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ANSA/ALESSANDRO DI MEO
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Elezioni 2016: le mosse sbagliate degli avversari che avvantaggiano il Pd

Fassina sembra voler fare tutto da solo e già crea malumori. Il M5S candida persone sconosciute. Così Renzi può stare più tranquillo

È vero: la strada del Partito democratico verso le amministrative di primavera è tutta in salita. Ripida in alcuni casi. Come a Roma, dove confusione, scoramento, indecisione e disorientamento post dimissioni dei consiglieri dem e conseguente caduta di Ignazio Marino, hanno raggiunto un livello tale da spingere Matteo Renzi a invocare “una moratoria di sei mesi” delle polemiche e a rinviare a gennaio le scelte su futuro candidato e alleanze.

Amministrative 2016, corsa a ostacoli per il Pd


La strategia degli avversari di Renzi

Ma se i dem non si sentono bene, i loro avversari non stanno meglio. Almeno a giudicare da quanto accade in queste ore a livello locale con il nuovo partito unito della Sinistra italiana che già si divide su nomi e alleanze e i 5Stelle che adottano sistemi di selezione dei propri candidati sempre più creativi e discutibili.

Senza contare che entrambe le formazioni politiche sembrano molto più impegnate a far perdere il Pd che a provare a far vincere loro stesse. Una strategia priva di una qualsiasi reale visione di governo che, alla lunga, rischia di spingere verso il partito del premier anche l'elettorato tentato dal non votarlo.

Sinistra italiana vuole infatti riproporre, ma senza Civati, lo “schema Pastorino” (non vinciamo noi, ma nemmeno voi) che in Liguria ha spianato la strada al centrodestra alle scorse regionali. Sfrutta l'occasione elettorale non per proporsi come reale alternativa di governo delle città, ma per dimostrare a Renzi, anche in vista delle politiche, che da solo non arriva nemmeno al ballottaggio e spingerlo così a rimettere mano all'Italicum reintroducendo il premio alla coalizione.

La proposta di Fassina che ha diviso Sinistra italiana

Il problema è che, come nella migliore tradizione rossa, quando poi si tratta di stabilire come portare avanti una strategia e quale faccia metterci, la sinistra ricomincia a dividersi. A tutto vantaggio degli avversari che vorrebbe danneggiare. Un esempio? C'è Stefano Fassina che, pur di far perdere il Pd, si è detto pronto a consegnare Si nelle braccia del Movimento 5 Stelle che “sul piano programmatico – ha detto l'ex viceministro dell'economia di Enrico Letta – è più compatibile con la nostra idea”.

Più compatibile? Hanno sbottato quelli di Sel che con Beppe Grillo, a iniziare da Nichi Vendola, hanno più di un conto aperto. Nemmeno la presunta base della nuova Cosa Rossa pare averla presa bene: “allearsi con i grillini per battere l'eventuale candidato del Pd a Roma – commenta qualcuno su Facebook - è come prendere la cicuta per curare il dolor di pancia”. Come a dire che se Renzi è male, Grillo è peggio.

Fassina balla da solo

È chiaro come il collante più forte del nuovo cartello nato sabato scorso al Teatro Quirino di Roma sia l'antirenzismo militante puntellato da risentimenti personali sparsi. Talvolta anche molto forti. Stefano Fassina non ha ancora digerito quel “Fassina chi?” pronunciato dal premier ormai quasi due anni fa, il 4 gennaio del 2014.

Ma se la Forza Italia di Silvio Berlusconi era un partito personale e il Pd di Renzi pure, quello che nasce dagli intimi rodimenti di qualcuno dei suoi fondatori cos'è? Almeno per quanto riguarda Roma, dove ha preso – e ci tiene a ribadirlo – qualcosa come 11mila preferenze alle ultime parlamentarie dem e che quindi considera “territorio suo”, Fassina sembra voler fare tutto da solo.

Un giorno candida sindaco se stesso, quello dopo tira fuori Walter Tocci. Nel frattempo si offre ai 5Stelle per farsi stoppare non solo dai suoi compagni, ma anche dagli stessi grillini che di “ammucchiate e alleanze” non voglio nemmeno sentir parlare.

Caos a 5Stelle nelle città

E questo perché nemmeno loro hanno davvero voglia di vincere. Nella Milano “capitale morale” d'Italia, la loro candidata è una disoccupata di 50 anni, scelta in un teatro di periferia da una manciata di attivisti (circa 300), che per prepararsi a fare il sindaco ha seguito un corso di democrazia partecipata all'università di Pavia e che da consigliera di zona si è distinta per le sue battaglie contro i cibi non abbastanza bio delle mense scolastiche.

A Trieste il Movimento è spaccato in due e al momento si presenta con Paola Sabrina Sabia da una parte (moglie dell'europarlamentare Marco Zullo accusata dagli avversari di essersi fatta una votazione per conto suo per farsi eleggere candidata sindaco da 26 persone) e con Paolo Menis dall'altra. A Bologna il prescelto Max Bugani ha deciso che vuole scegliersi per conto suo i nomi da infilare in lista ma pare stia facendo un'enorme fatica a trovarli perché il metodo non convince affatto gli ortodossi del Movimento. A Cosenza c'è chi si auto candida a mezzo stampa. A Napoli si attendono le “primarie” dell'8 dicembre.

Il caso "Roma"

A Roma, dove Beppe Grillo ha dovuto già fare marcia indietro ritirando il suo anatema contro i dipendenti pubblici da lasciare disoccupati in mezzo alla strada, invece di giocarsi l'unica carta buona, ossia quella di Alessandro di Battista, i grillini si tengono strette le loro regole che servono a far candidare chiunque basta che non si azzardi a vincere.

Così, anche se il Pd non riuscisse a trovare un candidato decente (al momento nessuno dei big è disponibile ad immolarsi sulla via del Campidoglio), se nemmeno i soldi dirottati sulla Capitale (200 milioni per il Giubileo) bastassero a far dimenticare i disservizi dell'era Marino, se pure – a livello più generale - la ripresa economica fosse molto meno percepibile dalle famiglie di quanto si aspetti il premier, il partito del premier rischia comunque di ritrovarsi in condizioni molto migliori di alcuni dei suoi nemici giurati (Fassina e Grillo in testa). Più concentrati a far del male agli altri che del bene a se stessi.

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Claudia Daconto