Donato Bruno
ANSA/ANGELO CARCONI
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Chi era Donato Bruno, senatore di Forza Italia

Vice Capogruppo al Senato era un politico schierato senza ambiguità, mai fazioso, da tutti rispettato. Un "Presidente dell'Armonia"

Vi sono in politica alcuni uomini – troppo pochi purtroppo – che hanno una virtù preziosa: quella di essere schierati senza ambiguità, anzi rivendicando l’orgoglio delle proprie idee e della propria appartenenza, e al tempo stesso di non essere faziosi, di saper riconoscere le ragioni degli altri. Questi uomini sono preziosi per la propria parte politica, e godono tuttavia del rispetto degli avversari.  

Uno di loro era il senatore Donato Bruno, scomparso ieri all’età di 66 anni, attualmente Vice Capogruppo di Forza Italia al Senato.

Pugliese di nascita ma romano di adozione, Bruno era entrato in politica al seguito di Cesare Previti, squalo per antonomasia del partito azzurro. A dispetto di ciò, si era creato una fama di moderazione, di equilibrio, di solido buonsenso che – unito all’eccellente preparazione giuridica – lo aveva messo al centro delle trattative più delicate e più complesse.

Nei momenti difficili, con una battuta sapeva stemperare la tensione, e con una proposta sapeva conciliare esigenze apparentemente opposte. Emulo del suo celebre conterraneo Pinuccio Tatarella, che fu definito “ministro dell’Armonia” del primo governo Berlusconi, Bruno fu una sorta di “presidente dell’Armonia” prima della Giunta delle Elezioni (organismo con compiti delicatissimi, che sotto la sua presidenza dovette affrontare il drammatico riconteggio delle schede elettorali, chiesto dal centro-destra dopo le elezioni del 2006, vinte da Prodi per soli 26.000 voti) e poi, dal 2008 al 2013, della Commissione Affari Costituzionali, la più prestigiosa di Montecitorio, quella attraverso la quale passano i temi più complessi e più delicati.

I suoi colleghi lo ricordano dirimere delicate questioni procedurali, frenare impeti oratori eccessivi, sedare polemiche roventi senza mai scaldarsi, con il sorriso sulle labbra, con un suo caratteristico tono di voce basso, profondo, arrochito, che gli conferiva ancora maggiore autorevolezza, e che aveva portato a soprannominarlo affettuosamente “the voice”, con chiara allusione alla celebre voce roca di Frank Sinatra.

Sembrava destinato alla Corte Costituzionale, nel 2013, ma la scelta del PD di candidare in tandem con lui Luciano Violante, un nome indigeribile per gran parte del centro-destra (i giudici da eleggere erano due), scatenò una guerra di veti incrociati che finì con il travolgere entrambi.

E così Bruno – eletto per la prima volta al Senato dopo molti anni a  Montecitorio - si trovò ancora una volta, negli ultimi mesi, su una trincea delicatissima, quella delle riforme istituzionali, che – si sa – alla Camera Alta si giocano su una manciata di voti.

Il Presidente dei Senatori di Forza Italia, Paolo Romani, aveva in lui totale fiducia, e gli lasciò sostanzialmente carta bianca, tenendo per sé soltanto la regia politica della vicenda. Il complicatissimo lavoro in commissione e in aula, su emendamenti spesso legati a un solo voto di margine, era per lui pane quotidiano.  

Per questo, quando nelle scorse settimane al Senato si è ricominciato a parlare di riforme, in vista della seconda e decisiva lettura delle legge costituzionale a settembre, alcuni si stupirono di non vedere Donato Bruno attivo e presente come al solito. Ma pochissimi sapevano che le sue condizioni di salute, non buone già da tempo, si erano improvvisamente aggravate.

Anche nell’ultima fase della malattia volle tenere fede a quella discrezione che, insieme all’equilibrio e alla raffinata cultura giuridica, lo aveva reso prezioso per Forza Italia e per Silvio Berlusconi, a cui è sempre rimasto legato con coerenza e senza esitazioni.

Saranno in molti a rimpiangerlo, non solo ad Arcore, ma nel rissoso e sgangherato mondo della politica italiana.

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Serenus Zeitblom