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Parigi: Macron con Trump (e l'ombra di Putin)

L’anniversario della Rivoluzione Francese nel Centenario della Rivoluzione Russa, nell’Anno Primo della Rivoluzione Trump

L’acqua della Senna scorre, rimescolando secoli e parole d’ordine. Oggi tra noi e la realtà c’è un device che filtra il mondo a nostra relativa insaputa.

Liberté, égalité, fraternité subiscono così il download, l’aggiornamento del sistema automatico; nel linguaggio 3.0 del sovranismo imperante diventano Trumpité, Putinité, Macronité.

E sia! A Parigi si celebra il 14 luglio! I poveri alla larga: il taglio minimo per accedere al club è da 100.

Cento gli anni della Rivoluzione Russa, l’unico evento mondiale capace di fare ombra all’Evento con la maiuscola, come lo scrivono i francesi, cioè la Rivoluzione dell’Ottantanove.
Cento gli anni delle truppe americane impegnate nella Grande Guerra.
Per questo Donald Trump ha accettato l’invito di Emmanuel Macron, mentre Vladimir Putin è ormai Ubik: c’è anche quando non c’è.

La libertà?

È un concetto atlantico. Gli storici anglosassoni, devoti alla sintesi, usano una sola espressione per le Rivoluzioni Americana e Francese: le Rivoluzioni Atlantiche, dal nome del mare che tocca contemporaneamente le sponde dei due paesi. Benjamin Franklin e Thomas Jefferson hanno cercato di rappresentare al meglio l’America a Parigi, ma non potevano spingersi tanto in avanti da ipotizzare il pronipote Trump in pieno cortocircuito illiberale. Nell’Anno Primo del nuovo corso il menu à la carte prevede: Buy American, Hire American, il Muslim Ban, a seguire il Muro contro il sud del mondo, la fine dell’Obama Care, una manciata di nuovi dazi doganali protezionistici e come dessert colpire duro – con un caccia o a mani nude fa lo stesso – la stampa libera capeggiata dalla Cnn e ribattezzata con un tweet da 23 milioni di follower Fnn. È la Trumpité.

L’uguaglianza?

Putin sa quello che vuole perché sa quello che dice: "chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello. Chi non lo rimpiange è senza cuore."

Avessero trovato una frase così felice i capi della Democrazia Cristiana, la prima repubblica sarebbe ancora qui con noi. Magari! Invece no. Ai russi è andata meglio, nel peggio. A volte bisogna scendere nel sottosuolo per ritrovare identità e, lì accanto, addirittura una vocazione imperiale. D’altronde anche il comunismo dei soviet di egualitario aveva poco o nulla, con l’avanguardia a dettare la strada e il popolo tenuto a seguirla. Quando gli scaffali furono vuoti – e ci vollero ottant’anni e il fallimento di un riformista illuso di nome Gorbaciov – il popolo andò per la sua strada ignorando il Palazzo dove la bandiera rossa veniva ammainata. Un pifferaio magico chiamato Elstin tenne e poi passò lo scettro del potere: tutto il mondo s’aspettava qualcuno con gote rosse e amore per i rubli facili: invece arrivò Putin.

L’orchestra tzigana aveva pescato, senza saperlo, Toscanini. E cambiò musica. Eccome! Oggi la Russia, inutile negarlo, detta il tempo della partitura geopolitica. Ma un balzo così repentino lascia sempre per strada qualcuno. Minoranze civili, dissidenze. Nella Russia di oggi "uguaglianza" si legge "sacrificio", e l’ascesa di Putin coinciderà sempre con la tragedia del Kursk (il sommergibile con armamento nucleare affondato nel Mare di Barents nell'agosto del 2000), e l’eroico biglietto del marinaio Dimitry Kolesnikov dagli abissi. È la Putinité.

La Fratellanza?

Ammettiamolo, Macron non ha un compito facile. Fare grande la Francia? Rilanciare l’Europa? No. Dimostrare che in politica in bravi ragazzi servano a qualcosa. I francesi, non potendo proprio votare per l’ultima della classe, hanno dovuto accontentarsi del primo. Ha stupito i borghesi per la moglie che ama, li rassicura in ciò che loro amano: il denaro. Incontrando Trump la prima volta si son stretti la mano fino a farsi mancare il sangue. Si chiama white-knuckle handshake. Macron l’ha definito “un momento di verità.”

Quale?

La sua fratellanza rimane lucida. I migranti che scappano dalla guerra sì, quelli dalla miseria mai e poi mai.

La fame non è una buona ragione per far capolino. Ha una logica sola, d’altronde forse ha anche un abito solo (giacca a due bottoni, punto di blu audace), si consola però avendo l’Eliseo e tutta l’Assemblea Nazionale.

L’ecologia sì; aggregando il dato con la porta sbattuta in faccia ai miserabili ne esce il profilo moderno del roussoiano di destra. Mancava, in effetti.

I Lumi d’accordo, ma senza sentimentalismi. Defilato all’ultimo G20, deve ancora affrontare una vera barricata: una prova che dica (a noi e a lui) chi è davvero questo ragazzo piccardo arrivato nella capitale per snobbare testualmente "le petit milieu parisien." Era dai tempi di Balzac, penseranno i parigini doc, che non si vedeva in giro un tipo così. È la Macronité.

Spesso le parole che usiamo sono più intelligenti di noi. Lo ha scritto Ėjzenštejn, quello della corazzata Potëmkin. Cosa siano davvero le parole, anche quando vengono storpiate, è un interrogativo difficile da sciogliere, mentre il motto francese compie quest’anno un anno in più (ne ha ormai ben più di duecento) e non li porta proprio benissimo.

L'incontro Trump-Macron

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Il saluto del presidente Usa Donald Trump all'Eliseo - Parigi, 13 luglio 2017

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