Giuseppe Conte, il "trasformista"
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Politica

Giuseppe Conte, il "trasformista"

Ospite a "Otto e Mezzo" il direttore di Panorama, Maurizio Belpietro, ha presentato il libro dedicato al premier e parlato dell'attuale situazione politica

Conte è machiavellico innanzitutto nel rimanere a Palazzo Chigi dove prima era alleato con la Lega e poi ha cambiato passando a fianco del Partito Democratico, anzi addirittura con Leu che è tutto da spiegare. Prima infatti si diceva orgogliosamente populista, oggi si sente, e lo dice, vicino alla sinistra con Zingaretti che lo ha considerato un punto di riferimento "essenziale". L'abilità camaleontica di Conte è sotto gli occhi di tutti. Non risponde mai con precisione ma cerca sempre di mantenersi aperte diverse possibilità: è europeista, poi dice che l'Europa è da cambiare. Dice che è contro la Tav ed attacca Macron, poi dice che la Tav è da fare. Lo stesso per il Tap, l'Ilva, Alitalia. Per non parlare di autostrade, che ancora non sappiamo come finirà. Fa l'avvocato ed anche in politica si comporta come tale, ma non l'avvocato del popolo, come si definiva. E' più l'avvocato di se stesso.

E' stato sicuramente sottovalutato, come politico, chiamato il "Burattino" dei vicepremier ma ora ci rendiamo conto che un'abilità gli va riconosciuta. E' anche molto popolare tra la gente ma ricordo che la stessa cosa accadde con Mario Monti, che da premier aveva un gradimento altissimo, poi quando è sceso in campo con un suo partito alle elezioni ha preso il 5%. Quindi bisogna attendere la prova dei fatti, più che quella delle parole.

Il centrosinistra cerca di fare sostanzialmente quello che ha sempre fatto, con questo ritrovo nel convento di Rieti. Cerca per prima cosa di trovare un nuovo nome, e di nomi nel centrosinistra ne hanno cambiati diversi negli ultimi anni. Cerca poi di trovare un aggancio nella cosiddetta "società civile": oggi sono le "Sardine" ma anni fa ricordiamo i Girotondi, poi il "Popolo Viola" per cercare di trovare nuovi spunti. Ma in realtà non fanno mai una riflessione seria su quelle che sono le ragioni che hanno portato il partito ad essere sempre più debole, al di là del suo nome. La sostanza rimane sempre la stessa. Tempo però che dietro questo incontro ci sia una ragione molto più semplice e banale; siamo infatti alla vigilia delle elezioni regionali in Calabria e soprattutto in Emilia Romagna che sono molto importanti per il Partito Democratico dato che proprio in quella terra, da sempre, c'è il cuore del voto del partito comunista. Perdere quella regione sarebbe devastante e così Zingaretti con questa riunione nel conclave cerca di raccogliere la simpatia ed il sostegno delle Sardine, aprendo a loro le porte del Pd, nella speranza che tra 13 giorni queste votano Bonaccini.

Io penso che il M5s si spaccherà perché è composto da mille anime, troppe. E stato un movimento che anni fa è riuscito ad intercettare un cambiamento nella società, la protesta. Ha offerto proposte, idee, su temi importanti come l'ambiente. Oggi però è cambiato. Oggi è composto da gruppi che hanno idee totalmente diverse; un pezzo del Movimento vuole appoggiare Conte, altri invece vorrebbero tornare con la Lega e non stanno bene con il Pd. Credo che si romperà, forse una scissione, forse guidata da Di Battista o dallo stesso Di Mio, che punta ad un partito dall'animo più rivolto verso il sud. Ma questo credo sarà il destino del partito di Grillo.

In generale viviamo un periodo di politica molto volatile e sono pochi, se ci sono, i partiti che possono dirsi "stabili". Pensate ad esempio al M5S che nel 2018 alle politiche conquistò il 34% ed ora ha i voti meno che dimezzati. Giorgia Meloni oggi insidia Matteo Salvini e non solo per motivi personali. Riesce infatti ad intercettare il voto di chi è di centrodestra ma non vuole votare Salvini ma raccoglie anche i voti degli scontenti del sud che avevano appoggiato e sostenuto DI Maio. Anche la Meloni ha detto che se la Borgonzoni dovesse vincere in Emilia si torna al voto. In realtà non c'è nessuna conseguenza diretta, ma è solo logica politica, non c'è nessun obbligo. Abbiamo visto che a nulla sono servite le vittorie in Umbria, Piemonte ed in tutte le altre regioni che erano governate soprattutto dalla sinistra. Ma, ripeto, non è scritto da nessuna parte che in caso di vittoria del centrodestra in Emilia si debba poi andare al voto e sciogliere le camere.

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Maurizio Belpietro