Esami di maturità: è la volta di Matteo Salvini
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Esami di maturità: è la volta di Matteo Salvini

Finora è riuscito a tenere nelle mani il partito. Ora, con le elezioni regionali, è chiamato a fare il salto. Le partite più calde in Veneto e Campania

L’ altro Matteo si sta dimostrando un politico di razza. In pochi avrebbero scommesso su di lui, quando il padre fondatore Umberto Bossi lasciò la guida della Lega. Non era fra i colonnelli ”storici”, come Maroni o Calderoli, né fra i giovani emergenti, spazio che sembrava destinato ad essere occupato dal Sindaco di Verona, Flavio Tosi.

Salvini era da molti anni un consigliere comunale di Milano, da quale tempo anche europarlamentare, noto per prese di posizione anticonformiste e talvolta provocatorie, abile nel far parlare di sé i giornali, ma comunque un figura di rilievo soltanto locale. Salito alla guida della Lega in un momento difficile, quando Maroni, vincitore della “guerra civile” contro Bossi, preferì defilarsi sulla poltrona di Governatore della Lombardia, è riuscito a reinventare un movimento politico che sembrava destinato a non sopravvivere al suo ideatore.

Salvini ha capito che la dimensione territoriale della Lega era diventata una strada senza uscita, ha visto uno spazio politico libero a destra, e se ne è reso protagonista in modo intelligente e spregiudicato. Senza rottamazioni clamorose, ma mettendo da parte di fatto tutti i leader storici e quelli emergenti. Solo Calderoli ha mantenuto un ruolo, in virtù di una raffinata capacità di movimento nel “palazzo” (chi lo conosce sa benissimo che Calderoli è il contrario di quel rozzo provocatore che talvolta ama far finta di essere).

Ma la Lega è saldamente in mano a Salvini, che sta tentando, su basi questa volta credibili, di trasformarla in un partito nazionale, di ispirazione – si dice spesso – lepenista. In realtà, le analogie fra il movimento di Madame Le Pen e la Lega sono abbastanza superficiali, e si riducono ad alcune parole d’ordine anti-europee.

Fin qui la politica di Salvini ha ottenuto innegabili successi. Ha cannibalizzato lo spazio politico dei Fratelli d’Italia, ha mietuto consensi in libera uscita da Forza Italia, ha pescato fra grillini delusi dall’impotenza del loro movimento. Ma ora, in vista delle elezioni regionali, il Matteo lombardo è chiamato all’esame di maturità. Deve decidere cosa dev’essere la sua Lega da grande.

Lo schema politico

C’è uno schema politico che piacerebbe molto soprattutto al PD: una Lega autoghettizzata in un alveo “lepenista”, che miete consensi ampi ma congelati, inutilizzabili, ai danni di un centro moderato debole e necessariamente subalterno alla sinistra, soprattutto alla sinistra nella versione 2.0 inaugurata da Matteo Renzi. Uno scenario, per certi versi, simile a quello della prima repubblica, con la Lega al posto dell’MSI prima della svolta di Fiuggi.

Se Salvini accetterà questa prospettiva, aumenterà ancora i voti, ma avrà reso a Renzi il migliore dei servigi possibili. Altro che Patto del Nazareno, si dovrebbe pensare ad un - ben più diabolico - “Patto dei due Mattei”.

Se La Lega andrà in questa direzione o meno lo si capirà nelle prossime settimane, man mano che si chiariscono i giochi in vista delle elezioni regionali. Il centro-destra in Italia al momento non gode di ottima salute, tuttavia può ragionevolmente puntare – a patto di essere unito - a confermare due importanti regioni nelle quali si vota: la Campania (nella quale la Lega non c’entra, e i problemi stanno tutti nei mal di pancia di Forza Italia, dove la componente fittiana è tentata di appoggiare il candidato del PD in odio al governatore Caldoro), e il Veneto, che interessa direttamente la Lega se non altro perché il  governatore uscente, Luca Zaja, è espressione del Carroccio.

Il problema Veneto

Sarebbe normale dunque che la Lega facesse di tutto per ottenere la rielezione di Zaja, cercando di unire intorno a lui il maggiore numero di forze possibile, e prima di tutto i partiti che già lo sostengono. Il fatto è che fra i partiti che governano il Veneto con Zaja c’è anche NCD, che in Veneto ha raccolto buona parte degli eletti di Forza Italia. E il fatto è che Salvini – con evidente disappunto di Zaja - continua a ribadire con crescente determinazione di escludere ogni accordo con NCD alle regionali.

Questo potrebbe avere due conseguenze, una diretta e una indiretta. Quella diretta è ovviamente rendere più difficile la conferma di Zaja e quindi consegnare alla sinistra un’altra regione (e in verità c’è chi dice che l’eliminazione di Zaja, negli equilibri interni del Carroccio, a Salvini non dispiacerebbe più che tanto). Quella indiretta è di legare ancora di più NCD al governo Renzi, indebolendo coloro, fra gli alfaniani, che vivono con crescente difficoltà la cannibalizzazione politica del loro partito (pare che la debolezza di NCD vada stretta soprattutto alla componente legata a Comunione e Liberazione).

È evidente che una campagna elettorale che vedesse NCD schierata nelle regioni con il centro-destra aumenterebbe le fibrillazioni della già risicata maggioranza di Renzi al Senato. Al contrario, l’isolamento di NCD porterebbe gli esponenti di quel partito che vogliono sperare di salvare la poltrona a stringersi ancora di più nell’abbraccio al PD. E renderebbe più difficile la partita di Forza Italia, che continua a puntare sull’unità del centro-destra (che nei sondaggi, se unito, continua ad essere quasi alla pari con il PD).

Tutto questo ovviamente Salvini, che è un politico di razza, lo sa benissimo, e se sceglierà l’una o l’altra strada lo farà prevedendone lucidamente le conseguenze. Ma la strada dell’isolamento della Lega, ovvero della spaccatura dei moderati, è il più bel regalo di Pasqua che il Matteo lombardo potrebbe fare al suo omonimo toscano.

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