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Donne e politica: la situazione in Italia

Mentre infuria la polemica sulla frase di Bertolaso a proposito di "mamma" Meloni, Openpolis fotografa lo stato di fatto. E i dati non sono incoraggianti

Nonostante il tentativo del giorno dopo di raddrizzare il tiro, il candidato sindaco di Roma Guido Bertolaso resta nell'occhio del ciclone per il suggerimento offerto a Giorgia Meloni di lasciar perdere l'idea di candidarsi a sua volta per fare, piuttosto, la mamma.

Il presidente di Fratelli d'Italia aveva annunciato la sua gravidanza nei giorni del Family day attirandosi, a sua volta, una valanga di critiche (la Meloni non è sposata). Lei stessa sembrava aver escluso un suo impegno diretto nella campagna elettorale in vista delle amministrative di giugno proprio in ragione del suo stato. Ma poi, giorno dopo giorno, l'extrema ratio citata più volte, è diventata sempre meno estrema e sempre più possibile. Tanto che ormai si attende solo l'annuncio ufficiale.

Al di là delle implicazioni politiche di una possibile candidatura che non potrà che complicare ulteriormente il quadro già di per sé molto frammentato del centrodestra capitolino (in campo ci sono già, oltre all'ex capo della Protezione civile, il leader de La Destra Francesco Storace e, un po' più al centro, Alfio Marchini), l'invito di Bertolaso alla Meloni a fare la mamma (a lui qualcuno ha suggerito di “fare il nonno”), ribadito anche da Silvio Berlusconi oggi dai microfoni di Radio Anch'io, ha riacceso i riflettori sul ruolo delle donne nella società.

È infatti ancora molto diffuso, molto più di quanto si pensi dopo anni e anni di ri-educazione al rispetto della pari dignità di genere, il pregiudizio che intende la maternità come un ostacolo non solo alla carriera, ma a qualsiasi attività extradomestica le donne vogliano intraprendere o portare avanti nonostante i figli.

Per cui correre per ore dietro alla prole, sfiancarsi di lavatrici, caricarsi di buste della spesa in gravidanza è auspicabile e salutare, uscire di casa per realizzarsi professionalmente invece no. Con la conseguenza che, considerando le due cose inconciliabili, in Italia si fanno sempre meno figli.

Ministre e mamme

Eppure negli ultimi anni, sebbene in ritardo rispetto ad altri paesi e tra poche luci e molte ombre, la politica aveva comunque tentato di dare dei segnali in controtendenza. Fu proprio Silvio Berlusconi il primo a scegliere come ministro di un suo governo Stefania Prestigiacomo incinta di 7 mesi. Anche a Marianna Madia mancavano poche settimana dal parto quando Matteo Renzi la chiamò a guidare il dicastero della Pubblica amministrazione mentre Beatrice Lorenzin ha partorito due gemelli pur continuando a fare il ministro della Salute.

Pochi passi in avanti 

Come riportato nel dossier realizzato da Openpolis la presenza femminile nelle istituzioni è progressivamente aumentata sia a livello europeo che italiano. A Bruxelles, per esempio, il 37% degli eurodeputati sono donne. Nel Parlamento italiano siano al 30%. Tuttavia, su 28 paesi, l'Italia fa parte dei 17 in cui la componente femminile non è riuscita ancora a superare un terzo delle assemblee elette. Certo, rispetto al passato, un passo in avanti c'è stato. Le buone notizie però finiscono qua.

Donne relegate in ruoli non apicali

Soprattutto grazie alla doppia preferenza di genere introdotta nel 2012 per quanto riguarda le istituzioni locali (solo il Partito democratico ha previsto un meccanismo del genere nelle primarie per la scelta delle candidature), ci sono oggi più sindaci e consiglieri (comunali e regionali) donne, ma generalmente, e questo vale soprattutto in Parlamento, esse non raggiungono quasi mai ruoli apicali e vengono relegate, quasi sempre, in settori ritenuti tipicamente femminili: welfare, educazione, scuola, salute.

Tanto che, nonostante il capo della prima potenza del Vecchio Continente sia una donna (Angela Merkel), nessun Paese europeo esprime una ministra dell'Economia. E oltre alla Merkel, c'è solo un altra donna premier: la polacca Beata Szydlo. Mentre ben tre paesi hanno governi formati solo da ministri uomini.

La "Parità-spot" del governo Renzi

In Italia la “parità-spot”, così la definisce Openpolis, del governo Renzi appena insediatosi, è crollata dopo poche settimane alla nomina di viceministri e sottosegretari: la presenza femminile è infatti passata dal 50% al 25,40%. I presidenti di commissioni permanenti (che sono il cuore pulsante dell'attività parlamentare) sono solo tre: Anna Finocchiaro (Pd), che guida gli Affari costituzionali del Senato, Emilia Grazia De Biasi (Pd) alla Sanità e Donatella Ferranti (Pd), presidente della commissione Giustizia della Camera. Dei tesorieri dei gruppi parlamentari 18 su 18 sono uomini.

Nessun sindaco donna nelle grandi città

I presidenti di regione donna sono solo due: Debora Serracchiani in Friuli Venezia Giulia e Catiuscia Marini in Umbria. Le giunte regionali sono formate al 65% da maschi. Solo la Campania ha più donne che uomini. Il Molise nessuna. Nei consigli, percentuale più alta in Emilia Romagna (32%), quella più bassa in Basilicata (nessuna presenza rosa). Il gap più ampio tra la presenza rosa in giunta e in consiglio si riscontra in Calabria, dove la quota delle donne in giunta (43%) è 14 volte superiore a quella del consiglio (3%).

I sindaco donne sono appena il 14% del totale e nessuna di loro amministra città di più di 300mila abitanti. Quantomeno la maggioranza degli assessori è rosa. A Roma, su 15 municipi, estesi quanto una città di medie dimensioni (tra i 200 e i 300 mila abitanti), solo tre sono amministrati da donne.

Partito, sostantivo maschile

Nessun partito, a parte Fdi, è guidato da una leader donna. E questo forse è il vero nocciolo del problema. In Italia la politica la decidono quasi esclusivamente gli uomini. Non esiste una sola corrente, sia a destra che a sinistra che al centro, che porti il nome di una donna.

È rarissimo trovarne una seduta ai tavoli che contano, quelli delle trattative e degli accordi. Si fanno candidare nei ruoli che decidono i loro “padrini” politici. Spesso e volentieri vengono anche elette, ma poi è da loro che si fanno dettare le mosse. A meno che, come nel caso della Meloni, a decidere per sé e per il proprio partito, siano solo loro. Creando, come dimostra il caso Bertolaso, quasi uno scandalo.

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Claudia Daconto