Togliere i vitalizi ai parlamentari è contro la legge
Ansa/Maurizio Brambatti
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Togliere i vitalizi ai parlamentari è contro la legge

Il parere di un autorevole giurista spiega come, oltre la sete di giustizia, c'è il rispetto del diritto e non ci possono essere colpevoli più colpevoli

Abolire i vitalizi ai parlamentari condannati? Giusto, anzi giustissimo! Le tricoteuses alzano gli occhi dal loro lavoro a maglia per annuire vigorosamente. D’altronde, si sa, i politici sono tutti ladri, per definizione: figuriamoci i politici condannati, ladri due volte. E lo Stato, cioè noi, li paghiamo ancora. Vergogna! Pare di sentirli, le grida scomposte di Beppe Grillo, la vocina compunta di Marco Travaglio, i borborigmi sgrammaticati di Antonio Di Pietro. E dietro di loro, la folla eccitata dal profumo del sangue.

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Ovviamente, Piero Grasso e Laura Boldrini, l’illustre giurista che presiede il Senato e la compunta dama di carità che occupa la poltrona più alta di Montecitorio, fanno a gara per essere i primi ad affermare questo principio. Madame Boldrini, in particolare, strenua oppositrice di ogni forma di rigore quando si tratta di sbarchi clandestini, diventa invece ferocissima quando si tratta di Totò Cuffaro o di Marcello dell’Utri, di Arnaldo Forlani o di Renato Altissimo.

Dunque, oseremo noi opporci al concorso di tanta scienza giuridica, di tanta sete di giustizia, di tanti imperativi morali? Oseremo. Il titolo di questa rubrica è demoniaco, e il Diavolo deve gettare scompiglio nelle file dei giusti…

In questo caso il Diavolo assume le vesti di un giurista autorevole, al quale il Senato ha chiesto un parere.
Vesti che profumano di incenso e non di zolfo, in verità: Cesare Mirabelli (già Presidente della Corte Costituzionale), è docente di Diritto Costituzionale alla Pontificia Università Lateranense, e Consigliere Generale presso la Città del Vaticano. Con una lunga e dettagliata relazione il prof. Mirabelli spiega che togliere i vitalizi ai parlamentari condannati è incostituzionale, illegale e ingiusto (la sintesi è nostra).

Proviamo a spiegare. Un qualsiasi cittadino è condannato per un reato. In conseguenza di quel reato sconta un certo numero di anni di carcere.  Inoltre ha dovuto indennizzare le parti lese e restituire l’eventuale maltolto. Finiti i suoi anni di carcere, saldato – come si diceva una volta – il suo conto con la giustizia, torna un uomo libero, un cittadino come gli altri.

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Ma se invece di un cittadino qualunque si tratta di un parlamentare, le cose cambiano. Non importa che abbia espiato o stia espiando le sue (presunte) colpe. No, gli si può aggiungere un’altra vessazione, un’altra punizione, ad arbitrio di sua eccellenza il Presidente del Senato o della Camera.

In verità, esisterebbero elementari principi di civiltà giuridica: la legge è uguale per tutti, e non sono ammesse le pene retroattive. Ma i forcaioli, quando vogliono, sono capaci di sottigliezze da legulei. In questo caso, non si tratta di una pena, ma di una sanzione. Si rispetta così forse la lettera del “favor rei” (Mirabelli non è d’accordo), ma non certo lo spirito di quel principio giuridico.

E comunque – tagliano corto Grasso e la Boldrini – esiste l’autodichìa, quindi, in sostanza, facciamo come ci pare. Sì, proprio l’ “autodichìa”, quel vituperato principio secondo il quale le Camere decidono sulle loro questioni interne in modo del tutto autonomo. Un principio che di solito i manettari e gli antipolitici di professione considerano come un abominevole privilegio della “casta”, ma che questa volta diventa prezioso.

Dunque, in modo retroattivo, e senza che nessuna legge lo stabilisca, si decide che i parlamentari colpevoli sono più colpevoli degli altri, a parità di condizioni.
È un’idea che piacerà a tutti quelli che pensano che i politici siano brutti e cattivi per definizione. Ma fortunatamente non fa ancora parte del nostro ordinamento nè della Costituzione. È destinata dunque ad essere cassata, prima o poi, dagli organi giurisdizionali. Ma intanto Grasso e la Boldrini avranno lucrato qualche titolo di giornale.

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