Antonio Di Pietro, che tesoro!
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Antonio Di Pietro, che tesoro!

A scoperchiare per prima l'allegra gestione delle finanze dell'IdV non è stata Report di Milena Gabanelli, ma Panorama nel 2007

Panorama, n. 43, 25 ottobre 2007

«I partiti non sono delle bocciofile»: così parlò Gianfranco Fini, il 3 ottobre, presentando la meritoria proposta di legge per «la riduzione dei costi della politica e la promozione della trasparenza». Basta coi bilanci oscuri dei partiti, con le gestioni poco democratiche, con la totale assenza di responsabilità civile e penale: «C’è una caduta verticale nella credibilità delle istituzioni. Vediamo chi sottoscrive questo documento, chi ci sta e chi no, chi ci fa e chi ci marcia» rincarò, al fianco di Fini, il ministro Antonio Di Pietro, coautore della proposta e leader dell’Italia dei valori.

La stessa Italia dei valori di cui il 21 settembre è stata chiesta la messa in liquidazione al tribunale civile di Milano? E che è stata segnalata al Consiglio d’Europa (ultimo atto della guerra giudiziaria tra Di Pietro e il Cantiere di Achille Occhetto) perché ad approvarne i bilanci, per milioni di euro di fondi pubblici, è di fatto un’unica persona? Perbacco: proprio lo stesso partito di cui Di Pietro è presidente, fondatore e proprietario del simbolo. Un partito che ha incassato oltre 22 milioni di euro dallo Stato, ma di cui il ministro è il solo ad avere le chiavi della cassaforte. Insieme a due donne: Susanna Mazzoleni, la sua ex moglie, e Silvana Mura, «amica di famiglia» (parole sue) da tempi immemorabili.

Da dove cominciare a raccontare questa bizzarra storia? Le carte sparse fra i vari tribunali (Brescia, Milano, Roma, Bruxelles) sono una montagna. Ma c’è una data ben chiara, il 26 settembre 2000. E un luogo, via delle Province 37, Roma. È qui, davanti al notaio Bruno Cesarini, che nasce la «libera associazione Italia dei valori-Lista Di Pietro in breve Idv» con sede a Busto Arsizio in via Milano 14. L’oggetto sociale vola alto: «La valorizzazione, la diffusione e la piena affermazione della cultura della legalità, la difesa dello stato di diritto, la realizzazione di una prassi di trasparenza politica e amministrativa». A firmare l’atto sono solo in tre. Antonio Di Pietro, che porta in dote il simbolo registrato a Genova come «marchio di impresa personale». Il suo amico Mario Di Domenico, un avvocato abruzzese residente a Roma. E Silvana Mura, ex commerciante di biancheria a Chiari (Bs), l’amica di famiglia. Tre amici che, all’unanimità, nominano Di Pietro presidente. Mura diventa tesoriera, Di Domenico segretario. E partono.

Già nel 2001 l’Italia dei valori conquista un senatore (Valerio Carrara, subito passato a Forza Italia) e dunque accede ai generosi rimborsi previsti dalla legge: oltre mezzo miliardo di lire come anticipazione, più 822 milioni a rate nei quattro anni seguenti. Nel 2002 all’Idv vengono attribuiti altri 2 milioni di euro come «integrazione». Tutto bene? No, perché il segretario Di Domenico viene denunciato per appropriazione indebita. Verrà definitivamente assolto nel 2007 perché «il fatto non sussiste», ma al momento la sua è una presenza ingombrante. E dunque nuovo appuntamento dal notaio. Stavolta è Romolo Rummo, via Piemonte 117, Roma. Scusate la pedanteria: alle ore 13.30 del 5 novembre 2003 Antonio Di Pietro «prende la parola» e un attimo dopo le dimissioni di Di Domenico sono agli atti. Già che ci sono, si dimette anche Silvana Mura. Ma prima di andarsene, all’unanimità, i tre approvano il trasferimento della sede sociale da Busto Arsizio a Milano. Alle ore 13.35 l’assemblea  viene tolta.  Cinque minuti e l’Idv, da associazione  a tre soci, diventa di  fatto un paradossale partito «a  socio unico». Cinque minuti  fondamentali. E per capirlo basta  ficcare il naso nella nuova  sede del partito: via Felice Casati  1/A, a Milano. Nove vani  di proprietà della Iniziative immobiliari  srl di Gavirate, gruppo  Pirelli Re, che poco dopo  vengono comprati da un’altra  srl, la An.To.Cri. di Bergamo.

An come Anna, To come Toto,  Cri come Cristiano, i tre figli  di Di Pietro.  Un caso? Vediamo. Socio unico  della srl: Antonio Di Pietro.  Amministratore unico: Antonio  Di Pietro. Il capitale sociale è  esiguo, 50 mila euro appena; eppure,  nel giro di due anni la piccola  società riesce a mettere le  mani su due grandi appartamenti  a Milano e a Roma (ceduto,  quest’ultimo, poche settimane  fa). Valore dichiarato degli  immobili: 1 milione 788  mila euro. E da dove vengono  i soldi? Anno 2003: il socio  unico Di Pietro versa alla  An.To.Cri., ossia a se stesso, 100  mila euro come «prestito infruttifero  »; 2004: altri 300 mila euro;  2005: 783 mila euro. Un totale  di 1 milione 183 mila euro,  contanti, in tre anni.  Poi il socio unico della  An.To.Cri., sempre Di Pietro,  affitta all’associazione Italia dei  valori, di cui Di Pietro è unico  socio, l’appartamento di via Casati.

Un conflitto di interessi, o  no? E l’anno dopo raddoppia: la  An.To.Cri. acquista 10 vani in  via Principe Eugenio 31, a Roma,  e subito l’Idv decide di trasferirci  «la sede nazionale di rappresentanza  politica»: lo annuncia  il tesoriere nel 2005. E chi  è? Silvana Mura.  Vogliamo dare un’occhiata  più da vicino a questa bella signora  49enne, ora deputata dell’Italia  dei valori? Il 20 aprile  2004 entra anche lei nel consiglio  d’amministrazione della  An.To.Cri., insieme a Di Pietro  e un certo Belotti. Claudio Belotti,  ex convivente di Mura?  Proprio lui. I due non stanno  più insieme da tempo, ma hanno  un figlio; e i rapporti tra loro  sono così buoni che nel 2006,  dopo le elezioni, Tonino e Silvana  lasceranno proprio Belotti a  fare da amministratore unico.  Ora, Belotti non risulta avere  incarichi nel partito. Ma Mura…  Ricordate che il 5 novembre  2003 si era dimessa? Bene,  il 20 dicembre 2003 Di Pietro  ritorna dal notaio (a Bergamo,  stavolta) e nomina l’ex socia «tesoriere  nazionale del partito con  effetto immediato».  In base allo statuto dell'Idv il presidente può fare questo e altro: a
lui solo, e «fino a sua rinuncia», spettano la titolarità del simbolo e la modifica dello statuto; l'approvazione del «rendiconto»; la definizione delle candidature, la presentazione delle liste, la nominaì del tesoriere, l'assegnazione «di incarichi retribuiti», la ripartizione e l'utilizzo dei finanziamenti. Tutto, in una parola.
E sempre a lui, al presidentissimo, spetta il diritto di accettare i nuovi soci dell'Idv. Soci, attenzione. Perché di Italia dei valori, grazie allo statuto blindato da una girandola di notai (cinque
modifiche in tre anni, con cinque notai diversi), ce ne sono ormai due: quella pubblica, il partito, a cui chiunque può aderire a livello «politico», anche via internet; e quella, parallela, che percepisce e gestisce i giganteschi fondi pubblici: l'associazione di cui si diventa soci solo per accettazione del presidente davanti a un notaio. Manco fosse una società per azioni.
Quali e quanti soci sono entrati in tutti questi anni? Dentro, nel 2000: Di Pietro, Di Domenico, Mura. Fuori, nel 2003: Mura e Di Domenico. Unico socio rimasto: Di Pietro. E da solo il presidentissimo fa e disfa per un bel pezzo. Approva il bilancio. Tratta col gruppo di Occhetto e Giulietto Chiesa per una lista comune alle europee; sempre da solo, unico proprietario del marchio, deposita la lista Di Pietro-Occhetto e si assicura i rimborsi elettorali; poi si autoattribuisce un rimborso da 423 mila euro.
È ormai il 26 luglio 2004 quando il notaio Peppino Noseri di Bergamo registra, finalmente, l'ingresso di due nuovi soci. Li conosciamo già: l'avvocato Susanna Mazzoleni da Curno, nessuna attività politica conosciuta, ma madre di Anna e Toto Di Pietro (si è burrascosamente separata dal ministro nel 2002, ora i due vanno d'accordissimo
nell'Idv), e l'immancabile Silvana Mura.
Ricapitoliamo? Via Casati 1/A è il cuore di tutto il sodalizio: c'è la sede legale del partito (Di Pietro-Mura-Mazzoleni); la sede in cui si approvano i bilanci della An.To.Cri (Di Pietro-Mura-Belotti); la sede di una piccola società oggi in liquidazione, Progetto Orizzonti (Mura-Belotti). Lui, lei, l'ex moglie di lui e l'ex convivente di lei. Tutti insieme, appassionatamente, in un intreccio politico affaristico unico.

E dove i soldi sono tanti: solo nel 2006, grazie alle politiche (20 deputati e 5 senatori eletti), all’Idv vengono attribuiti 10 milioni 726 mila euro di rimborsi. Aggiungiamo il bendiddio già assegnato negli anni precedenti: fanno quasi 22 milioni e mezzo. Ma chi mai, al partito, ha visto o discusso i bilanci? «Non appena qualcuno cominciava a chieder conto dei soldi veniva messo alla porta» afferma Adriano Ciccioni, ex consigliere comunale a Milano.

L’articolo 10 dello statuto infatti parla chiaro: l’approvazione dei bilanci spetta solo al presidente, Antonio Di Pietro, e quindi ai soci, ossia l’ex moglie e l’amica di famiglia. Eppure... Verbale della riunione del 31 marzo 2005 nella solita sede di via Casati: alle ore 17 Di Pietro è il solo a «esaminare ed eventualmente approvare» il bilancio 2004. Non sono noccioline. Proventi: 5 milioni 589 mila euro. Oneri: 3 milioni 420 mila. Oneri straordinari: 364 mila 936. Avanzo di gestione: 1 milione 821 mila 415 euro. Soldi pubblici. Soldi nostri. Soldi erogati dall’ufficio di presidenza della Camera (della cui segreteria fa parte Silvana Mura, la responsabile dei bilanci Idv) senza un sistematico controllo sul come, a che scopo e da chi verranno spesi. La Corte dei conti ormai da anni protesta contro una legislazione piena di falle, che lascia ai partiti troppo margine di manovra. Ma i partiti, come hanno ricordato a tutti Fini e Di Pietro quel 3 ottobre, oggi non hanno personalità giuridica. Incassano e spendono come vogliono. E allora? Allora il presidente dell’Italia dei valori, «in forza dei poteri che lo statuto gli conferisce, approva il rendiconto». La riunione è sciolta alle 19.30. E nel verbale non compare l’ombra di alcun socio: né l’amica, né l’ex moglie.

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Laura Maragnani