Onu: un errore inutile e imperdonabile il "sì" dell'Italia alla Palestina
Su input di Bersani e del Pd, Roma tradisce l'amicizia con Israele e contraddice la linea dell'equidistanza
Uno storico passo indietro nella politica estera dell’Italia, che sancisce fra l’altro la totale ininfluenza del ministro degli Esteri, Giulio Terzi. Il “sì” dell’Italia al riconoscimento della Palestina come “Stato osservatore non membro” delle Nazioni Unite allontana la pace, lega l’Italia al carro di un terzomondismo terzista e vetero-democristiano che ci colloca in un preteso fronte mediterraneo, contro quello atlantico rappresentato da Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania. L’Italia perde oggi il primato del Paese più amico di Israele nell’Unione Europea, un’amicizia che il tanto contestato Silvio Berlusconi era riuscito a far convivere con eccellenti rapporti con tutto il mondo arabo e islamico.
La parola magica, “equidistanza”, era risuonata già nelle parole mattutine del ministro Terzi che delineava la posizione dell’Italia come “ugualmente vicina ai palestinesi e agli israeliani nella volontà di rilancio del processo di pace”. Terzi auspicava che le divisioni della UE di fronte al voto al Palazzo di Vetro sulla richiesta dell’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen non portassero a una paralisi dell’iniziativa di pace europea in Medio Oriente. Sembrava l’annuncio dell’astensione, invece era un modo per mettere le mani avanti e bilanciare l’effetto catastrofico del “sì” già deciso in altre stanze, a Palazzo Chigi e nella sede del Partito democratico.
Terzi, già ambasciatore in Israele e poi negli Stati Uniti, personalmente sarebbe un atlantista, ma nulla ha potuto contro il pesante intervento di Pier Luigi Bersani nel duello che lo ha opposto ieri in tv allo sfidante per le primarie Matteo Renzi. Bersani aveva chiesto il “sì” dell’Italia ad Abu Mazen, oltretutto sbagliando nel dire di volere il riconoscimento dello status di “osservatore” per la Palestina, mentre il nocciolo del problema era ed è il riconoscimento della Palestina come “Stato osservatore”, che è ben altro.
Un “sì” che allontana la pace e che si configura come tutt’altro che una scelta di equidistanza, tutt’altro che una scelta in continuità con la nostra politica estera. Il “sì” ad Abu Mazen marca un riavvicinamento clamoroso del governo italiano, in contraddizione con la linea tenuta negli ultimi anni, alle fazioni palestinesi contro lo Stato di Israele. Controprova ne sono la reazione entusiastica di Nemer Hammad, ex portavoce dell’Olp in Italia oggi consigliere di Abu Mazen, e la “delusione” dell’ambasciatore israeliano a Roma, Naor Gilon.
Gli ultimi governi avevano raddrizzato, per decisione di Berlusconi, lo sbilanciamento italiano verso i palestinesi. L’Italia aveva avuto il coraggio di assumere posizioni d’avanguardia in Europa e nei vertici internazionali su questioni spinose e complesse come i summit ipotecati dagli interventi antisemiti dell’iraniano Ahmadinejad (gli occidentali alla fine seguirono tutti l’esempio italiano) e sul rapporto Goldstone che metteva all’Onu sullo stesso piano Israele e Hamas per la guerra a Gaza.
Negli ultimi giorni, la Francia aveva compiuto una fuga in avanti a favore della Palestina, ma si sa, il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius la pensa a quel modo, non è una sorpresa. Bersani ieri si è accodato, e una nota del Pd per bocca di Marina Sereni stamattina ribadiva la necessità che l’Italia si unisse al “sì” della Francia (e di Spagna e Grecia) e non riompesse “il fronte dei Paesi del Mediterraneo facendo mancare il sostegno alla richiesta dell’Anp”. L’Italia del Pd e di Bersani è quindi questa. Un’Italia satellite della Francia, che tradisce l’amicizia verso Israele e contraddice la vera equidistanza.
La beffa in sovrappiù è che sarebbe stato sufficiente astenersi. Ma si è voluto sbagliare fino in fondo e schierarsi. Un errore imperdonabile.