Bersani-Renzi e la lista mai fatta
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Bersani-Renzi e la lista mai fatta

Matteo Renzi era pronto ad aiutare il segretario del Pd e correre con una sua lista al Senato - Lo speciale elezioni 2013 - Tutti gli eletti -

Era pronto a spendersi più di quanto alla fine ha fatto per il segretario Pierluigi Bersani. «Non dite che Matteo Renzi non si sia speso per il partito, per il partito era pronto a fare molto di più…». Adesso che tutti lo invocano «con quelle camionate di senno di poi», Matteo Renzi è ancora più discreto di quanto lo sia stato durante la campagna elettorale.

Dicevano che avesse preferito eclissarsi, che avesse preferito attendere il risultato delle urne («come sondaggista ho un futuro», ha scherzato) e invece era pronto ad essere il gregario di Bersani e tirargli la volata in Senato, quel Senato ingovernabile e appeso alle mattane di Beppe Grillo e della sua pattuglia di irriducibili pronta a non votare la fiducia al governo. Erano finite le primarie, Renzi si era arreso, sempre facendo appello alla lealtà e riconoscendo a Bersani la vittoria e il dovere di rappresentare il partito alle elezioni. Ma dopo poche settimane era chiaro che l’entusiasmo era destinato a scemare sotto la lotta dell’apparato pronto a spartirsi i ministeri, l’insofferenza degli elettori e il ritorno di Silvio Berlusconi sulla scena. Il sindaco era tornato a Firenze con il plauso di tutti, perfino di Massimo D’Alema che dovette riconoscergli la fedeltà ai patti.

Il pranzo con il segretario ne suggellò una pacificazione all’interno del partito: «Il futuro è tuo», gli assicurò Bersani che si sentì rispondere con questa frase: «Segretario io ci sono». E poteva esserci anche da mozzo così come piace dire a Bersani che da nostromo («posso esserci da capitano, ma anche da mozzo su questa nave») con una lista al senato che portasse il suo nome. Sarebbe stata la lista Renzi al Senato, qualcosa di molto simile a quanto Rosario Crocetta ha realizzato in Sicilia con la sua lista il “Megafono” ( ha ottenuto il 6,5 per cento, che magari sarà stato al di sotto delle aspettative dello stesso governatore, il quale puntava alla doppia cifra, ma che comunque ha permesso al Pd di guadagnare uno scranno al Senato con Beppe Lumia). Bersani esita.

L’eccezione di Crocetta è un espediente regionale necessario sulla scia del successo ottenuto alle regionali e una logica operazione politica che avrebbe compensato la defezione di ras di peso come Vladimiro Crisafulli e Antonio Papania, esclusi dai garanti per problemi con la giustizia. Una lista che al suo interno ha dato asilo a molti ex deputati del centrodestra e dell’Mpa di Raffaele  Lombardo, tutti deputati che si sono scoperti improvvisamente crocettiani, nient’altro che galoppini del consenso e uomini di tessere. Niente a che vedere, però, con una lista Renzi. Sarebbe stato come la coabitazione di due papi, più che una corrente, quasi un partito nel partito.

«Meglio di no», fece intendere Bersani. Un’idea abortita senza rancore da entrambe le parti. Quindi, con il senno di poi? «Non dite che abbia gioito Matteo, non è vero», fanno sapere gli uomini più vicini, quelli che hanno sposato quell’idea così maltrattata, ma forse vincente che è la rottamazione. «Con lui avremmo vinto tranquillamente, era chiaro mancava il cuore». Come in un dramma di Durrenmatt, Bersani ha capito che è proprio Renzi la sua più sicura assicurazione in questo momento. Accerchiato nei caminetti con la nomenclatura del partito, mai estromessa, i vari Walter Veltroni, Massimo D’Alema, Rosy Bindi, Anna Finocchiaro, il segretario può contare sulla fiducia di Renzi.

«No, niente dimissioni. Perché dovrebbe dimettersi prima della fine del mandato. Pierluigi è quello che ci ha dato più garanzie, ha permesso di svolgere le primarie. Meglio lui che quei caminetti, anticaglie. Ma come continuano a non capirlo?». Tanto che Renzi ha preferito rifiutare l’invito a parteciparvi, nonostante l’abbiano invitato. «Sono cose vecchie», avrebbe ammonito e ripetuto strenuamente ormai convinto anche dai risultati. E intanto c’è chi pensa a un governo presieduto dal sindaco, nient’altro che vane illusioni. «Sciocchezze, non mi presterò mai a questi giochi di palazzo alla D’Alema, dovranno essere gli elettori a eleggermi e dovrà essere il partito a chiedere di candidarmi». Magari a giugno, mese in cui si paventano già elezioni anticipate se l’ingovernabilità sarà conclamata. Per il momento i destini di Renzi e Bersani sono due fardelli che si sostengono a vicenda. «Matteo può essere la stampella di Bersani», mai come in questo momento simile al protagonista del “Trono vuoto”, fratello perdente e tollerato dal partito. Ma perché non fare quella lista? «Forse erano convinti di avere la vittoria in pugnoe che quei senatori vicino a Matteo sarebbero stati decisivi. Attenzione era in assoluta buonafede».  Furono decisivi. Erano del Movimento Cinque Stelle.

(twitter @carusocarmelo)

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Carmelo Caruso