La base Pd: "Non ne possiamo più"
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La base Pd: "Non ne possiamo più"

Dopo il caso Ablyazov e il salvataggio del governo: tutti i bocconi amari che gli elettori di centrosinistra hanno ingoiato in questi mesi

Il salvataggio del ministro dell'interno Angelino Alfano per il caso Ablyazov  viene giudicato dalla base del Pd come un ulteriore passaggio choc di questa stagione postelettorale, cominiciata proprio con la mancata vittoria (vittoria troppo annunciata) alle elezioni del 24-25 febbraio. Per gli elettori del Pd chi sta davvero tirando troppo la corda non è il Cavaliere, come dice il segretario Guglielmo Epifani, ma il loro stesso partito. 

Ecco tutti i rospi ingoiati dal 24 febbraio scorso fino ad oggi. 

LA VITTORIA-NON VITTORIA

E' il pomeriggio del 25 febbraio e dopo i primi instant poll sembra che la coalizione guidata da Pier Luigi Bersani abbia raccolto una quantità di voti tale da consentirle di governare senza problemi. Ma l'illusione dura poco. Quando cominciano ad arrivare i voti reali il distacco va via via assottigliandosi fino al delinearsi di una situazione di assoluta ingovernabilità: se alla Camera il Pd risulta infatti il primo partito e ottiene il premio di maggioranza, quindi circa 200 deputati in più del centrodestra, al Senato il risicatissimo vantaggio consegna alla compagine di centrosinistra appena 5 seggi in più. L'elettorato è sotto choc; Bersani si sente male. Nel vero senso della parola. Infatti non parla per una giornata intera. Quando si palesa davanti alle telecamere è grigio in volto, improvvisamente invecchiato di 10 anni. Convinto di avere già la vittoria in tasca e con le valige pronte per trasferirsi a Palazzo Chigi, è costretto ad ammettere la dura realtà: il leopardo non è stato smacchiato. Toccherà fare ancora i conti con SilvioBerlusconi, dato per morto fino al giorno prima e artefice, invece, di una prodigiosa rimonta. Tra gli elettori Pd iniziano i pentimenti: “ma chi abbiamo scelto alle primarie?”.

I 101 FRANCO-TRADITORI

E' senza dubbio quello della mancata elezione di Romano Prodi al Quirinale il punto più basso mai toccato dai democratici dal giorno della nascita del Pd. Il partito rischia sul serio l'implosione, la dissoluzione, la fine insomma. Il giorno prima l'assemblea si accorda sul nome del professore. In Aula in 101 tradiscono l'impegno. Il fondatore del Pd, l'unico in grado di battere due volte Silvio Berlusconi e di portare il centro-sinistra al governo viene impallinato senza pietà, senza rispetto, senza decenza. Sembra raggiunto il punto di non ritorno. L'intero elettorato di centrosinistra è, senza mezzi termini, schifato. Aveva invocato Stefano Rodotà, aveva accettato più o meno di buon grado la scelta di Prodi e alla fine si è ritrovato di nuovo un Giorgio Napolitano costretto a tornare al Colle ma a precise condizioni: “Adesso o fate come dico io o mi dimetto subito”. Sel, compresa l'antifona, esce dalla coalizione. Bersani si dimette da segretario ed eterno candidato premier. “Uno su quattro tra di noi – dice in lacrime - ha tradito”. Non ha alternative. La guida del partito passerà a breve all'ex segretario nazionale della Cgil Guglielmo Epifani

LA NASCITA DEL GOVERNO DELLE GRANDI INTESE

Le emergenze sociali, la crisi economica, la necessità di riforme istituzionali e di una nuova legge elettorale impongono alla politica di dar vita a un governo con una maggioranza sufficiente a guidare il Paese nei i prossimi mesi. Sono le grandi intese, quelle tra Pd e Pdl. Per il popolo di centrosinistra è un colpo al cuore. Il più duro. Come darsi pace del fatto di aver pure sborsato due euro alle primarie per poi ritrovarsi alleati di Berlusconi indicato, solo fino a qualche mese prima, come il pericolo numero uno? Per qualcuno, tutto sommato, non ci sarebbe nemmeno troppo da sorprendersi visto che a guidare il Pd sono le stesse persone che, anche prima della nascita del Pd, quando si erano ritrovate a essere maggioranza nel Paese, non hanno fatto nulla contro conflitto d'interessi e leggi ad personam. Ma la foto di gruppo con Enrico Letta al fianco di Angelino Alfano gli elettori e i militanti Pd non la possono proprio sopportare.

LA SCHEDA BIANCA SULLA SANTANCHE'

Non ha certo fatto piacere. La Pitonessa berlusconiana vice di Laura Boldrini alla Camera proprio no.

LE LOTTE FRATRICIDE IN VISTA DEL CONGRESSO

Le guerra sulle regole, le alleanze variabili, lo scontro sui nomi, la disputa tra partito pesante e partito leggero, i tiri al piccione, le divisioni tra correnti: “ma che ce neimporta a noi!” esplode la base ancora in attesa che qualcuno le spieghi che idea di Paese abbia il Pd, chiunque sia a guidarlo. Che i dirigenti democratici si dividano su tutto e si ritrovino a turno più vicini a Brunetta e Schifani che ai propri colleghi di partito produce nell'elettorato nausea, estraneità, lontananza. Nel frattempo cresce il bisogno di un azzeramento integrale, non delle persone ma di questa palude, di questa situazione stagnante. “Basta, basta, basta – è l'accorato appello - Ve lo preghiamo tanti, praticamente tutti”.

GLI F-35

Nemmeno sull'acquisto dei 90 velivoli militari per 13 miliardi di euro il Partito Democratico riesce a trovare una posizione comune al suo interno. La maggioranza è contraria, ma non sono nemmeno così pochi quelli che invece dicono “sì”. Chi vota Pd ha le mani nei capelli: “possibile che invece di destinare risorse ai giovani disoccupati, ci sono nostri parlamentari che pensano sia giusto buttare tutti questi soldi in mezzi da guerra?

LO STOP DELLE CAMERE PER BERLUSCONI

La Cassazione fissa al 30 luglio l'udienza del processo Mediaset in cui Silvio Berlusconi rischia la condanna definitiva e l'interdizione per 5 anni dai pubblici uffici; il Pdl insorge, grida al colpo di stato e minaccia l'Aventino contro una giustizia eccezionalmente rapida solo quando di mezzo c'è il Cavaliere. Poi la richiesta di tre giorni di stop dei lavori parlamentari e il via libera a un paio d'ore da parte del Pd che però si spacca con i renziani, Paolo Gentiloni, Rosy Bindi, Sandra Zampa e Pippo Civati che escono dall'Aula. Il segretario democratico Guglielmo Epifani esorta il Pdl a “sciogliere il nodo”, a dimostrare “di essere interessato ai problemi del Paese e non alle vicende giudiziarie di Berlusconi”. Ma il nodo, per gli elettori, è il Pd che deve scioglierlo. Epifani minaccia: “Il Pdl non tiri troppo la corda”. Una corda che ogni giorno che passa si trasforma sempre di più in un cappio stretto intorno al collo del governo Letta e soprattutto intorno a quello del Partito Democratico. “E' ora di spezzarla questa corda!” insorge la base che di subire l'ennesimo ricatto del Cavaliere non ne vuole più sapere. "E' ora di smetterla con le larghe intese, con questo masochistico senso di responsabilità. La caduta del governo sarebbe un danno enorme per l'Italia? Pazienza". Il limite è superato. Il vaso è colmo. Un prezzo tanto alto non si può davvero più pagare. Non per gli interessi di Berlusconi almeno.

IL SALVATAGGIO DI ALFANO

E' l'ultimo capitolo, in ordine di tempo, del libro che i sostenitori del Pd non avrebbero mai voluto leggere. "A sua insaputa" il ministro dell'Interno Angelino Alfano dà il via libera al rimpatrio della moglie e della figlioletta del dissidente kazako Ablyazov, ma giura di non esserne mai stato informato se non quando ormai era troppo tardi. M5S e Sel presentano una mozione di sfiducia al Senato. I gruppo Pd prima si spacca poi vota no quasi all'unanimità. In gioco, come sempre, c'è il destino del governo del fare e del presidente del consiglio Enrico Letta. In caso di smottamonti (leggi: sfiducia ad Alfano) per il capo dello Stato Giorgio Napolitano i contraccolpi sarebbero troppo gravi. Quindi avanti sulla linea della responsabilità. Quella che i militanti non sopportano né comprendono più. Monta la rabbia, l'insofferenza, il disagio sempre più forte nei confronti di un partito "ostaggio di Berlusconi, Brunetta e Schifani" e che rischia di implodere sulle proprie divisioni interne. E poco importa alla base se, anche questa volta, i propri rappresentanti in Parlamento si sgolano a ripetere che comunque Alfano non ha chiarito nulla, che restano delle ombre, che di fronte a una figuraccia di livello internazionale dovrebbe dimettersi di sua spontanea volontà se poi, alla resa dei conti, loro votano per salvargli la pelle e la poltrona.

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Claudia Daconto