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L'acqua alta che bagna tutta l'Italia

Ci indigna quanto successo a Venezia; ma ruberie uniscono l'intero paese. E quelle funzionano benissimo

Non è vero che il Mose è il simbolo dell’Italia che non funziona, come è stato detto ripetutamente in questi giorni, dopo la nuova alluvione che ha sommerso Venezia, la più grande dopo quella del 1966. Al contrario: il Mose è il simbolo dell’Italia che funziona perfettamente. I soldi che dovevano salvare la città più bella del mondo, infatti, sono stati utilizzati per salvare nell’ordine: amici, parenti, conoscenti, amanti, commesse inutili, appalti tarocchi, consulenze d’oro, gite premio, sponsorizzazioni, favori vari. È stato calcolato che in questo modo siano stati buttati almeno 100 milioni l’anno. Oltre un miliardo di euro. Il Mose non è mai stato completato. Ma chi l’ha mai detto che i 6 miliardi spesi per il Mose servivano davvero per fare il Mose?

L’Italia è un Paese così. Non è che funziona male. Funziona così. Negli altri Stati se decidono di costruire un ponte, costruiscono un ponte. Noi facciamo l’ente per il ponte sullo stretto di Messina, che dopo trent’anni di studi, progetti, quintali di carta e documenti, soldi e sprechi, è ancora lì, con il suo commissario e i suoi dipendenti, l’unico pilastro immarcescibile dell’opera. Che non ci sarà mai. Qualche tempo fa girava una storiella: un politico riceve un amico in una bella casa e l’amico gli chiede: «Come hai fai fatto a comprarla?». E lui: «La vedi quella strada? Per essere sicura doveva avere un lampione ogni venti metri. Io ne ho fatto mettere uno ogni cinquanta metri, con i soldi risparmiati, mi sono fatto la casa». Qualche tempo dopo l’amico va a trovare di nuovo il politico che sta in una casa ancora più bella e gli ripete la stessa domanda: «Come hai fatto a comprarla?». Lui: «La vedi quella strada?». «Sì». «Per renderla sicura bisognava mettere il guardarail nelle due carreggiate, io l’ho fatto mettere solo da una parte. E con i soldi risparmiati, eccomi nella casa più bella». Qualche tempo dopo l’amico torna a trovare il politico che sta in una villa meravigliosa, cento volte più bella delle altre, una dimora hollywoodiana. «Come hai fatto a comprarla?», gli chiede ancora. E lui: «La vedi quella strada?». «No». «Appunto»
Ecco mi è rivenuto in mente questo aneddoto: il Mose non c’è, ma in quanti si sono arricchiti? Il meccanismo malato che ha foraggiato l’intero sistema politico (a cominciare dall’allora governatore del centrodestra Giancarlo Galan) si fondava su due persone: Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova, e l’ingegner Piergiorgio Baita, detto il Serenissimo. Il primo è morto poco tempo fa in una lussuosa villa della California, dove ha vissuto gli ultimi anni della sua vita. Non ha mai pagato per i suoi disastri. Quando qualcuno gli faceva domande, rispondeva che non ricordava nulla. Il secondo, quando nel 2013 è stato arrestato, risultava titolare di 250 conti correnti, era arrivato a occupare fino a 88 poltrone contemporaneamente, e aveva accumulato ricchezze per milioni e milioni di euro. Ha patteggiato, è libero. L’hanno visto sfrecciare su una Porsche fiammante e cenare nei più rinomati ristoranti di pesce di Venezia. Altro che salvare la Laguna. Lui lì, ci continua soltanto a mangiare.

E così si spiega il paradosso di un sistema che è stato pensato nel 1966, previsto per la prima volta da una legge nel 1984, formalmente avviato con la posa della prima pietra nel 2003, e che nonostante tutto ciò, incredibilmente, non è ancora concluso. Con quell’assurdità che sta nel nome stesso: Mose, Modulo sperimentale elettromeccanico.
Pensateci: abbiamo quasi da 40 anni un modulo sperimentale che nessuno ha mai sperimentato. Ormai è ultimato al 95 per cento, ma nel frattempo è già consumato, arrugginito, rovinato. Si fanno bandi per sostituire i pezzi. L’inaugurazione è prevista per il 31 dicembre del 2021. L’altro giorno il premier Giuseppe Conte ha annunciato trionfante: «La anticiperemo». A quando? «Alla primavera 2021». Bello sforzo. Dopo 50 anni, si anticipa di qualche mese (se va tutto bene) un’opera che aspettiamo dal 1966 e non si sa ancora se funzionerà o no per il semplice fatto che è costata sei miliardi di euro senza mai funzionare. Non è geniale?

Ma credetemi: non è un’eccezione. È l’Italia che funziona così. Ormai non riusciamo neppure più a meravigliarci. Da sei anni per esempio quelli che non fanno funzionare il Mose sono due commissari, pagati 280 mila euro l’anno a testa, con stipendio che si prolunga man mano che il Mose non funziona. Ora come soluzione dopo lo choc dell’acqua alta, sapete che si fa? Si nomina un altro commissario. Anzi, un supercommissario. E avanti, un supercommissario dopo l’altro, perché nell’Italia che si specchia nella Laguna affondante non è importante che si alzino le difesa. Ma che si alzino gli stipendi. È per quello che serve il Mose. È per quello che è servito. E in questo, bisogna dirlo, è servito alla perfezione.
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Mario Giordano

(Alessandria, 1966). Ha incominciato a denunciare scandali all'inizio della sua carriera (il primo libro s'intitolava Silenzio, si ruba) e non s'è ancora stancato. Purtroppo neppure gli altri si sono stancati di rubare. Ha diretto Studio Aperto, Il Giornale, l'all news di Mediaset Tgcom24 e ora il Tg4. Sposato, ha quattro figli che sono il miglior allenamento per questo giornale. Infatti ogni sera gli dicono: «Papà, dicci la verità». Provate voi a mentire.

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