocco delle infrastrutture che dovrebbero contribuire al rilancio dell’economia e al superamento della crisi.

Oltre alla ferrovia Brescia-Verona, al terzo valico di Genova e alle metropolitane di Milano e Torino stanno accumulando ritardi importanti anche l’autostrada Orte-Mestre, la linea C della metropolitana di Roma, la Verona-Padova, l’alta velocità fra Palermo-Catania-Messina e il nodo alta velocità di Bari.

Poiché nessuno prepara le istruttorie, i lavori non vengono programmati né finanziati. Basta scorrere l’ordine del giorno delle riunioni del Cipe (pochissime) che si sono tenute della seconda metà del 2015 a oggi per rendersi conto della situazione. Il danno è misurabile anzitutto in mancati investimenti (4-5 miliardi secondo un calcolo approssimativo). Per non parlare della mancata attivazione dei fondi del piano Junker (risorse europee che hanno bisogno di essere affiancate da capitali pubblici e privati nazionali) e delle conseguenze negative derivanti dal ritardo con cui saranno approntate le opere in questione. Con buona pace delle promesse fatte da Renzi in Europa per ottenere la flessibilità di bilancio di cui l’Italia avrebbe tanto bisogno.

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Stefano Caviglia