Che senso ha una Europa che non decide nulla?
(Ansa, Epa, Stephanie Lecoque)
Politica

Che senso ha una Europa che non decide nulla?

L'accordo (senza Eurobond e negativo per l'Italia) raggiunto dopo rinvii e veti incrociati è l'ennesima prova del fallimento di questa Ue

La crisi pandemica in atto ha messo in luce, una volta di più, l'assoluta inadeguatezza dell'Unione europea nel gestire le situazioni di emergenza, oltre alla sua pressoché totale incapacità di esprimere un senso di solidarietà tra gli Stati membri. Le consuete spaccature tra Nord e Sud si sono infatti ripresentate, con connotati – laddove possibile – ancor più duri del solito. E, nel pieno di un'emergenza epocale (sanitaria ed economica) come quella del coronavirus, l'Unione resta come al solito grettamente impelagata negli egoismi nazionali, nelle accuse reciproche, nei veti incrociati. Da giorni, non si riesce a trovare lo straccio di un'intesa per mettere in campo misure economiche comuni che aiutino a contrastare la crisi. Senza poi considerare la sostanziale noncuranza mostrata nei confronti degli Stati maggiormente colpiti dal morbo (Italia e Spagna in primis). La stessa bozza di accordo dell'Eurogruppo che circola in queste ore evidenzia un compromesso al ribasso: degli eurobond – figurarsi – neanche l'ombra.

Una bella differenza con quanto sta avvenendo negli Stati Uniti. Nonostante venga da più parti criticata la gestione dell'emergenza che sta portando avanti Donald Trump, non dimentichiamoci infatti che la Casa Bianca (in accordo con il Congresso) ha stanziato un quantità di denaro mai vista nella storia americana: oltre duemila miliardi di dollari, che – tra le altre cose – comprendono assegni ai singoli cittadini, sussidi alle famiglie con figli, fondi per le imprese in difficoltà, aiuti federali ai singoli Stati e una serie di erogazioni per le strutture ospedaliere. Ma non è tutto. Perché, con ogni probabilità, nei prossimi giorni, verrà stanziato ulteriore denaro in infrastrutture e – nuovamente – per le aziende. Nel momento della necessità, Keynes torna prepotentemente sulla scena oltreatlantico. A Bruxelles invece continua a imperare sordo il totem ordoliberale.

Già ci sembra di sentire la voce del consueto maestrino europeista che, con fare severo e sdegnoso, ci segnala come gli Stati Uniti abbiano un sistema politico-istituzionale del tutto differente da quello europeo. Grazie tante: ce ne siamo accorti. E ce ne stiamo soprattutto accorgendo in questo difficilissimo frangente, in cui il tanto sbandierato "senso europeo" che – anche in Italia – molte forze politiche non fanno che rivendicare sembra ormai soltanto il simulacro di sé stesso. Qualcuno dovrebbe forse ricordare che, quando alle ultime elezioni europee ebbe luogo la cosiddetta "avanzata sovranista", da più parti si cominciò a invocare a gran voce che l'Europa "dovesse cambiare". Grandi mutamenti furono del resto assicurati anche dall'allora neo presidentessa della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Mutamenti che – sembrava – avrebbero dovuto rendere Bruxelles qualcosa di più di un mero concentrato di astrusa burocrazia: qualcosa di politicamente più rilevante, che potesse – nel limite del possibile – mettere all'angolo i soliti egoismi nazionali. Quegli egoismi che – ci sia concesso – riguardano tradizionalmente soprattutto il Nord Europa. E invece eccoci qui: con una crisi inimmaginabile fino a poche settimane fa e un'Unione che si perde in continui rimandi. Un'Unione ostaggio, nei fatti, di paradisi fiscali come l'Olanda. Qual è il senso di tutto questo? Dove sarebbe, di grazia, quello "spirito dei padri fondatori" di cui tanti si riempiono da troppo tempo la bocca? Ritenere che oggi a Bruxelles si trovino i depositari delle eredità politiche di De Gasperi, Schuman o Adenauer fa onestamente abbastanza ridere. Perché questa Europa una vera visione politica e valoriale non l'ha mai avuta.

Nossignori. Se l'Unione europea avesse veramente voluto tener fede alle sue promesse di cambiamento, questo era il momento per cambiare. Tuttavia, da quanto possiamo constatare in queste stesse ore, di cambiamenti non si vede neppure l'ombra. Perché alla fine il problema – piaccia o meno – resta sempre lo stesso. C'è un europeismo ingenuo, che – nella sua sincerità – si ostina a non vedere i malfunzionamenti di questo organismo. Ma c'è poi anche un europeismo machiavellico: un europeismo in virtù di cui soprattutto alcuni Stati usano le istituzioni comunitarie come amplificatori dei propri interessi nazionali. E' l'europeismo cui hanno fatto troppo spesso riferimento la Francia e la Germania, davanti ad altre nazioni che evidentemente non possono o non vogliono fare altrettanto. Il coronavirus potrebbe rappresentare realmente l'ultima chiamata per l'Unione europea. Il problema è che non sembra se ne stia rendendo conto.

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Stefano Graziosi