Barca. E se fosse lui il candidato del Pd?
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Barca. E se fosse lui il candidato del Pd?

Fabrizio Barca, ministro della Coesione Territoriale che la sinistra sogna premier

Dice di essere entrato nella stanza dei bottoni e di aver trovato i bottoni, ribaltando la battuta del socialista Pietro Nenni «nella stanza dei bottoni, io non ho trovato i bottoni». A premerli, Fabrizio Barca, ministro alla Coesione Territoriale, ha iniziato con Carlo Azeglio Ciampi, continuato con Giulio Tremonti, smesso quando premier venne nominato Giuliano Amato, ricominciato con Mario Monti che lo ha voluto ministro facendo infuriare il trinariciuto Roberto Calderoli del profondo Nord ("Se il buongiorno si vede dal mattino allora è notte fonda. Quel ministero è il ministero del centralismo").

Lo chiamano il ministro per il Mezzogiorno, lui che è nato a Torino e che della piemontesità ha la raffinatezza, lo studio, la sobrietà che tanto piace a chi maneggia il denaro pubblico, a chi sa che i numeri hanno sostituito l’ideologia. Nel Pd delle liste civiche e del partito scalabile, Barca, potrebbe essere quel sempiterno carattere italiano, il paciere, il “Prodi”, che mette insieme il centro di Casini e la prosa manieristica di Nichi Vendola, un ottimo candidato premier, l’uomo in più di un indaffarato Bersani che media con i rottamatori, rabbonisce i “Giovani Turchi”, combatte il grillismo.

Una voce insistente lo designerebbe come il possibile candidato del centrosinistra, voce naturalmente smentita da Barca per primo. Il presidente Giorgio Napolitano lo stima per affezione dato che in quella sezione rossa  – formata dagli ex miglioristi, i vari Emanuele Macaluso, Gianni Cervetti e che conta al Quirinale –  Barca è per tutti il figlio di Luciano, dirigente comunista, partigiano e amico tanto di Andrea Ossicini quanto di Andreotti al punto da attirarsi le ire dell’allora pontefice Pio XII convinto che l’influsso di quei giovani “comunisti” traviasse il cardinale laico della Dc.

Gli studi li ha fatti al Liceo Mamiani di Roma, lo stesso liceo del Nobel per la fisica Emilio Segrè, il liceo della protesta sessantottina e che i romani considerano come la “scuola dei progressisti”. Una laurea in scienze statistiche e Demografiche e master a Cambridge, Inghilterra, paese dove studia uno dei suoi tre figli come ha ricordato con una chiosa che vale quanto un programma politico e che nulla ha a che vedere con la famosa lettera al figlio di Pierluigi Celli («Figlio mio, non tornare in Italia). "Ho tre figli e finché non costruiamo un’Italia migliore in cui non serve l’aiuto del padre, che io non do, fino ad allora è bene che stiano fuori".  In realtà più che figlio di Luciano, viene considerato il figlio di Ciampi e membro dei Ciampi boys,  d’altra parte è stato proprio l’ex ministro del Tesoro a portarlo al Dipartimento Coesione e Sviluppo (era entrato in Banca Italia nel 1979), l’alternativa nata dopo la Cassa del Mezzogiorno.

Fu invece sotto il governo Amato che se ne andò e sembra che sia inviso a Massimo D’Alema. A ripescarlo è stato invece quello scopritore di talenti (ma Barca era usato sicuro) che è Gianfranco Miccichè con cui condivide la passione per la Juventus: "Cercavo la figura giusta per il mio dipartimento e un uomo vicino a Ciampi mi disse: Lo vuoi il più bravo d’Italia? Chiama Barca". In realtà quando Miccichè andò a cercarlo, Barca aveva una stanza al ministero, anzi una cella: "Era rinchiuso in una delle stanze più piccole del ministero. Era come se lo avessero licenziato". Prima di accettare un incarico con Berlusconi è andato a chiedere il permesso ad Antonio Fazio e allo stesso Ciampi: "Posso?". A farlo incontrare con Berlusconi è stato sempre Miccichè che glielo presentò. Il premier lo prese in giro per quel vizietto (essere comunista) e per essere stato bocciato più volte al ministero: "Sa, essere comunisti è una malattia incurabile", rispose Barca. Dopo questa risposta Berlusconi lo sfidò: "Se ci vediamo più volte voterà per me", tanto rimase affascinato da Barca. Ma quella malattia non solo non la cura, ma non la nasconde come fanno alcuni ministri che si trincerano in un tecnicismo bigotto e d’opportunità. "Non capisco perché dovrei negarlo. In Inghilterra ci sono dei laburisti al governo nominati dai conservatori". E’ stato in radio, che i politici (a proposito, ma Barca è politico? "Tutti siamo politici, soprattutto quando dobbiamo dire si o no", ha ribattuto) considerano come una deroga al galateo, all’etichetta, che Barca ha confessato di votare Pd e anche Vendola.

Da par suo Pierluigi Bersani dice di "volergli bene" mentre in un ipotetico Pd vincitore alle elezioni, una casella di governo è più che sicura per lui, forse l’economia. Era pronto perfino a licenziarsi quando con Miccichè il governo voleva abolire l’articolo 18: "Non mi fate fare questo". Sul lavoro è feroce, severo e quando ha bisogno di staccare se ve nelle Ande a camminare. Una volta lo cercavano dal ministero, ma lui non rispondeva. Di certo è un meridionalista convinto al punto da mettere in scena con la professoressa di Storia contemporanea Leandra D’Antone,  dei dialoghi immaginari in difesa del sud tra Francesco Crispi, Francesco Saverio Nitti, Donato Menichella, Luigi Sturzo e  Giuseppe Di Vittorio. Il palco scelto era addirittura la Gela di Mattei e del Petrolchimico, quella parte di Sicilia che Francesco Rosi non esitò a riprendere per il suo film e quel balcone di Gagliano da dove l’uomo più forte dell’industria italiana fece l’ultimo discorso che tanto sarebbe piaciuto a Barca: "Tornate in Sicilia". Ed è del ministro il piano forse più audace del governo Monti, dedicato proprio al Sud, 4228 milioni di euro da destinare alle imprese che nei prossimi anni decideranno di assumere. A sentire parlare di una sua possibile candidatura come premier del Pd però s’infastidisce: «Non credo – balbetta, poi continua – non ci ho mai pensato, lo ritengo un attacco al mio lavoro». Finora ha raccolto solo lodi, qualche polemica con il ministro Elsa Fornero, riguardo alle riforme sulle pensioni e una frecciatina datata e ricevuta da Nicola Rossi, un tempo dalemiano e oggi montezemoliano.

"E’ una persona scrupolosa, ma non credo voglia fare il premier, vuole solo lavorare in questi mesi con serenità", dice di lui il vegliardo Emanuele Macaluso. E l’uomo nuovo del Pd non può essere invece per Miccichè: "Ha conservato la tessera del Pci, se vota Pd lo fa turandosi il naso. E’ l’ultimo comunista vero che ho conosciuto".  Per il momento è il comunista di Stato. Perché i comunisti esistono. E piacciono pure a destra.

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Carmelo Caruso