Fermate i governatori del Sud
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Fermate i governatori del Sud

Ingovernabilità, arresti, paralisi. Campania, Calabria, Sicilia sono il triangolo "maledetto" d'Italia

Togliete il Sud alle istituzioni e affidatelo agli stregoni, ai guaritori di spiriti. Non è solo Roma la frontiera d’Italia, la città che va redenta. Esistono tre regioni sventurate, tre crateri del Meridione, che non sono amministrate ma consegnate a tarantolati, appese alla magistratura, dimenticate dal cielo.

In Calabria da sette mesi si attende la formazione di un governo regionale e gli unici assessori indicati sono già stati allontanati dalle indagini e dalla polizia. In Sicilia in due anni si sono avvicendati 35 assessori, più di due al mese, non uomini di responsabilità ma alimenti che scadono ogni quindici giorni. In Campania si forza e si storpia il diritto per incoronare governatore Vincenzo De Luca eletto ma sospeso e riammesso.

C’è dunque un luogo impenetrabile, un abisso di maledizione, che non solo Matteo Renzi ha dimenticato ma che ha definitivamente assegnato ai protettori di anime morte, ai guardiacaccia delle clientele. Ad aggiornare infatti la mappa della malversazione pubblica nei consigli regionali si è aggiunta la Calabria che solo pochi mesi fa Renzi proclamava liberata. Chi tenta di comprendere cosa sia la rottamazione in questo spazio che lo Stato contende alla ‘ndrangheta qui troverebbe gli strumenti per decifrarla.

Calabria

In Calabria sono trentuno i consiglieri regionali, passati e presenti, perseguiti per peculato: più di un milione di euro di denaro dissipato nell’orgia dell’illegalità e con la serenità di chi sa di essere impunito e pure promosso. Per evidenti meriti da caporale del voto, il governatore del Pd, Mario Oliverio, ha infatti indicato come assessore ai lavori pubblici proprio il democratico Nino De Gaetano che oggi è ai domiciliari e che prima era stato già denunciato per voto di scambio. Rosy Bindi, che qui è stata eletta e che da presidente della commissione antimafia ha stilato la lista degli impresentabili, due giorni prima dell’arresto così si è espressa su Di Gaetano: «Il caso è chiuso. Oliviero ha rivendicato la giustezza della sua scelta».

In una giunta, che va ripetuto dopo sette mesi non si è costituita, il vicepresidente designato Enzo Ciconte, con delega pensate al Patrimonio e al Bilancio, è indagato per la sottrazione di più di 70 mila euro e ha rimesso il mandato, un altro assessore Carlo Guccione è anche lui accusato di latrocinio. Per allargare la giunta da cinque a sei e aprirla a uomini fedeli al comando, Oliverio si è messo a lottare e modificare lo statuto della sua regione che se anche fosse un problema sarebbe sicuramente il minore. «E basti pensare che in questo stallo si è pensato di far partire i depuratori solo a giugno, di polverizzare risorse per 500 mila euro in feste e sagre, di certo tutto eccetto che governare» dice Wanda Ferro che è stata candidata per Forza Italia alla guida della Calabria ma che come miglior perdente non è entrata in consiglio comunale, «e mi sembra che neppure in Uganda sia possibile una cosa simile».

Dal 2 marzo anche la Calabria, come la Sicilia, è una terra smembrata dal crollo di un viadotto e si raggiunge solo con gli aerei come nelle zone pluviali. In Sicilia, non è parodia, l’interruzione dell’autostrada Palermo-Catania è la causa che ha portato alle dimissioni l’assessore alla Funzione Pubblica, Ettore Leotta. In quell’altro cerchio senza governo che è l’isola, il presidente Rosario Crocetta per sostituire lo stremato Leotta ha resuscitato un camaleonte della politica come Giovanni Pistorio, un intendente dell’ex presidente Raffaele Lombardo che oggi è sotto processo a Catania per concorso esterno in associazione mafiosa. Con Crocetta è dunque ritornato a cavallo non solo un uomo di quel governo caduto sotto l’onta della mafia ma un intero universo. È a Pistorio, da ex assessore alla sanità, che si deve l’assunzione di tremila sfaccendati regionali (e in Sicilia gli stipendiati dalla regioni sono quasi 50 mila) e quindi il suo personale contributo al disfacimento delle finanze pubbliche.

Il Pd e il Sud

Dalla Calabria alla Sicilia l’unico controllo di Renzi è delegato agli ispettori della sua Leopolda che come quelli dello scrittore russo Gogol mettono paura ma si accordano nei sottoscala con il vecchio reparto di sopravvissuti. «E questo sarebbe il minimo, il vero dramma è che Matteo Renzi non sa neppure dove sia situato il Sud. Mi dispero per la demenzialità del Pd» dice da Nord il filosofo Massimo Cacciari che quando torna nel Mezzogiorno si silenzia «anche a me, non si direbbe, a volte, manca la parola». In Calabria la guardia di Finanza è riuscita a documentare la testimonianza d’epoca del Sud rapace, la piccola grande miseria di queste regioni che già Piero Calamandrei definiva «catafalchi di Stato».

Chi può veda questo video di pochi minuti dove si smaschera il collaboratore del senatore dell’Ncd, Gianni Bilardi, mentre riporta un televisore in consiglio regionale come fosse un Diabolik di mezza tacca. Si parla degli stessi consiglieri calabresi oggi indagati che con Renzi non solo hanno ottenuto la riconferma ma non accennano a dimettersi. Non c’è renziano del Nord che non ammetta la ferita di questo Sud a cui Renzi aveva promesso il ministero della Coesione Territoriale che non solo non ha nominato ma ha eliminato dalla cronologia di Palazzo Chigi. «Abbiamo cucinato con gli ingredienti che avevamo e abbiamo imbarcato anche quel corpaccione vecchio, clientelare, è inutile nasconderlo» raccontano a Napoli i renziani che le hanno provato tutte da Pina Picierno a Gennaro Migliore. Lo sa anche Renzi che il Sud non riparte se non si strappa la pianta cattiva dei cognomi, lo stemma di famiglia.

Campania e i figli illustri

La Campania, che è la seconda regione d’Italia, non ha solo quel consiglio regionale disarcionato in attesa della pronuncia di un tribunale sulla sospensione di De Luca, ma anche un comune governato da un sindaco insubordinato alla legge, Luigi De Magistris, in lotta contro la toga che lui stesso ha indossato, e contro il galateo: «È da anni che cercano di fottermi, ma non ci riescono». Come vedete non sono regioni ma spazi aperti all’arbitrio, alla violenza del prepotente di successo. Mentre si scrive nella vicina Puglia il toro scatenato Michele Emiliano, appena eletto governatore, con l’impudenza del politico al di sopra di tutto ha scelto come portavoce la sua compagna e va da sé "solo per meriti professionali".

«E’ tribalismo. Prendete la Campania. Solo un partito guidato da folli, come è il Pd poteva candidare De Luca. E non è neppure colpa sua. Un partito serio non lo avrebbe candidato. Il rischio è il contenzioso infinito» aggiunge di nuovo Cacciari. In Campania i partiti sia di maggioranza che di opposizione hanno scelto come capigruppo i pargoli di Cesaro e Casillo, due sottoprodotti del gavismo, e si intende quell’Antonio Gava che per farsi nominare presidente di provincia rinchiuse un consigliere in un baule. Con un governatore che Renzi stesso ha sospeso, il Pd in regione ha eletto a suo faro in aula appunto Mario Casillo che non ha solo il blasone del padre ma può vantare un’indagine per spese allegre e un rinvio a giudizio dalla procura di Napoli. E sono sempre figli mandati avanti dai padri: Gianpiero Zinzi, Enza Amato, Bruna Fiola, tutto un vivaio di piccoli “Trota”, che nuotano sotto il Vesuvio.

La Campania che era riuscita nel mezzo miracolo, far presentare a ogni comune un progetto da finanziare dalla Ue, non è solo paralizzata ma non ha neppure un camerlengo, la figura di trapasso che ogni sistema prevede durante la sede vacante. «E senza legale rappresentante rischiano di perdersi anche 50 milioni di euro, risorse che eravamo riusciti a ritagliare e destinare per l’emergenza Whirpool» dice Severino Nappi, ex assessore campano al lavoro. Insomma, c’è più della furbizia e del cavillo nel labirinto di scartoffie che maneggia De Luca e suoi avvocati. In Campania si sta erigendo il mausoleo della giurisprudenza, si sta sperimentando la democrazia per via giudiziaria. C’è un unico filo rosso in questo Sud che si sottrae alla stabilità.

Sicilia

A Palermo da due anni si è sparso il contagio populista di derivazione tropicale impersonato da Crocetta, il caudillo con il poncho che fa socialismo svuotando le casse e berciando verso Roma e verso il sottosegretario renziano Davide Faraone che vuole addirittura portare alla sbarra e che paragona a Vito Ciancimino e a Salvo Lima.

A Roma, sia Renzi che Faraone non sanno ancora come destituire Crocetta a cui hanno arrestato pure il medico personale che voleva scolpirgli gli addominali gratuitamente con i soldi della sanità pubblica. «E di certo è arrivato il momento di mettere fine a questo disastro e nelle prossime settimane lo faremo» dicono dal Nazareno se solo riuscissero a fare dimettere i consiglieri siciliani appesi al seggio come le ostriche con i gusci. Con un’operazione di finanza spericolata il bilancio della regione Sicilia è stato chiuso utilizzando fondi europei e nel 2016 è già certificato un buco di bilancio da 3 miliardi di euro, a luglio si rischia di non pagare i dipendenti della province che solo qui resistono alla memoria e alle disposizioni dello Stato centrale che le aveva abolite. A tre giorni dalle elezioni amministrative il governo Crocetta ha condotto una fiumana di abusivi nel porto sicuro della sanatoria, 30 mila domande, grazie a una circolare che legittima l’abusivismo in zone di vincolo.

Ebbene, non sono queste regioni piccoli satelliti della Grecia o un guasto dello sviluppo dei paesi mediterranei. La verità è che c’è una fascia nel planisfero Italia che è in ostaggio di un branco di satanassi, un’antropologia speciale che sta sopravvivendo, si sta adattando al tweet e che Renzi ha abbracciato. In questo Sud primitivo è infatti avvenuta la definitiva involuzione della natura: il passaggio da territorio smarrito a campo infetto, da città a foresta, da problema della storia a dannazione eterna.


 

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Carmelo Caruso