Covid, ovvero Costretti a vivere senza dissenso
Ansa, Epa, Lu Hongje
Politica

Covid, ovvero Costretti a vivere senza dissenso

La gravità dell'emergenza sanitaria sembra voler imporre il silenzio a ogni critica. È come se l'efficienza del modello autoritario cinese dovesse prevalere. Ma è un altro virus: quello della dittatura

In un momento come questo bisogna essere uniti… Basta con le critiche... E smettiamola di litigare... La litania colpisce chiunque abbia minimamente da ridire sulle scelte del governo al tempo del Covid-19. Volete sapere che cosa vuol dire Covid? Non sta affatto per "COrona VIrus Disease", no. Vi sbagliate: significa "COstretti a VIvere senza Dissenso".

Ma dov'è finita la politica? Dove si nasconde il Parlamento? Esiste ancora un'opposizione di qualche genere, nell'Italia ai tempi del Coronavirus? Giornali e tv possono ancora criticare il manovratore, oppure l'opinione contraria non è più ammessa?

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Tranne poche eccezioni, la melassa unitaria prevale, e ormai pervade di sé ogni angolo di giornali e trasmissioni televisive, peggio ancora di quel che fa l'orrido virus nei polmoni delle sue povere vittime. Chi s'arrischia a dire che i decreti dell'emergenza sono tardivi, mal scritti, confusi, rischia il linciaggio morale. Chi rimprovera l'andamento a zig-zag delle misure adottate, o la confusione della comunicazione istituzionale, viene tacitato. Chi si permette di ricordare che i tagli alla sanità pubblica, lanciati dieci anni fa dal governo di Mario Monti, erano stati confermati anche pochi mesi fa dal governo di Giuseppe Conte, viene allontanato peggio di un disturbatore della quiete pubblica. Silenzio: non si critica più. Davvero una sterzata epocale, in Paese che per tradizione consolidata inalberava un motto che da secoli suonava "Piove, governo ladro".

Va riconosciuto che è un atteggiamento senza confini, purtroppo: in Spagna Fernando Alonso, l'ex pilota della Ferrari, s'era azzardato a dichiarare che il governo di Madrid non contrastava al meglio la pandemia. S'è beccato il brutale rimbrotto di Vicente del Bosque, già commissario tecnico della nazionale: «Ho visto che qualcuno osa lamentarsi, ma dobbiamo affrontare il problema con l'aiuto delle nostre autorità». Alonso ha dovuto perfino scusarsi.

È come se l'autoritarismo cinese, grazie al "buon risultato" raggiunto a Wuhan, avesse improvvisamente infettato mezza Italia e mezzo mondo. Sono stati bravi, i cinesi. Hanno risolto la loro crisi in quattro e quattr'otto, mostrando coesione e amor di patria. Qualche sera fa, su Sky, è andato in onda un melenso documentario girato nella regione di Hubei, sede allargata del contagio: decine di medici, pazienti, infermieri e poliziotti non facevano altro che elogiare il loro governo e il presidente Xi Jinping. Grazie, oh lungimirante leader, che ci hai curato così bene. E grazie anche al Partito comunista, che ci ha illuminato la via. Grazie!

È vero: le autorità della Repubblica popolare hanno mostrato grande efficienza. Hanno costruito un immenso ospedale in pochi giorni, hanno investito grandi risorse e (forse) hanno spento il focolaio. C'è però chi sospetta sia stato così perché le autorità cinesi sapevano anche troppo bene con che cosa avevano a che fare. A insinuarlo sono i soliti complottisti, i quali sostengono che il Covid-19 sia il frutto di un laboratorio cinese, probabilmente militare, e quindi un terribile strumento di guerra batteriologica su cui Pechino non aveva né dubbi, né bisogno di condurre alcuno studio.

Per nutrire più di una perplessità sulla favoletta dei "cinesi bravi", però, non serve affidarsi a teorie così estreme, per quanto suggestive e verosimili. Basta pensare ai brutali mezzi repressivi con i quali Xi, il governo di Pechino e il Partito hanno imposto a 80 milioni di cittadini una quarantena da cui nessuno poteva uscire se non (comunque) morto. Wuhan era circondata dall'esercito e da carri armati. In città, la polizia in assetto antisommossa imponeva il coprifuoco e porte chiuse. Chi non si assoggettava veniva preso con la forza per strada, trascinato via da agenti in tenuta sanitaria e costretto a ricoverarsi. Online giravano video terribili: mogli che piangevano disperate sul balcone di un grattacielo perché il marito, nella stanza accanto, stava morendo e la casa era stata già trasformata in una bara preventiva per la coppia. Militari che saldavano porte e finestre di abitazioni con abitanti all'interno. Esagerazioni? Montature? Propaganda imperialista? Forse, ma non è nemmeno tanto importante. Perché comunque a Wuhan e dintorni sono stati messi in campo gli strumenti tipici di una dittatura comunista, i più brutali e coercitivi. Per questo sono stati bravi, i cinesi, a chiudere il focolaio in così poco tempo.

So (purtroppo) che cosa pensano molti di voi: che anche il nostro governo dovrebbe farlo, che anche qui servirebbe la mano forte. Che i divieti non bastano, perché c'è sempre il furbo-idiota che non li rispetta e così mette a rischio tutti. Quindi è giusto dare un giro di vite, e passare finalmente alle maniere forti. Con quarantene imposte, il coprifuoco che vuota le strade. Magari anche con baionette, fili spinati, fucili, carri armati. Da quel pessimista che sono, temo non sia improbabile che, alla fine, non ci si arrivi davvero all'esercito in strada. Non è certo di questo che ho paura: i militari italiani hanno la mia piena fiducia. Quel che mi fa davvero paura non è tanto questo, e nemmeno di cadere malato. Mi terrorizza che, dopo il virus cinese, anche l'esempio cinese stia sfondando le nostre resistenze. Perché da anni Pechino fa di tutto per diffondere un elemento cardine della politica di Xi Jinping: la propaganda del modello cinese di gestione dell'emergenza come alternativa "efficace" al modello della democrazia liberale. È il virus della dittatura.

Per tutto questo, mi scuserete, ritengo giusto continuare a criticare quel che in questa emergenza non mi pare giusto, e spero che anche altri lo facciano. Si poteva criticare il governo di Giuseppe Conte, che ha agito confusamente e tardi. Si doveva criticare chi, senza vergogna, un giorno invitava agli aperitivi "social" perché non si doveva aver paura del Coronavirus e il giorno dopo s'è messo a gridare allo scandalo dei bar pieni e a scrivere ovunque #ancheiorestoacasa. È sacrosanto criticare la politica al governo negli ultimi dieci anni, quella che dal 2011 ha affondato il coltello nella sanità pubblica e prodotto 37 miliardi di risparmi, e 70mila letti in meno, e tagliato migliaia di medici grazie al blocco del turn-over e a Quota 100.

Quanto a me, sommessamente, continuerò a criticare le norme che non condivido, anche nell'emergenza. Come il decreto "Cura Italia" là dove, per svuotare le carceri sovraffollate e a rischio contagio, decide un'amnistia per 3-4mila condannati senza nemmeno ipotizzare un alleggerimento della custodia cautelare per i 10mila detenuti in attesa di giudizio. Perché è vero che il Paese è in ginocchio. Ma questo non vuol dire che si debba abbassare la testa e smettere di guardare, ragionare, dissentire. Perché tutto questo configura la nostra libertà. L'alternativa è il modello cinese. Tenetevelo.

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Maurizio Tortorella

Maurizio Tortorella è vicedirettore del settimanale Panorama. Da inviato speciale, a partire dai primi anni Novanta ha seguito tutte le grandi inchieste di Mani pulite e i principali processi che ne sono derivati. Ha iniziato nel 1981 al Sole 24 Ore. È stato anche caporedattore centrale del settimanale Mondo Economico e del mensile Fortune Italia, nonché condirettore del settimanale Panorama Economy. Ha pubblicato L’ultimo dei Gucci, con Angelo Pergolini (Marco Tropea Editore, 1997, Mondadori, 2005), Rapita dalla Giustizia, con Angela Lucanto e Caterina Guarneri (Rizzoli, 2009), e La Gogna: come i processi mediatici hanno ucciso il garantismo in Italia (Boroli editore, 2011). Il suo accounto twitter è @mautortorella

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