Epifani, il freddo alla guida del Pd che sogna di rimanerci
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Epifani, il freddo alla guida del Pd che sogna di rimanerci

Ex socialista, vice di Sergio Cofferati. Guglielmo Epifani il nuovo segretario del Pd

Lo hanno scelto perché non ha mai scaldato un cuore ed è “congelare” il suo mandato, sostenere la sua missione, ritardare insomma. E’ stato eletto segretario del Pd nella stessa maniera in cui le organizzazioni sindacali hanno scelto i propri segretari, esercizi di compromessi e investiture da parte dei dimissionari, gli stessi che hanno portato alla guida del partito democraticoGuglielmo Epifani. Traghettatore o commissario?

Lo ha voluto nella sua estrema solitudine Pierluigi Bersani, il quale conserva il controllo dell’organizzazione e della segreteria, lo ha sostenuto un sempre più un autorevole Dario Franceschini, il sigillo lo ha impresso Enrico Letta che non poteva permettersi un segretario che faceva della critica un’ostilità al governo. Nessun traditore lo ha pugnalato e non sorprende dato che da sindacalista Epifani conosce a menadito le insidie dei congressi, l’ipocrisia del voto che si nasconde dietro l’urna. Prima di accettare sapeva di essere eletto, nessun sindacalista accetta di essere designato ad un’alta carica con il rischio di essere impallinato come nella politica accade.

Eppure mai un sindacalista di quello che è considerato il braccio, la Cgil, di un partito che non esiste più, il Pci, è riuscito a compiere il salto dal sindacato alla politica. Ottime riserve abbassate al rango di deputati, spediti a Bruxelles o candidati come simboli in città di bandiera come fu con Sergio Cofferati a Bologna, questo sono stati i segretari della Cgil che dal rostro della piazza sono passati quasi sempre al seggio del parlamento. Epifani è l’eccezione e non perché dei segretari sia stato il meno rappresentativo rispetto ai Bruno Trentin, Luciano Lama, Cofferati, quanto per il suo modo d’intendere la segreteria che ha ricoperto a partire dal 2002.

Il meno carismatico, ma il più prudente, il meno amato dal sindacato, ma il più potente, tanto da avere una pressione su di esso anche oggi che alla sua guida ha Susanna Camusso, il meno ambizioso e quindi quello che ha più incassato in termini di partito e ruolo. Nemmeno a Luciano Lama che pur riscuoteva un consenso nel Pci e che per un momento fu considerato il sostituto migliore a Enrico Berlinguer venne concesso il ruolo di segretario. Uomo della Cgil per studio quando venne cooptato a soli 27 anni, era il 1974, nella società editrice del sindacato da Piero Boni e già nel 1979 segretario dei poligrafici con tanto di battaglia con Gianni Letta a quel tempo, direttore e amministratore delegato de Il Tempo.

Ma poi sarebbe socialista, radice comune dichiara a quella di Mondoperaio, rivista progressista e critica contro Bettino Craxi (anzi della prosapia di quel dissidente comunista che fu Antonio Giolitti che sempre influenza ha avuto su Giorgio Napolitano) e segretario aggiunto di Ottaviano Del Turco, altro socialista che finì prima alla guida del Psi e poi confluito nel Pd con una fine che ancora fa male al partito con il rischio che si riveli, lui davvero, il Tortora del Pd. Sempre critico, tagliente nei confronti prima dei Ds, partito a cui aderisce dopo l’esperienza conclusa nel Psi, e poi del Pd.

Ma allora perché segretario? Perfetto sarebbe per i ruoli organizzativi e non è un caso che Massimo D’Alema abbia pensato anni fa a lui per quel ruolo che oggi ricopre Nico Stumpo e domani dovrebbe ricoprire il renziano Luca Lotti. Rifiutò per farsi segretario della Cgil non appena Cofferati ha lasciato ad Epifani che ne era il vice. Ha litigato con la Fiom di Giorgio Rinaldini al punto da metterlo quasi ai margini, mai ha amato le posizioni eretiche dei metalmeccanici che sono fronda nel sindacato, la Cgil più a sinistra della Cgil. Non lo si può accusare di vanità se da segretario il suo stipendio non superava le 3.500 euro al mese, ma neppure di coraggio e forse ha ragione Giuliano Cazzola, ex socialista e suo collega nel sindacato : «Non si è mai trovato di fronte a scelte difficili», se si eccettua uno scontro con il compianto Tommaso Padoa Schioppa, ma nulla a che vedere con la legge Fornero.

Doveva tornare a fare il prof. di Storia, la Cgil per lui si è inventata la presidenza di un’associazione che studia l’opera di Bruno Trentin. Bersani lo inserisce nel suo listino di personalità, quella lista rivisitata ai giorni nostri di “indipendenti di sinistra” ed è chiara la contiguità con l’ex segretario meno la fiducia di chi come Michele Emiliano ricorda : «E’ andato in pensione facendo il deputato e adesso non soddisfatto si è messo a fare il camerlengo lanciandosi in questa avventura senile».

Tenace, ma soprattutto come ricorda sempre Del Turco, uno di quelli che hanno imparato la lezione del socialista Fernando Santi : «Il vero sindacalista riformista è solo quello che punta a firmare accordi e a raggiungere onesti compromessi».

Più che un compromesso sembra un affidamento all’estraneità ancora una volta, prima Letta, ex Dc, adesso Epifani che era socialista, una cultura quella comunista divorata dai suoi dirimpettai chiamati al capezzale per salvarli dall’estinzione, quella fine che tanto piace a Epifani attraverso una lirica di Baudelaire, la “Morte dei poveri”: «E’ la gloria degli dei, è mistico granaio/ patria antica del povero e suo salvadanaio/ grande portico aperto sui Cieli sconosciuti».

Il rischio è che Epifani, come dice Enrico Letta, non sia il traghettatore ma un segretario “senza aggettivi”, chi entra in punta di piedi e ci rimane come si dice intenda fare. «Non potevo sottrarmi» ha subito premesso, quel classico adagio per cui si è alla guida, ma non per volere bensì per contingenza. Di solito è la vigilia di chi da traghettatore si trasforma in traghetto.

(Twitter: @carusocarmelo)

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Carmelo Caruso