Carlo Calenda
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Calenda: "Credo nel Pd di Zingaretti, ma fondo un movimento mio"

I rapporti con il neo segretario e con Renzi, i rischi di Salvini, il suo carattere (impulsivo). Intervista al politico che vuole sorprendere la sinistra

Lei sa cosa si dice di Carlo Calenda tra i dirigenti del Pd?

(Sorriso). No, non lo so, ma posso immaginarlo. Sia franco. 

«È un grande comunicatore. È amato dalla base del partito. Ma... ha un carattere di merda».

Ah ah ah.

Ride perché il saldo le sembra positivo?

(Altro sorriso). Guardi, sull’amore della base devo dire che mi arrivano effettivamente segnali molto belli. Per il resto: non credo di essere un grande comunicatore. Ma non c’è dubbio che io abbia un carattere di merda.

Però! Nessun politico dopo Sandro Pertini ha avuto il coraggio di ammetterlo. 

Mi conosco. Tendo a essere passionale e impulsivo. E in politica, in alcuni casi, medio molto poco. Di più: in questa fase in cui serve chiarezza non mi impongo l’ipocrisia formale come obiettivo delle mie battaglie.

Soprattutto sui social lei non la manda a dire. Un giorno Renzi per rispondere disse: «Carlo ha scoperto Twitter»

Ed era vero.

I rapporti più difficili sono con lo stato maggiore dem?

Questo no: ho ottime amicizie e legami di stima con Gentiloni, con Roberta (Pinotti, ndr) con Delrio.

Però ogni tanto lei parte lancia in resta e minaccia: strappo la tessera, me ne vado...

La tessere me la tengo stretta.
Era il gesto disperato che avrei fatto se fosse passata l’idea dell’alleanza con i Cinque stelle.

Perché?

La militanza va bene, ma il martirio non lo contemplo.

Il suo carattere potrebbe migliorare?

Ci sono delle cose su cui sono ancora inesperto. Zingaretti ha detto che talvolta io impugno la clava dove potrei usare il fioretto. È un’immagine in cui mi ritrovo.

Ormai sui giornali c’è una rubrica quotidiana di una pagina: dove andrà Calenda alle Europee?

(Ride). Interessante. Leggo tutto con molta attenzione.

La settimana scorsa ha avuto un incontro riservato con il nuovo segretario.

Vero.

Le ha proposto di fare il capolista nel Lazio.

Vero.

E lei vorrebbe di più?

Non vero. Il problema non è la mia collocazione personale, di cui sarei più che soddisfatto, ma il fatto che ci siano delle liste aperte.

Per esempio il simbolo del Pd e la scritta «Siamo europei», il nome del suo movimento?

Quella sarebbe un’ottima soluzione grafica. Ma, spero sia chiaro, a me interessa un progetto aperto, con liste aperte, e con un simbolo che in qualche modo racconti questa storia.

Mi scusi, lei ancora non ha deciso se ci sarà?

L’incontro con Nicola è andato bene. Quindi, salvo terremoti o retromarce, di altri, io ci sarò volentieri.

I sondaggisti, tuttavia, quotano una lista Calenda al 3,5 per cento e una lista «Più Europa con Calenda» al

6-7 per cento.

Questo non può che farmi piacere. Ma le ho spiegato come sto ragionando.

Anche se si ritroverà al fianco di Laura Boldrini?

Boldrini non ci sarà.

E chi lo ha deciso, lei?

No, la stessa Boldrini: nel nostro manifesto c’è un punto in cui si spiega perché siamo contrari all’accoglienza indiscriminata.

L’ho incontrata nei giorni scorsi a La7 e lei mi pare intenzionata ad aderire.

Dubito che lei si possa riconoscere in quella condizione.

E Bersani? E Speranza?

Che non ci saranno, lo dicono loro stessi: e un altro problema lo abbiamo risolto.

Se uno legge le sue risposte ne deduce che per lei la Boldrini è un problema.

Sulla persona nessun dubbio. Sulle sue posizioni, sì. Boldrini affronta il problema immigrazione in un modo così semplicistico - buoni contro cattivi - che io non condivido.

E il modo giusto quale è?

Capire e farsi carico delle paure delle persone. Trovando soluzioni pragmatiche. Non facendo continuamente inutili proclami di principio.

Zingaretti, però, fa dell’accoglienza un punto di battaglia con la destra.

Anch’io! Ma il Pd di Zingaretti su questi temi deve avere un programma solido, che riprenda l’elaborazione di Minniti.

Cosa la distingue da Matteo Renzi, politicamente, oggi?

Molte cose. In primo luogo la lettura dei processi di globalizzazione: il progresso è andato molto più veloce della società, e la sinistra deve essere all’altezza di questa sfida, tornare a difendere i ceti più esposti e spaventati.

Mai lei vuole spostare la lista al centro o a sinistra?

Telese la sua domanda non vuol dire nulla. Penso che in epoche tumultuose lo Stato debba gestire le transizioni, ricomponendo le fratture tra perdenti e vincenti, diminuendo le diseguaglianze economiche ed educative. Ma Stato forte non vuol dire buttare i soldi nella nazionalizzazione di Alitalia.

Non le chiedo i dettagli del suo incontro con Zingaretti. Mi dica però che idea si è fatto di lui.

Ho avuto l’impressione che voglia costruire una cosa larga. Un’ottima impressione, dunque.

E le va bene Giuliano Pisapia capolista nel Nord-ovest?

Non ho problemi a cedere il posto a Pisapia. E candidarmi al Centro. Una cosa e fatta bene. 

Se Renzi uscisse dal Pd potrebbe essere tentato di seguirlo in un nuovo partito liberale?

Zero.

Vede che usa sempre la sciabola?

Renzi deve decidere cosa vuole. Per esempio, se vuole fondare un suo partito: lo farà dopo le Europee. Ma siamo molto diversi, in questo. 

Su cosa esattamente?

Lui rimane nella logica di una politica che interviene poco e si ritaglia un compito molto... motivazionale. Io, esattamente l’opposto.

Cioè?

Voglio un’azione molto meno evocativa: noi dobbiamo dare diritto di cittadinanza alla paura, e dobbiamo intervenire contro le disuguaglianze. Lui ha in mente un versione della Terza via «blairiana» riveduta e corretta, io un riformismo nuovo. Tutto da costruire.

Lui è più vecchio di lei, quindi?

Se preferisce io sono più moderno. Il mondo non è diventato piatto, l’Apocalisse non è arrivata, ma per la prima volta l’uomo potrebbe essere «agito» dalle macchine, invece di agirle. Il lavoro cambierà e alcuni lavori finiranno. La crisi aumenterà l’insicurezza.

E perché dice tutto questo per rispondere a Renzi?

Perché continuare a dire «non vi preoccupate, nel futuro sarà tutto meraviglioso» è, come minimo, suicida.

Mi faccia degli esempi.

Dobbiamo intervenire dove innovazione tecnologica e mercato fanno danni.

I liberalriformisti lo considerano un errore.

Sulla scia di Hillary Clinton che dice «It’s economy, stupid!». E infatti poi ha vinto Donald Trump.

Facciamo un esempio in Italia.

Si fanno concorrenza al ribasso i produttori dei formaggi affamando gli allevatori sardi. Lì c’è una stortura. Che fai, non intervieni?

Sta diventando dirigista?

Se il mercato produce valori che sono sotto la soglia di sussistenza, sì!

E allora sul salario minimo segue Nicola Fratoianni e Maurizio Landini?

Non seguo nessuno: io sono a favore del salario minimo.

Alcuni confindustriali soffriranno per questo Calenda. Dicono che i costi devono restare bassi per reggere la concorrenza globale.

Ed è falso. Tant’è vero che il tipo di spazio in cui interviene il salario minimo è quello dei rider, di Amazon, dei servizi alla persona, dei lavori che sono legati al territorio. Nell’industria questo non accade.

Perché?

Perché ci sono i contratti! La contrattazione aziendale! Accordo superiori ai 10 euro ovunque.

Carlo Calenda è al centro di tutti i progetti, nel risiko che porta alle elezioni europee. Come avete letto lo tirano da ogni parte. Se accettasse tutti gli inviti potrebbe andare in televisione ogni giorno, e il suo libro, Orizzonti selvaggi, è diventato un piccolo long seller e ha venduto 40 mila copie. In quest’intervista spiega cosa vuole fare dopo il risultato delle primarie del Pd.

Ironia della sorte, anche quando lei da ragazzo si è iscritto alla Federazione giovanile comunista di Roma il suo segretario era Zingaretti.

(Ride). Destino cinico e baro.

Non scherzi: figlio, nipote, rampollo della classe dirigente.

Le racconto una cosa divertentissima per capire quanto ero ideologico: quella era la Fgci delle campagne contro il nucleare.

E lei?

Ero scatenato. Avevo letto un pamphlet sul rischio sindrome cinese e litigavo a casa. Ma mio zio era Felice Ippolito!

Ovvero il più importante intellettuale nuclearista del Pci. E che accadde?

Io ripetevo a macchinetta i miei slogan, e lui, grande signore napoletano, fratello di mia nonna, a un certo punto non disse nulla, tirò fuori il portafoglio e lo spalancò.

Per fare cosa?

«Tieni: queste sono 50 mila lire. Vai da Feltrinelli a comprarti un paio di saggi, leggili, e poi torna a discutere».

Grande lezione laica. E funzionò?

Macché, c’era stata Chernobyl, ero convintissimo. Adesso so che abbiamo perso una grande occasione.

Aneddoto meraviglioso. Un altro?

Festa nazionale dell’Unità, a Ravenna. Lavoravo in cucina: a cena, c’era il segretario della Fgci, Pietro Folena.

E cosa fate?

Il partito aveva avuto una brutta flessione e, pensando di scherzarci su, preparammo una pizza «meno 3 per cento» scritto con la mozzarella.

E Folena?

Non la prese affatto bene, si arrabbiò e se ne andò. La pizza «3 per cento» divenne un caso politico, fummo processati. Erano partiti quadrati.

Lei poi diventa padre.

L’evento di formazione più importante della vita: la nascita di mia figlia Tay.

Addirittura?

Avevo 16 anni, non avevo regole. Mi ha dato il senso del diverso e un’idea della responsabilità che non avevo.

Una figlia concepita con una donna che aveva dieci anni più di lei.

Ehhh... Era la segreteria del marito di mia madre. Bellissima ragazza, con i capelli rossi.

Ma come le accadde di corteggiarla, quando aveva 14 anni?

Un errore drammatico. Ero cresciuto con tutti che mi ripetevano: «Sei più grande della tua età». Ho pensato di dimostrarlo.

Mamma mia.

Suggerisco a tutti genitori di evitarlo.

E come successe?

Andavo a trovare il produttore Riccardo Tozzi, che era un mio genitore acquisito, e le facevo il filo.

Siete stati insieme un anno e la ragazza è rimasta incinta quando lei aveva 15 anni!

Vero. Quando Tay nacque ne avevo 16. Sono diventato papà e sono stato bocciato nello stesso anno. Ma fu la svolta, e non c’è stata una sola volta in cui il biberon non glielo abbia dato io.

Lei andò via di casa.

Cambiarono le serrature e mi misero di fronte alle mie responsabilità. Andai a casa dei genitori della madre.

E con i suoi il patto quale fu?

Noi ti manteniamo la figlia ma tu ti mantieni da solo.

È così il primo lavoro arrivò a 18 anni. 

Facevo il consulente finanziario per la San Paolo Invest. Vendevo fondi di investimento e polizze, facevo bei soldi, battendo le case porta a porta.

Quanti soldi? 

Anche 7 milioni di vecchie lire al mese!

Lei è uno dei pochi politici che non ha il tabù del denaro.

È una misura della vita, ma non la misura della vita. Quando sono entrato al ministero avevo 800 mila euro da parte sul conto corrente.

E adesso? 

Ne ho 250 mila.

Fare il ministro a 4 mila euro al mese  le è costato.

Rispetto a quanto guadagnavo prima di sicuro. Ma non mi piango addosso, ho vissuto molto e speso molto. Senza rimpianti.

Cosa fa sua figlia Tay, oggi?

Vive a Parigi. Il suo nome, voluto dalla madre, significa «pace».

Quasi una sorella, trentenne.

No no, io l’ho cresciuta come una figlia. Fa la fotografa in teoria: ma io direi che, come tanti della sua età, è sfruttata in uno studio in cui allestisce i set.

È vero che il suo figlio minore, Giulio, nato dal matrimonio con Violante, ha sfilato a Milano con una bandiera rossa?

È affascinato dal comunismo italiano, ma guarirà.

"Su certe cose sono inesperto. Lui dice che a volte io uso la clava al posto del fioretti. E' un'immagine in cui mi ritrovo"

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Perché ha messo una foto di lei in mutande da bagno su un lago?

Nasceva da un gioco goliardico nella chat con i miei due migliori amici. La prova che non invecchiamo. Si chiama A, B, C, e C sono io.

Ma perché renderla nota? 

Per combattere l’idea che devi avere il fisico da tronista per fare politica.

Marco Travaglio cita sempre la sua pancia.

Degli articoli contro la mia pancia non me ne frega nulla.

Che cos’è esattamente «Siamo europei»?

Ho costruito una piattaforma, una lista unica delle forze politiche e civiche europeiste.

L’embrione di un partito?

Nooo!!! Non credo nei partiti personali. Ripeto. Solo se il Pd dovesse chiudere la porta, potrei fare altro. Penso che sarebbe un errore madornale, so che Zingaretti non lo farà.

E così quanto potete prendere?

Tra il 25 e il 28 per cento. Ma possiamo superare il 30.

Vi conoscete con Zigaretti?

Ho lavorato molto bene con lui quando eravamo alla Regione.

Politicamente.

Per esempio. Lui rappresenta la tradizione dei Ds, io sono la società civile e la società liberal-democratica. Lui è la mediazione, io la rottura.

E il partito?

So che, tra i quadri, molta gente dice a Nicola: «Stai attento a Calenda!».

E perché?

Loro sono spaventati come se io gli volessi rubare qualcosa. Follia. Io voglio dare, piuttosto. Per qualcuno, quelli che vengono da fuori sono potenzialmente pericolosi.

Bisogna dire grazie a Matteo Renzi per «aver distrutto i Cinque stelle»?

I grillini sono stati distrutti da sé stessi e dall’esperienza di governo. Ma di aver bloccato l’alleanza con i Cinque stelle, sì.

Lei ha contribuito?

In ogni modo. Noi ci dimentichiamo che il Movimento 5 stelle aggredisce la democrazia rappresentativa. Mette in discussione la libertà di mandato della rappresentanza parlamentare.

Che a lei sta a cuore. 

Il liberale tutela i singoli dalla tirannia della maggioranza: questo è Alexis de  Tocqueville.

Perché corre per Bruxelles?

In Europa si fa la battaglia più importante. Orbán e Putin vogliono sfasciare l’Europa. E Salvini che dà loro una mano. Dobbiamo reagire. E se andiamo all’attacco ci possiano riuscire.

Altrimenti?

Anche noi resteremmo sotto le macerie. 

Addirittura?

Se in Italia non c’è un risultato per cui i populisti vengono fermati, crolla  tutto.

Questo è catastrofismo.

A maggio c’è il voto. Tra luglio e settembre il nostro Pil sarà vicino a meno uno. Nessun conto tornerà e c’è il rischio di una nuova crisi finanziaria. E l’ombra della Troika.

E come si conclude lo scenario?

Quello che Salvini predicava fino a pochi mesi fa. 

Perché?

Vuole costruire una democrazia che è disegnata sui modelli illiberali di Putin e di Orbán. Del resto lo dice chiaramente, perché non dovremmo credergli.

Lo considera un «non democratico»?

Illiberale: vieni eletto e fai come ti pare.

Finora nulla lo lascia presumere.

Non è vero. Non sopportano contrappesi. Sono contro la magistratura, contro la Banca d’Italia, contro i trattati internazionali e le istituzioni indipendenti. Salvini dice cose gravi.

Del tipo?

«Io do indietro due Mattarella per un Putin». Quando Mattarella visita il parlamento europeo, altro che gli insulti di Verhofstadt a Conte!

Lei pensa che Salvini sia razzista?

Salvini è un opportunista politico. Se domani andassero di moda i migranti e le Ong, lui si dipingerebbe la faccia e andrebbe sulle barche.

Quindi non è razzista.

Contribuisce a sdoganare il razzismo, perché agli aspiranti autocrati serve avere nemici. Sempre.

Non è d’accordo su «più sicurezza»?

Certo, ma non barattandola con la libertà. Abbiamo imparato che quando c’è meno libertà c’è meno sicurezza. La democrazia è un processo decisionale lento, sembra più fragile, ma digerisce tutto. Le autocrazie scaricano i loro problemi fuori: in guerre interne o esterne.

E quindi cosa farà la Lega?

Asseconderà e sfrutterà la paura per limitare gli spazi di libertà e mantenere il consenso.

Il consenso lo ha già.

Inizia a esserci una saturazione. E Salvini si sta spaventando molto sull’economia. Quindi ha preso un tono più istituzionale. È un furbacchione. 

E Di Maio?

Non ha mai incontrato una sola volta i suoi direttori generali. Io almeno uno al giorno, tutti i giorni.

Addirittura.

Ha messo un impiegato del ministero che lavorava per lui al parlamento a fare il segretario generale.

E non può essere bravo?

Non ha l’esperienza, il processo di selezione ed è poco meritocratico.

Un po’ apocalittico adesso lo è.

Per nulla, il Paese è a rischio. L’Europa anche. Dobbiamo reagire. n

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Luca Telese