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Petrolio, le ragioni dello scontro Renzi-magistrati

Il premier attacca i pm per difendere il suo governo e il ministro Boschi. Ma la loro scelta dei tempi per far esplodere il caso giudiziario risulta comunque sospetta

Il rapporto tra Matteo Renzi e i magistrati non è mai stato particolarmente amichevole. Soprattutto da quando la Camera ha dato il via libera definitivo alla legge sulla responsabilità civile dei magistrati percepita dalla stragrande maggioranza delle toghe come un vero atto di guerra. Ma mai prima dello scoppio del caso “Tempa Rossa”, costato le dimissioni a un ministro del suo governo e l'audizione di Maria Elena Boschi, il premier era arrivato a sfidare i magistrati a interrogare anche lui. Mai aveva provocato una Procura, come quella di Potenza, a produrre sentenze in tempi più rapidi di quelli che trascorrono tra un'olimpiade e l'altra. Mai l'Anm si era rivolta a lui giudicando le sue parole “inopportune nei tempi e inconsistenti nei fatti”.


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Il clamore mediatico

Un affondo in parte attenuato quando il premier ha ribadito, anche durante la sessione di #matteorisponde di ieri, “noi non accusiamo i magistrati, li incoraggiamo solo a fare più sentenze e il più velocemente possibile”. Chiarimento che comunque non sembra essere stato sufficiente a smorzare le polemiche. Anche per via dell'enorme riscontro mediatico che le accuse dei pm al governo – non è escluso che anche Federica Guidi finisca per essere iscritta nel registro degli indagati insieme al suo ex fidanzato petroliere Gianluca Gemelli – hanno avuto e proprio a pochi giorni dal referendum del 17 aprile sulle famose trivelle.

Interessi leciti e illeciti

Ancora prima che in tribunale, infatti, è sui giornali che si sta discutendo se l'esecutivo abbia avuto interessi non troppo leciti con le compagnie petrolifere. “Non troppo leciti”: è questo il fattore discriminante. Perché che il governo abbia interessi con le compagnie petrolifere laddove si tratti di sfruttare materie prime che possono incrementare la porzione di energia che l'Italia è in grado di produrre per conto suo oltre a quella che acquista all'estero, è invece un fatto, forse discutibile e molto negativo per gli ambientalisti, ma certamente del tutto lecito.

I limiti dell'azione dei magistrati

Ora, se è vero che lo scontro con i magistrati nasce in questo caso dall'esigenza, per Matteo Renzi, di difendere un provvedimento del suo governo e, ancora più specificatamente, il ruolo del suo ministro di punta, Maria Elena Boschi, è anche vero che il tema dei limiti dell'azione della magistratura sulle scelte che fa il Parlamento esiste. E' sacrosanto che gli inquirenti facciano il loro lavoro e perseguano ogni presunto autore di reato quando ritengono che, appunto, ci sia reato. Meno accettabile è quando il confine tra autonomia dell'iniziativa penale e ingerenza nelle scelte, di politica economica per esempio, che un governo e un Parlamento assumono diventa più labile.

Inchiesta a misura di M5S

Se estraendo petrolio si commettono reati è giusto che questi siano individuati e auspicabilmente anche puniti, ma estrarre petrolio non è di per sé reato, come non lo è il fatto che imprese private si arricchiscano estraendo petrolio. Mentre è esattamente questa la convinzione che alcune forze politiche, M5S in testa, stanno cercando di inculcare nell'opinione pubblica italiana, sfruttando l'inchiesta della Procura di Potenza, nel rappresentare l'Italia come un paese schiavo delle lobby del petrolio per far vincere i Sì al referendum contro le trivelle.

L'indipendenza della magistratura

Da che è legittimo il sospetto che la magistratura, nella scelta anche dei tempi su quando far scattare gli arresti nell'ambito di inchieste che durano da anni (quella su Tempa Rossa è iniziata nel 2014) non sia proprio al di sopra delle parti quando punta le sue antenne sul mondo della politica e decide, come ha fatto una potente corrente quale Magistratura democratica, di dichiarare il proprio orientamento, contrario in questo caso, su temi come il referendum costituzionale di ottobre.

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Maria Franco