Scajola
(Ansa)
Politica

Claudio Scajola: «Sulla crisi del gas paghiamo lo scarso coraggio della politica degli ultimi 15 anni»

All'epoca della prima crisi russo-ucraina con taglio del gas per l'Italia del 2006 Scajola era ministro dell'industria. Fu lui a presentare nel 2008 un piano energetico innovativo ma che è stato abbandonato. Ed oggi, tra pace e condizionatore, sa benissimo cosa scegliere

«In questi anni abbiamo fatto le cicale, sbagliando totalmente la nostra politica energetica». Dal 2006 ad oggi ne è passato di tempo, soprattutto ne sono state fatte di scelte politico-energetiche in Italia; scelte sbagliate come dimostrato dalla crisi e dalla guerra tra Russia ed Ucraina. Che non è la prima. A raccontare errori e dettagli Claudio Scajola, oggi presidente della Provincia di Imperia e sindaco dello splendido capoluogo ligure ma in quegli anni Ministro prima delle Politiche Industriali (2006) e poi dello Sviluppo Economico (2008). Fu lui a presentare un innovativo per quei tempi Piano Energetico, fu lui nel 2006 a trattare con Kiev e Mosca mentre il Cremlino nel pieno della prima crisi con il paese vicino, chiuse i rubinetti del gas lasciandoci in un inverno particolarmente freddo (in tutti i sensi).

«Si agì con diversi provvedimenti - racconta oggi Scajola - sul brevissimo periodo chiedendo un sacrificio ai cittadini e riducendo la temperatura di un grado nelle abitazioni. Ma c'era anche un piano più strutturato ed innovativo, che purtroppo non venne mai compreso ed utilizzato. L'idea era di produrre il 25% con il nucleare, un altro 25% con le rinnovabili e il restante 50% con le fonti fossili tradizionali, gas e carbone pulito. Avremmo avuto un mix energetico equilibrato, che ci avrebbe permesso di affrontare il futuro con sicurezza e a minori costi. Soprattutto avremmo potuto fronteggiare in tutt'altro modo crisi come quella di oggi».

Il decreto del 2006 prevedeva ovviamente altro, anche se in quei giorni si parlò soprattutto di chi avrebbe dovuto verificare la temperatura nelle abitazioni, si ipotizzò anche che il compito venisse affidato alla Guardia di Finanza. Ironia che non portò molto lontano, anche se in realtà il piano era decisamente più articolato. Ma si rivelò soprattutto inascoltato, «prevedeva un utilizzo maggiore delle nostre riserve di gas, incentivammo l’aumento di forniture di gas con Algeria e Libia e stringemmo accordi più stretti con il Kuwait per fornire il rigassificatore di Rovigo, che oggi ha una capacità di 8 mila metri cubi l’anno. Oggi ne esistono solo altri due, in Liguria e nel Tirreno, sono passati quasi vent’anni, è vero era prevedibile e avevamo previsto la necessità che l’Italia si dotasse di una capacità energetica autonoma. Mi pare evidente che quando era stato programmato e iniziato dal 2006 non sia stato portato avanti».

Com'era il mondo dell'energia in quegli anni? E cosa ci ha portato a commettere errori così evidenti?

«Il costo del gas allora era contenuto e così si è preferito non fare investimenti, non diversificare e potenziare le nostre possibilità interne. Abbiamo preso meno gas in paesi da cui potevamo prenderne di più, ci siamo fermati con i rigassificatori e ci siamo del tutto bloccati con il nucleare dove eravamo molto avanti e dove per forza dobbiamo tornare».

Quali consigli si sente di dare al governo Draghi?

«Bisogna avere il coraggio di scegliere, anche contro quella che può sembrare l’impopolarità del momento. Il momento attuale è favorevole; la gente ha capito che quando non si fanno scelte coraggiose e si dipende dall’umore di altri nella fornitura di energia non c’è sicurezza. Ed alla fine i primi a pagare sono i cittadini. Bisogna poi sempre analizzare e ricordare il passato. Nel dopoguerra il primo barlume di Europa furono la Comunità di Difesa e quella del Carbone e dell’acciaio, una comunità energetica. Si capiva già allora che era urgente portarsi avanti. Poi abbiamo continuato con gli egoismi e la voglia di guardare dall’altra parte, investendo poco nell’innovazione».

Lei ha conosciuto da vicino due popoli che oggi si combattono e che noi da lontano, facciamo fatica a comprendere...

«Sia l’Ucraina che la stessa Russia fino agli Urali hanno una storia vicina e simile a tanti paesi europei: l’arte, la storia, il commercio. Sono paesi che rientrano quindi nella famiglia europea dove però ci sono delle differenze, innegabili. Come ce ne sono ad esempio tra uno svedese ed un siciliano. Bisogna però fare una considerazione: quei paesi sanno cosa sia la sofferenza, anche nel periodo più recente, basti pensare ai 18 milioni di morti nella seconda guerra mondiale. In questo momento non so se il popolo italiano risponderebbe con lo stesso coraggio con cui ha risposto il popolo ucraino. Non so se un’ipotetica invasione del nostro paese avrebbe trovato gli italiani pronti alla resistenza fino in fondo. Gli ucraini da questo punto di vista sono ammirevoli».

Come avrebbe risposto lei alla domanda-provocazione di Draghi: pace o condizionatori?

«Non ho concesso proroghe per il riscaldamento nella mia provincia e con questo è chiaro da che parte stia. Ci vuole pace, ma pace vuol dira anche non dare soldi a Putin, e sono soldi che risparmiamo. Ma come si fa poi a vedere le immagini in arrivo dall’Ucraina, di bambini, ragazzi, donne al freddo ed alla fame, profughi e noi non ci possiamo mettere un cappello in testa ed un maglione in più…??? Sono quindi due i problemi: il primo è la pace, il secondo è educare il nostro popolo ad avere un po’ più di solidarietà ed abituarsi ad un minimo ma minimo proprio, di sofferenza, anzi, chiamiamolo disagio»

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Andrea Soglio