D'Alema e l'antica antipatia per i giornalisti italiani
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D'Alema e l'antica antipatia per i giornalisti italiani

Furioso per essere finito al centro dell'attenzione mediatica per il caso di Ischia, ha minacciato querele a tappeto. Una vecchia abitudine...

Massimo D'Alema croce dei giornalisti e delizia dei titolisti. Nessuno come l'ex direttore dell'Unità è tanto bravo a formulare battute fulminanti buone a riempire per giorni le pagine dei giornali e tanto velenoso nell'infliggere cocenti umiliazioni ai suoi interlocutori o nel minacciarli di querela. Ne sa qualcosa il povero inviato del programma “Virus” che, dopo lo scoppio dello scandalo di Ischia, si è azzardato a domandargli se non ritenesse inopportuno vendere il suo vino, finito nelle carte dell'inchiesta della procura di Napoli, alle feste del Pd.

Quello che D'Alema pensa dei giornalisti

Un rapporto mai facile quello tra la stampa e uno dei più influenti leader della minoranza dem che dei giornalisti ha sempre pensato tutto il malepossibile, giudicandoli dei pusillanimi, ignoranti e pettegoli e querelandone già in passato il più possibile. Nel 2009 è stato capace di prendersela con “Il Giornale” mentre partecipava alla manifestazione per la libertà di stampa indetta dalla Fnsi (il sindacato dei giornalisti). Ha chiesto 3 miliardi di risarcimento a Giorgio Forattini per una vignetta che lo ritraeva a sbianchettare il dossier Mitrochin. Addirittura Michele Serra insorse dalle pagine dell'Unità per implorarlo di ripensarci.

Ironico e anche autoironico, D'Alema non ha mai sopportato troppo nemmeno la satira. Tuttavia si è sempre divertito da morire a demolire davanti a tutti il giornalista che lo importuna con domande scomode o per lui irritanti. Gode nello sbefferggiarlo, nell'intimorirlo. Colpirne uno per educarne cento è la sua massima. Celebri alcuni scambi di battute avvenuti in Transatlantico: “onorevole, posso farle una domanda?”, “l'ha già fatta” oppure “no perché sarebbe sbagliata”. Tanti giovani cronisti alle prime armi sono stati tentati di cambiare mestiere dopo essersi sentiti sibilare in faccia, tra le risatine compiacenti dei colleghi più scafati: “la sua è una domanda stu-pi-da”, detto proprio così, ogni sillaba una pugnalata.

Ma nemmeno le grandi firme sono state risparmiate: Scalfari? “Un leccapiedi”, Galli della Loggia? “Un analfabeta di andata e ritorno”, Pansa? “Non capisce un cazzo di politica”. Il giornalismo? “Un problema per l'Italia come la corruzione”. In un libro del 1997 Massimo Gramellini ha definito “baffino” come “l’ultimo italiano a non poter vivere senza la mazzetta dei quotidiani, cui dedica le ore più piacevoli della giornata sfogliandoli e disprezzandoli”. A un certo punto aveva addirittura quasi smesso di rilasciare interviste sulla carta stampata preferendo di gran lunga la televisione dove il suo verbo non poteva essere più di tanto manomesso dall'intermediazione fallace dei taccuini.

Tattiche di sopravvivenza all'intervista con D'Alema

Anche chi scrive, nelle occasione in cui ha potuto intervistare l'ex premier a quattr'occhi, si è avvantaggiata del suo favore per il mezzo radiofonico. E tuttavia l'incontro è stato quasi sempre preceduto dalle “raccomandazioni” dei suoi fidi collaboratori: “è reduce da un forte attacco di labirintite, sta molto nervoso, probabilmente non si siede nemmeno”, “ti prego non chiedergli nulla della candidatura a ministro degli esteri europei perché ha il dente avvelenato”. Richiesta, quella volta, completamente disattesa. E per fortuna, visto che la domanda in merito provocò la famosa battuta sul “Renzi grassottello” che farebbe meglio a stare lontano dai pop corn. Ma in genere le precauzioni non sono maitroppe.

Complice il terrore di finire vittima sacrificale del suo malumore, anche noi abbiamo nel tempo messo a punto una tecnica praticamente infallibile in base alla quale l'intervista deve obbligatoriamente iniziare dall' “argomento a piacere” (accuratamente selezionato e concordato) per giungere poi, una volta certi di averlo ben disposto, a piazzare qualche domanda vera prima dei saluti finali corredati da qualche battuta sulle vicende calcistiche della Roma che D'Alema, ritenendosi umilmente uno dei massimi esperti in merito, ama sempre scambiare soprattutto con chi gli fa capire di condividerne la fede. Furbizia? No, spirito di sopravvivenza, diciamo...

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Claudia Daconto