Perché i droni USA sbagliano così spesso
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Perché i droni USA sbagliano così spesso

La Cia ha abbandonato l'attività di intelligence. L'effetto dell'uccisione accidentale di Lo Porto sul possibile uso dei velivoli senza pilota in Libia

La morte di Giovanni Lo Porto risale al gennaio di quest’anno, esattamente tre anni dopo che il cooperante italiano è stato rapito in Pakistan da un gruppo terroristico riferibile ad Al Qaeda. Eppure, solo il 23 aprile la notizia è stata declassificata e comunicata al mondo dal presidente americano in persona, Barack Obama. Il quale, peraltro, si è assunto la piena responsabilità dell’incidente.
E ci mancherebbe altro, verrebbe da dire.

La triste fine di Lo Porto e quella dell’americano Warren Weinstein, sono state causate accidentalmente da un attacco di un drone USA diretto contro un covo di terroristi, dove si trovavano anche gli sventurati ostaggi.

Stridono e irritano profondamente le tempistiche e le modalità con cui la Casa Bianca ha inteso comunicare la notizia al mondo. Sia per la presenza del premier italiano Matteo Renzi a Washington D.C. nei giorni precedenti la declassificazione dell’informativa sia per il concomitante vertice dell’Unione Europea per la sicurezza del Mediterraneo. Vertice nel quale, tra le altre cose, si è discusso proprio del possibile utilizzo di droni armati per distruggere i barconi e fiaccare il traffico di esseri umani.

Il detestabile uso dei droni
L’utilità dei droni è indubbia nelle guerre moderne, tuttavia va fatta una riflessione seria sull’argomento, che riguarda quasi esclusivamente gli Stati Uniti d’America e il loro modus operandi. La CIA, innamoratasi dell’efficacia dei velivoli spia senza pilota, che le consentono di spiare ogni angolo del pianeta senza rischiare uomini sul campo, ha progressivamente quasi abbandonato l’attività di human intelligence a favore dell’elettronica e, dunque, dei droni. Il che l’ha resa se possibile più cinica, più imprecisa e più violenta.

Basti pensare ai tentativi di uccidere il Califfo dello Stato Islamico Al Baghdadi. Più volte dato per morto sotto bombardamenti mirati, la sua sorte è stata circondata da tanti “forse”, “probabilmente”, “pensiamo che…”, senza mai una conferma né una verifica sul campo. Questo perché sul campo non è rimasto nessun agente, tutti chiusi invece in container di metallo nelle basi americani, a migliaia di chilometri di distanza con un joystick in mano e una bibita nell’altra. Il che è veramente grottesco.

I nuovi analisti reclutati da Langley ormai sono sempre più impegnati nella selezione di potenziali obiettivi per i droni che non nell’analisi delle fonti e informazioni sul terreno. Si calcola che circa duemila funzionari si occupino della gestione dei droni, di cui un 20% si dedica solo alla selezione dei bersagli. Questo significa che Langley si affida più a un’immagine satellitare che non all’intelligenza dell’uomo. Da cui gli errori madornali come l’assassinio di Lo Porto e Weinstein.

La nuova politica CIA
L’origine di questo vulnus è da ricercare nel post 11 settembre 2001, con l’adozione di misure eccezionali per la lotta al terrorismo che, con l’andare del tempo, hanno portato a una drastica mutazione genetica della struttura e della filosofia operativa della stessa CIA che, sotto la guida del generale David Petraeus (2011-2012), si è trasformata progressivamente da organismo di intelligence in una vera e propria struttura paramilitare.

Oggi è John O. Brennan a guidare la Central Intelligence Agency. Secondo la sua visione, Langley sarebbe dovuta diventare meno militare e più civile. Brennan, tuttavia, è a sua volta il grande ispiratore della campagna per l’uso massiccio dei velivoli senza pilota in funzione anti-terrorismo. Sotto la sua guida, la CIA si è definitivamente abituata ad agire secondo uno schema che non è altro che killeraggio indiscriminato.

Sinora, questo approccio ha fatto centinaia di vittime e conosciuto un uso massiccio di omicidi mirati autorizzati dal presidente in persona (motivo per cui l’Amministrazione USA è finita sotto inchiesta anche da parte dell’ONU), che continuano a provocare numerose vittime civili come Giovanni Lo Porto.

L’incostituzionalità dei droni
Sotto la presidenza Obama i droni sono divenuti perciò vere e proprie killing machines, che hanno decretato anche gli omicidi intenzionali di cittadini americani, commessi oltre i confini nazionali senza alcuna sentenza di un giudice né un giusto processo. Per stessa ammissione di Obama, dal 2009 a oggi i droni USA hanno messo a morte almeno quattro cittadini americani tra lo Yemen e il Pakistan. Un fatto che non solo è anti-americano, ma del tutto incostituzionale. Eppure, nessuno lo ricorda mai al premio Nobel per la Pace.

Fece discutere, ad esempio, l’uccisione di Anwar Al Maliki, cittadino americano divenuto capo operativo di Al Qaeda nella Penisola arabica (AQAP), colpito da un drone nello Yemen nel settembre 2011. La morte decisa a distanza e inflitta al di fuori di un contesto bellico immediato di un cittadino americano, fuori dalla tutela dei diritti costituzionali, è stato il primo campanello d’allarme della disinvoltura con la quale la CIA - che non è il Pentagono e che non dovrebbe svolgere funzioni militari - agisce.

Il diritto e la licenza di uccidere che i presidenti degli Stati Uniti, George W. Bush prima e Barack Obama poi si sono arrogantemente auto-assegnati dietro la giustificazione della lotta al terrorismo, presenta insomma non pochi problemi di liceità anche in termini di diritto internazionale.

I droni armati italiani
In ogni caso, a disporre dei droni armati sono quasi esclusivamente gli Stati Uniti che, da tradizione, non condividono le conoscenze e le tecnologie superiori neanche con gli alleati della NATO, eccezion fatta per i fidati britannici.

Eppure, l’Italia è leader mondiale nella costruzione di velivoli senza pilota. Il gruppo Finmeccanica, ad esempio, attraverso la controllata Selex produce il Falco, un drone particolarmente efficiente e adatto alle missioni di sorveglianza, rilevamento di target, localizzazione, identificazione, ma capace anche di adattarsi alle missioni cosiddette “pericolose”.

Il che significa che l’Italia sarebbe in grado di produrre anche velivoli armati. Ma, come ha recentemente dichiarato il ministro della Difesa italiano Roberta Pinotti, “dobbiamo chiedere il permesso agli americani” per armarli. Oltre a investimenti particolarmente onerosi, infatti, servono alcune “chiavi d’accesso” tecnologiche di cui non disponiamo e che il governo USA non ha assolutamente intenzione di condividere.

Eppure, è dal 2011 che l’aeronautica italiana ha ordinato negli Stati Uniti i kit che rendono possibile applicare missili Hellfire e bombe a guida satellitare JDAM alla nostra piccola flotta di droni, composta da 6 Predator e 6 Reaper.

Nel maggio 2013, Il Sole 24 Ore scriveva in proposito: “L'Italia alza la voce con gli Stati Uniti lamentando i ritardi e le esitazioni di Washington nel consegnare gli armamenti da imbarcare sui sei droni Reaper acquisiti negli States dall'Aeronautica italiana che si aggiungono ai sei più piccoli Predator già impiegati in Iraq e Libia e schierati in Afghanistan. Roma chiese a Washington l'autorizzazione ad acquisire missili e bombe per i droni quasi due anni fa”. La mancanza di risposta da Washington fu allora definito “un caso che non è molto accettabile” da Claudio Debertolis, alla guida di Segredifesa, l’organismo militare che cura l'acquisizione di nuove armi ed equipaggiamenti.

Il vertice UE e i droni in Libia
Ancora oggi, di quella tecnologia non si ha traccia. Washington pensa forse che siamo ancora degli alleati “immaturi”. Ed è perciò che Matteo Renzi in America si sarà sentito rispondere picche per l’ennesima volta, nonostante l’articolo del Washington Post di febbraio lasciasse aperto uno spiraglio per l’autorizzazione USA.
Come se non bastasse, la notizia della morte a mezzo drone di Lo Porto e Weinstein concomitante al vertice UE, getta un’ombra sull’opportunità di sfruttare i droni in Libia, almeno per l’impressionabile pubblico europeo. Guarda caso, al vertice di Bruxelles non si è trovato un accordo sul tema. E il sospetto che ci sia anche lo zampino dell’Amministrazione Obama è forte.

A pensar male si fa peccato, dice un adagio andreottiano, ma spesso ci si azzecca. Circostanza casuale o meno, la mossa di Barack Obama di annunciare proprio ieri l’infausta notizia, esattamente cinque minuti prima dell’inizio del vertice, ricorda un po’ troppo da vicino le uscite hollywoodiane di Frank Underwood, lo spietato presidente americano della serie televisiva House of Cards (interpretato da Kevin Spacey), che non lesina bassezze e soprusi. Purtroppo questa non è una battuta, è piuttosto la triste fotografia di una politica estera americana, che un tempo si sarebbe definita scellerata, dove può esistere un solo dominus. Soprattutto in materia di droni.

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Luciano Tirinnanzi