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Dopo Ignazio Marino: cosa succede ora a Roma

Dettagli tecnici e politici delle sorti della città da oggi fino alle prossime elezioni nel maggio del 2016

Al termine di una giornata convulsa, dopo aver tentato un'estrema resistenza, Ignazio Marino ha preso carta e penna e ha firmato le proprie dimissioni. A staccare la spina era stato Matteo Renzi che già in mattinata aveva comunicato al commissario Matteo Orfini che dopo il caso degli scontrini non si poteva davvero più andare avanti.

Il premier-segretario ha colto così l'occasione per imprimere un'accelerazione definitiva a un percorso che comunque appariva segnato da mesi. E ora cosa accadrà a Roma? Quale strategia adotteranno i dem per provare a smarcarsi da Marino? Quale sarà il destino di Orfini? Quali saranno le prossime mosse del premier a cominciare dalla scelta del candidato per le elezioni di maggio? Ecco, nelle slide che seguono, alcune ipotesi.

Venti giorni per dispensarci

Tecnicamente Ignazio Marino ha 20 giorni per ripensarci. Nella sua lettera inviata ieri ai romani ha esplicitamente fatto riferimento a questa ipotesi anticipando di non escluderla. Ma si tratta, oggettivamente, di una possibilità molto remota visto che, anche qualora lo facesse, non avrebbe comunque più una maggioranza che lo sostiene. Senza contare che a breve potrebbe arrivargli un avviso di garanzia per falso e peculato. Le due ipotesi di reato che dovrebbero essere formulate nei prossimi giorni. Lunedì la Procura di Roma assegnerà alla Guardia di Finanza la delega ad effettuare le verifiche sulle sue spese dopo gli esposti presentati da Fdi e M5s.

La nomina di un commissario

Lo scioglimento del Consiglio comunale e di tutte le cariche politiche (compresi presidenti, assessori e consiglieri municipali) dovrebbe avvenire il prossimo 28 ottobre. Nel frattempo il prefetto Franco Gabrielli dovrà individuare un Commissario che, su proposta del ministero dell'Interno sarà nominato dal presidente della Repubblica.

Avrà il compito di guidare l'amministrazione fino alla prossima finestra elettorale utile per andare al voto, ossia quella del maggio 2016 quando si svolgeranno le elezioni amministrative già in programma in altri grandi capoluoghi come Milano, Torino, Napoli e Bologna. Qualcuno ipotizza che nel frattempo venga studiato un qualche escamotage per prolungare il commissariamento almeno fino alla fine del Giubileo.

Altri la escludono a priori, “le elezioni non sono nella disponibilità del presidente del Consiglio o di altri” taglia corto con Panorama.it il senatore ed ex assessore Stefano Esposito. Per quanto riguarda i nomi, circolano soprattutto quelli di Riccardo Carpino, già commissario della Provincia di Roma nel 2013 e di Alfonso Sabella, magistrato antimafia chiamato a gennaio da Marino a ricoprire il ruolo di assessore alla legalità e dalla scorsa primavera già commissario del municipio di Ostia sciolto per mafia.

Gli ostacoli per i dem verso le elezioni

Tolto di mezzo il sindaco, il Partito democratico dovrà ora riuscire nell'ardua impresa di smarcarsi da lui, ricompattarsi in qualche modo, trovare un candidato all'altezza della sfida, provare a far dimenticare gli scontrini e affrontare una campagna elettorale tutta in salita.

Tra due mesi verrà aperta la Porta Santa per il Giubileo della Misericordia di Papa Francesco. Il 5 novembre prossimo inizia il processo per Mafia Capitale. Tra i tanti che sfileranno davanti ai giudici, anche molti ex amministratori, dirigenti, esponenti dem che potrebbero volersi togliere qualche sassolino dalle scarpe e provocare più danni possibili ai vecchi compagni. Senza contare quello che potrebbe uscire dalla bocca dell'ex ras della cooperazione capitolina, l'amico di tutti Salvatore Buzzi.

E nei prossimi 20 giorni Ignazio Marino potrebbe anche decidere di scatenare la sua vendetta. Oggi il quasi ex sindaco ha smentito categoricamente di aver minacciato di voler “tirare fuori i nomi” dai suoi quadernetti colorati dove, in questi due anni, avrebbe annotato pressioni, richieste, raccomandazioni di ogni tipo da parte di esponenti, più o meno in vista, del Pd. Piuttosto la tentazione potrebbe essere un'altra. Magari quella di sfidare i dem con una sua lista civica presentandosi di nuovo agli elettori nella primavera prossima.

La strategia del Pd

La strategia trapelata ieri dall'incontro al Nazareno tra Orfini e i consiglieri comunali del Pd sarebbe quella di sostenere che Marino è stato appoggiato dal partito con convinzione fino a questo momento e soprattutto davanti agli sviluppi dell'inchiesta su Mafia Capitale ma che, a fronte di errori personali come l'uso disinvolto della carta di credito per cene poco istituzionali (“un fatto anche politicamente grave”), viste le numerose smentite, tale appoggio non poteva più esserci.

Quindi, come sono stati chiesti passi indietro ad altri esponenti dem, alcuni dei quali nemmeno indagati, altrettanto è stato fatto con il sindaco. Il che dovrebbe servire, sperano i dem, a spezzare il filo che fino a questo momento li teneva legati al chirurgo. Resta il problema di come affrontare la prossima scadenza elettorale (se davvero si voterà a maggio) con un partito che al momento è ancora commissariato, con un'immagine deteriorata e un tessuto completamente sfilacciato.

Il destino di Orfini

La colpa maggiore che oggi i suoi avversari gli imputano è di aver fatto perdere alla città, e al partito soprattutto, mesi importanti per potersi riorganizzare al meglio. Matteo Orfini ha giocato la sua scommessa politica più grande assumendosi la responsabilità di provare a salvare Marino anche per rispetto nei confronti degli elettori. C'era praticamente riuscito se il sindaco non fosse stato così spericolato da inventarsi prima un invito a Philadelphia da parte del Papa e non avesse poi mentito sui famosi scontrini firmando la sua condanna con le proprie stesse mani.

L'errore, o il coraggio, di Orfini è stato quello di scommettere su un personaggio come il Marziano, arroccato nelle proprie convinzioni, impermeabile ai poteri forti quanto al buon senso. Renzi avrebbe chiuso la parentesi già nella primavera scorsa ma poi si è lasciato convincere dall'ex dalemiano. Il quale sa perfettamente che adesso cercheranno in tutti i modi di fargliela pagare. I renziani hanno già chiesto da tempo la convocazione del nuovo congresso cittadino. La famosa relazione di Barca, commissionata dallo stesso Orfini, che ha diviso i circoli tra buoni e cattivi, gli ha fatto guadagnare un mucchio di nemici. Che si manifesteranno al momento più opportuno.

Le prossime mosse di Renzi

Decidendo di far dimettere Marino, Matteo Renzi ha dimostrato di non temere (o comunque di non volerlo dare a vedere) ciò che invece più spaventa i dem capitolini, ossia la vittoria grillina alle prossime elezioni. D'altra parte c'era da aspettarselo. Rimandare lo show down a febbraio per scavalcare la finestra elettorale di maggio e arrivare all'autunno avrebbe rischiato di causare danni ancora maggiori e soprattutto di annacquare la sua immagina di uomo forte che decide senza cedere a tecnicismi e trucchetti dilatatori.

Ciò che è certo che a questo punto Matteo Renzi, nei panni di segretario del partito, dovrà decidersi a mettere la faccia su ogni singola scelta verrà presa da ora in avanti. A cominciare dal candidato. Il toto nomi è già partito. Alla fine sceglierà lui. Il sospetto è che qualcosa di molto concreto in mano già ce l'abbia. Altrimenti le dimissioni di Marino sarebbero state davvero un salto nel vuoto a occhi bendati che da parte di uno stratega come lui difficilmente ci si potrebbe aspettare.

C'è anche l'incognita se verrà riproposta l'alleanza con Sel oppure no. I vendoliani, che a livello nazionale sono all'opposizione del governo, potrebbero convergere solo su un nome legato alla società civile, in particolare quella legata alla lotta alla mafia. E non è detto che anche Renzi non pensi a qualcosa del genere. Una personalità di altissimo profilo, in grado di far dimenticare la stagione delle pande rosse e degli scontrini, gradita anche a quella parte dell'elettorato tentato dal votare per i 5Stelle e davanti alla quale tutte le diverse anime del partito romano possano inginocchiarsi. Anche perché, questo è praticamente certo, di primarie non se ne parla nemmeno. E poi chissà, con due buone carte per Roma e Milano, non decida di anticipare al 2016 anche il voto nazionale. Se infatti si votasse solo nelle città e il Pd dovesse perdere malamente, la tenuta della sua leadership (sia al governo che nel partito) sarebbe seriamente compromessa. Mentre nulla esclude che, approfittando anche delle attuali difficoltà del centrodestra, egli decida di puntare il tutto per tutto in un'unica mano.

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Claudia Daconto