Europa, crisi, simbolo, muro crepato
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L'Europa lontana dalla gente ma con le scarpe riciclabili

Bruxelles ha finanziato un progetto per la creazione di scarpe "green". L'esempio di spreco e della distanza dalla vita reale di questa istituzione

Avete mai sentito parlare delle scarpe da ginnastica che si trasformano in albero? Era un progetto piuttosto strampalato, presentato all’Ue da un’azienda olandese: quest’ultima produceva calzature sportive che, una volta dismesse, non andavano buttate  fra i rifiuti, ma sotterrate in giardino e innaffiate. Gli inventori assicuravano che sarebbero germogliate producendo piante profumate. Lo giuro: piante profumate che nascono dalle suole puzzolenti. E siccome la trasformazione sarebbe stata, oltre che un miracolo botanico, anche un contributo alla riduzione dell’immondizia continentale, gli inventori  pretendevano non solo applausi ma pure un robusto sostegno economico a carico dei contribuenti europei. Assurdo? Mica tanto. Nelle apposite sedi istituzionali, infatti, il bizzarro progetto è stato sostenuto con vigore da molti eurodeputati. Fra cui anche un italiano, purtroppo.

Non c’è da stupirsi, per altro. Il medesimo eurodeputato italiano, nella sua brillante carriera fra Strasburgo e Bruxelles, si è battuto anche per finanziare la produzione di energia elettrica su vasta scala attraverso l’utilizzo di moto d’acqua; i satelliti capaci di prevedere i terremoti (cosa notoriamente impossibile) e dei bizzarri e costosi wc ecologici. Tutto naturalmente avrebbe dovuto essere finanziato dai contribuenti europei. I quali, considerando in modo particolare l’ultima proposta, avrebbero se non altro buone ragioni per dire che i loro soldi vengono buttati nel cesso. Letteralmente.

Quando qualche tempo fa un’eurodeputata mi ha chiesto un contributo critico sulle spese delle istituzioni europee, non so perché, ma mi sono venuti subito in mente questi episodi. E mi sono tornati in mente anche oggi quando Mauro Querci, pivot di Panorama e badante del Grillo Parlante, mi ha suggerito una riflessione sull’Europa. In effetti di Europa si parla molto in questi giorni, sia perché molti hanno visto nell’incendio di Notre Dame il simbolo del Vecchio continente che ha ormai perso le sue radici, sia perché, molto più prosaicamente, è entrata nel vivo la campagna elettorale per l’Europarlamento. In bocca al lupo a tutti, naturalmente. Ma, chissà perché, non riesco a togliermi dalla testa che forse molti di questi candidati, tra qualche mese saranno impegnati a promuovere le scarpe da ginnastica che si trasformano in albero o altre simili scempiaggini.

L’Europa, infatti, purtroppo non esiste. O meglio esiste sulla cartina geografica e nei nostri cuori. Ma quella che abbiamo realizzato, cioè l’Ue, è lontana anni luce da quello che molti speravano fosse, a cominciare dai suoi fondatori: è un comitato d’affari, una reception per lobby, una macchina per distribuire soldi a chi ne ha già, una specie di Robin Hood al contrario insomma, un mostriciattolo burocratico che in tutti questi anni non è riuscito a fare uno straccio di politica estera comune (vedasi Libia), di politica sociale comune, di politica dell’immigrazione comune, di politica della difesa comune. Ha fatto solo l’euro, purtroppo per noi, facendo credere al mondo che dall’unione dei portafogli poteva nascere l’unione dei popoli. E mai previsione fu più sbagliata, come è evidente a tutti.

Oggi, infatti, i Paesi sono più lontani fra di loro di quantolo erano vent’anni fa. Le radici cristiane che potevano essere il nostro vero collante sono state cancellate assai prima che bruciassero a Notre Dame. E i cittadini faticano sempre più a innamorarsi di un’idea che pure, in sé, sarebbe meravigliosa: hai voglia a invitarli a mettere fuori dalla finestra le bandierine, hai voglia a organizzare dispendiose campagne di comunicazioni. Non c’è niente da fare. In quest’Europa non ci si crede più.

Rifondarla? Possibile. Ma assai difficile. E, nel frattempo, resta il sospetto che le persone che tra poco eleggeremo andranno ancora una volta a crogiolarsi fra i lussi di quei palazzi, con stipendi notevoli e schiere di portaborse, per approvare norme sulla curvatura dei cetrioli e la circonferenza dei piselli (nel senso degli ortaggi), mentre si daranno da fare per distribuire un po’ di soldi a iniziative forse inutili ma ben sponsorizzate, siano esse le scarpe da ginnastica che diventano piante profumate, o il tango finlandese (notissimo), o l’Orchestra dei Joysticks, o le lezioni di danza in Burkina Faso (dove hanno bisogno di tutto meno che di lezioni di danza). O persino, come è successo in passato, gli imperdibili show dei Gorilla Volanti, compagnia musicale inglese nota per combinare la musica del clarinetto con quella dei rutti. Purtroppo la più indicata, quest’ultima,  per lo stato d’animo di chi oggi pensa all’Europa. 

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Mario Giordano

(Alessandria, 1966). Ha incominciato a denunciare scandali all'inizio della sua carriera (il primo libro s'intitolava Silenzio, si ruba) e non s'è ancora stancato. Purtroppo neppure gli altri si sono stancati di rubare. Ha diretto Studio Aperto, Il Giornale, l'all news di Mediaset Tgcom24 e ora il Tg4. Sposato, ha quattro figli che sono il miglior allenamento per questo giornale. Infatti ogni sera gli dicono: «Papà, dicci la verità». Provate voi a mentire.

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