In Cina la giustizia non esiste. Parola del dissidente Ai Weiwei
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In Cina la giustizia non esiste. Parola del dissidente Ai Weiwei

L'architetto più contestato della Repubblica popolare è stato condannato per evasione fiscale e la sua Factory dovrà essere chiusa. Ecco come il regime ha zittito un altro suo nemico

In un modo o nell'altro, il Partito comunista cinese vince sempre. Lo ha dimostrato con il modo in cui ha gestito il caso Bo Xilai , e lo ha ribadito con la conferma in appello della maximulta di 2,4 milioni di dollari all'architetto dissidente Ai Weiwei. L'uomo che, dopo aver collaborato al progetto per la realizzazione per conto del regime il Nido d'Uccello, lo stadio delle Olimpiadi di Pechino, si è imbarcato in una crociata contro quest'ultimo da cui è uscito, dopo quattro anni di sfide e denunce, sicuramente sconfitto. Anche se non dal suo punto di vista.

Ufficialmente l'architetto 55enne è stato condannato per evasione fiscale della sua impresa, la Beijing Fake Cultural Development Limited, che ora è stato "invitato" a chiudere perché la licenza "non incontra i requisiti di registrazione annuale richiesti". Un registrazione che, in realtà, non è stata rinnovata perché i documenti necessari per farlo sono stati confiscati dalle autorità circa un anno fa.

La saga di Ai Wiewei è iniziata quando l'artista ha esposto nella sua Factory la lista dei bambini morti nel crollo delle scuole del Sichuan, durante il terribile terremoto del 2008. Denunciando indirettamente il governo di aver fatto finta di non sapere che gli edifici distrutti erano stati costruiti con materiali di scarto. Ad aprile 2011 il dissidente cinese, già considerato un "uomo molto pericoloso" perché capace di influenzare cinesi e stranieri con le sue opere e con i suoi commenti sul regime diffusi grazie a un blog che, fino a quando non è stato bloccato dalla polizia informatica, nel maggio 2009, era letto in media da 10.000 utenti al giorno, è stato arrestato. All'aeroporto di Pechino, mentre stava per imbarcarsi per Hong Kong. Ed è stato poi rlasciato dopo 81 giorni di detenzione (illegale), e senza che gli fossero restituiti i documenti. Dettaglio che costringe il dissidente a rimanere fermo in Cina. Da dove non potrà più infastidire il Partito visto che la sua Factory sarà presto chiusa.

Una sconfitta sotto ogni punto di vista, verrebbe da dire. E invece no. Perché almeno Ai Weiwei ha lottato. Ha fatto in modo che la stampa internazionale e soprattutto i cinesi parlassero di lui, e fossero informati sulle evoluzioni del suo caso. E anche del fatto che in tribunale nessuno gli abbia permesso di parlare. Per aiutare una nazione intera a rendersi conto che, in Cina, la giustizia non esiste.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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