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Che questi parlamentari siano dannati

Odiati perché privilegiati, attaccati per gli stipendi elevati. Ma, invece che dimezzare gli assegni, non è meglio tagliarne il numero?

Ale Di Battista e Giggino Di Maio s’incontrano a Capodanno e come anello di fidanzamento per celebrare la loro unione fanno una solenne promessa agli italiani: quest’anno vi regaleremo il dimezzamento degli stipendi ai parlamentari.
Perché a un Paese che ha bisogno di tante cose, che ha cento priorità urgenti, due capi e due comunicatori abili promettono in dono una punizione, un provvedimento contro pochi anziché a favore di tanti? Sarebbe facile dire perché le altre riforme costano, questa no, è tecnicamente più facile, fa scena e fa pure risparmiare qualche soldino. Sarebbe facile aggiungere che i due pentastellati conoscono bene il loro elettorato, sanno che il voto contro, il risentimento diffuso, l’invidia egualitaria hanno un peso importante nella gente, a partire da chi se la passa male. Ma tutto questo non basta. C’è qualcosa di più profondo che i dioscuri del grillismo capiscono a naso.
Gli italiani detestano da sempre i parlamentari, quando devono indicare una figura negativa ne hanno una che pure ossequiano con un titolo che sa di medioevo giapponese: l’Onorevole. Eccolo, l’Abominevole Onorevole, Mangiapane a tradimento, Privilegiato, Superpagato. Un tempo disprezzato perché Notabile, uno di Lorsignori, oggi disprezzato perché baciato dalla ruota della fortuna senza particolari meriti e curriculum. I grillini gli preferiscono la democrazia diretta dei cittadini, rousseauviana come la loro piattaforma, senza mediazioni, reticolare, fondata sul plebiscito permanente e il sondaggio pop.

Ma in questo i rivoluzionari grillini sfondano una porta aperta. C’è un filo rosso che percorre la storia d’Italia dall’unità ai giorni nostri. È un filo a volte palese, a volte sommerso, ma ci accompagna dalla nascita. È la critica, il rifiuto, il rigetto del parlamentarismo. La critica al parlamento nacque già col suo primo insediamento. Era ancora a Torino il Parlamento del neonato Stato italiano, e un parlamentare, uno di loro, come del resto Di Maio e Di Battista (ex, ma presto di ritorno), scrisse una stroncatura memorabile: I moribondi di Palazzo Carignano, di Ferdinando Petruccelli della Gattina. Un libro contro i parlamentari. Contro il parlamentarismo, i connubi, i trasformismi, sorse una vasta opinione tra l’ottocento e il novecento. Era una letturatura conservatrice, aristocratica, elitista. Ma presto s’incrociò con l’antiparlamentarismo che veniva dal basso, rivoluzionario, socialista, sindacalista. E l’incrocio partorì il fascismo, l’invettiva ducesca contro l’«aula sorda e grigia».
Ma l’antiparlamentarismo restò anche con l’avvento della repubblica democratica e antifascista. Vi apparve subito dopo la guerra, e l’Uomo qualunque ne fu vibrante espressione; s’insinuò tra scrittori e giornalisti, si ritrovò nei partiti di destra ma anche di sinistra, quelli che rimpiangevano lo stato autoritario, la dittatura del proletariato o il governo degli ottimati. Frenavano la critica popolare due ragioni, la convinzione e la convenienza, ossia la comune ideologia e i favori clientelari. Poi si esaurirono. Non c’è stata crisi in Italia che non abbia visto risalire il rigurgito antiparlamentare e la voglia di punire gli onorevoli. Se in Italia ci fosse un referendum istituzionale, la democrazia presidenziale avrebbe trionfato sulla democrazia parlamentare.
L’indennità del parlamentare è sempre stata la prima pietra dello scandalo; la seconda era il vitalizio, già castigato; poi l’immunità parlamentare, infine i vantaggi, le tessere gratis, la mensa delle Camere a prezzi di barbone ma con prestazioni, secondo la vox populi, da gran ristorante. Ridurre o addirittura dimezzare i loro «stipendi» incontra un consenso largo e profondo, che viene da lontano. Ma non rischia di squalificare ancor di più il ruolo e il profilo dei parlamentari? Di reclutare personale politico sempre più scadente?

Chi magnifica i risparmi non capisce la differenza tra i milioni e i miliardi di euro, o pensa che spalmare mezza indennità di mille persone su venti milioni di pensioni e salari poveri sia un gran vantaggio; ma è solo una tazzina di caffè a testa. E se invece di dimezzare i loro stipendi si dimezzasse il loro numero davvero eccessivo? Il risparmio sarebbe maggiore, perché si eliminerebbe la pletora di privilegi, assistenti e personale procapite, si snellirebbero le procedure. E la qualità dei parlamentari, magari, potrebbe migliorare con una selezione più stringente. Anzi, vi scandalizza che la classe dirigente di un Paese abbia stipendi così alti, come i magistrati del resto; ma non vi scandalizzano gli stipendi dei commessi delle Camere, che fanno un lavoro non più importante degli altri dipendenti pubblici ma guadagnano quattro volte tanto?
C’è poi una riforma strutturale più radicale che gli italiani approverebbero a maggioranza larga e che davvero porterebbe un gran risparmio: e se toccassero le Regioni, se fosse stata la loro introduzione quasi 50 anni fa a dare la mazzata fatale ai conti pubblici, con venti staterelli, venti governi, venti burocrazie, e venti parlamenti?
Insomma, se si vuole toccare il campo dei privilegi, delle ingiustizie e degli sprechi, si potrebbero adottare riforme più organiche, più razionali, più radicali. Che darebbero insieme più dignità agli stessi rappresentanti del popolo sovrano e minori alibi. I parlamentari prendono troppo o sono troppi e valgono poco? Averne meno ma scelti meglio: meno onorevoli ma onorevoli davvero...

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Marcello Veneziani