Sergio Mattarella
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Coraggio, Presidente Mattarella

L'unica speranza in questo momento politico a dir poco difficile è che il Presidente della Repubblica scenda in campo

Ammetto di essere vissuto per anni senza incontrare mai Armando Siri, un tempo giovane socialista e oggi sottosegretario nel governo gialloverde, con una predilezione per un boss autoritario come Matteo Salvini. E oltre a non averlo mai incontrato, non sapevo neppure della sua esistenza. Poi un venerdì di questa balorda primavera me lo sono trovato di fronte in un ristorante del paese dove sono venuto ad abitare, lasciando l’inferno urbano di Roma, con le sue buche sulle strade, l’immondizia non raccolta a dovere e la sindaca sempre sul punto di essere cacciata.

Lì per lì non ho riconosciuto quel giovane che mi stava salutando. A capire chi fosse è stata mia moglie Adele. Della politica italiana ne sa molto più di me e legge con attenzione critica i tanti quotidiani che acquisto ogni mattina. È stata lei a dirmi: «Ma come, Giampa? Quello è il sottosegretario Siri, sta nel governo Conte ed è uno degli uomini di Salvini, il big leghista». Nel frattempo Siri si rese conto che ero un giornalista e mi parve di notare un lampo di perplessità nel suo sguardo.

Allora non ne compresi i motivi, ma oggi mi è tutto più chiaro. Forse Siri sapeva già di essere al centro di una inchiesta giudiziaria. E si sarà detto: «Accidenti, non si può vivere tranquilli neppure in due giorni di vacanza!». Poi scambiammo quattro parole di circostanza. E adesso che ci ripenso, mi parve di intuire che il sottosegretario non si sentiva tranquillo. Come capiterebbe a chiunque si trovi sui carboni ardenti.

Che altro posso dire sul conto di Siri? Mi spiace deludere i lettori del Bestiario, ma si tratta di poche cose. Era giovane, con una bella faccia da impiegato del catasto. Vestito del solito monopetto blu che ormai è diventata la divisa dei politici che sperano sempre di essere invitati a qualche talk show televisivo. Ma non credo che fosse quello il desiderio di Siri. Sapeva di certo che i magistrati gli stavano alle costole. E forse era questo il motivo per prendersi un po’ di respiro in quel delizioso paese toscano.

Oggi molti si domandano se sarà il suo caso a far cadere il governo gialloverde guidato da quell’anima in pena del premier Conte. Ma quando mi viene proposto l’enigma, di solito mi metto a ridere. E replico: «Figli miei, l’esecutivo che vede insieme i Cinque Stelle e il partito di Salvini è già spirato, ossia è morto, ma non ancora sepolto. Prima o poi, qualche becchino busserà alla porta di Conte e porterà via il premier e tutta la sua disordinata compagnia».

Perché ne sono così sicuro? Il motivo è uno solo e riguarda il mio passato. Ho la bellezza di 83 anni e lavoro nei giornali dalla fine del 1960, ossia da quando ne avevo 25. La mia specializzazione, se posso chiamarla così, è sempre stata la politica italiana. Ho visto sul campo e ho raccontato governi di tutti i tipi e leader politici di tutte le taglie. Da Zaccagnini a Fanfani, da Nenni a Craxi, da Togliatti a Berlinguer, da Almirante a Fini. Ma non avevo mai incontrato il tritume di oggi. Se confronto i leader di un tempo con quelli odierni, vengo afferrato dalla depressione. Di chi devo fidarmi? Del grillino Di Maio, del leghista Salvini, del democratico Zingaretti o di qualche loro gemello? Mia nonna Caterina, analfabeta e con le mutande rattoppate, avrebbe concluso: meglio gettarsi in un pozzo!

I politici di oggi meriterebbero di incontrare il loro 8 settembre. Quello vero, la terribile crisi del 1943, l’ho osservato con lo sguardo attento del ragazzino di dieci anni. Ho visto la dissoluzione improvvisa dell’esercito italiano. La fuga della monarchia savoiarda. E migliaia di nostri soldati catturati da un pugno di parà tedeschi, la nascita di un altro fascismo, questa volta repubblicano. E l’ultima avventura di un Mussolini privo di forze e di speranze.

Ma oggi in Italia non esiste nessuno in grado di provocare una crisi identica a quella del 1943 e l’avvento di un regime nuovo. La Casta politica odierna ha un sola via d’uscita: sparire, fingere di non esistere. Tutti ci vergogniamo del gigantesco «ponte» che ha visto chiusi per ferie tanto la Camera che il Senato. Leggo le proteste della carta stampata e mi chiedo: non è forse meglio stare in vacanza piuttosto che tenere aperte le Camere e seguitare ad accumulare altri nuovi errori?

Qualche lettore del Bestiario mi domanderà: caro Pansa, lei che si crede un sapientone, quale via d’uscita vede per un disastro come quello italiano? Io una ricetta ce l’avrei. Il presidente della Repubblica, il galantuomo Sergio Mattarella, deve diventare più interventista. E non farsi ingabbiare dalle formalità della nostra Costituzione. Obblighi il governo Conte e i suoi padrini, a cominciare dal cosiddetto Capitano, ossia il trucido Salvini, a gettare la spugna e a ritornare in famiglia, dalle loro consorti o dalle loro amanti. E metta in sella un governo di salute pubblica, composto da tecnici di provata esperienza. Cerchi il premier giusto, dal polso fermo e senza paura. E lo faccia difendere da militari onesti e di sicura fede repubblicana.Sento già qualcuno ringhiare: Pansa, lei auspica un colpo di Stato guidato dal presidente della Repubblica. La mia risposta è limpida e senza incertezze: meglio un colpo di Stato della lunga agonia che ci troverebbe stremati. In preda al cancro dell’impotenza e del disonore.

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Giampaolo Pansa