Siria: ora l'Iraq invia i miliziani sciiti ad Aleppo
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Siria: ora l'Iraq invia i miliziani sciiti ad Aleppo

Obiettivo: sostenere le truppe di Assad. A coordinarli è il generale iraniano Qassem Soleimani. La guerra si fa sempre più complicata

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L’offensiva terrestre sferrata il 24 agosto dalla Turchia ai suoi confini con la Siria per ripulire tutta l’area di frontiera dalla presenza di milizie dell’ISIS e dalle forze dei curdi dell’YPG (Unità di protezione del Popolo), ha avuto finora successo ma, nella giornata di ieri, meercoledì 7 settembre, è costata alle forze armate turche le prime vittime. Una colonna corazzata turca appoggiata da ribelli turcomanni anti-Assad del Free Syrian Army è stata attaccata con razzi nei dintorni del villaggio siriano di Al Waqf, a pochi chilometri dalla città strategica di Jarabulus, strappata dalle forze di Ankara allo Stato Islamico alla fine di agosto.

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L’azione, rivendicata sul web con grande enfasi dai portavoce del Califfato, è costata ai turchi i primi due morti dall’inizio dell’operazione “Scudo sull’Eufrate”, mentre le milizie del Free Syrian Army hanno perso cinque soldati. L’episodio, militarmente insignificante, dimostra che pur costretti sulla difensiva e in ritirata i miliziani del Califfato proseguono nello sforzo di tenere aperto almeno un canale di rifornimento ai confini turco-siriani dopo che l’offensiva di fine agosto li ha virtualmente isolati all’interno delle sacche di territorio siriano che ancora controllano.

 

L’intervento delle forze sciite irachene
La guerra civile siriana è entrata nel suo sesto anno e a conferma della sua trasformazione da rivolta contro il governo di Bashar Al Assad in conflitto multinazionale, ha registrato il 7 settembre la scesa in campo di un altro attore straniero. Dopo gli iraniani, i russi, i libanesi di Hezbollah, gli americani, i turchi e la pletora di foreign fighter jihadisti, sono scesi in campo anche gli iracheni. Un contingente di 1.000 miliziani sciiti della formazione irachena Harakat Al Nujaba ha raggiunto i sobborghi di Aleppo per partecipare all’assalto finale contro la roccaforte ribelle ormai completamente assediata dalle forze governative.

 L’Iraq in questo modo fa per la prima volta fronte comune in modo esplicito con il governo di Damasco nella lotta contro un nemico, l’ISIS, che da due anni è in guerra per conquistare, a spese della Siria e dell’Iraq, un territorio sul quale costituire uno stato sovrano retto dal Califfo.

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L’intervento iracheno in Siria potrebbe essere stato ispirato direttamente da Teheran come mossa per controbilanciare la presenza turca. Per ora i miliziani iracheni, che operano agli ordini del generale iraniano Qassem Soleimani, comandante delle Guardie Rivoluzionarie iraniane e responsabile delle operazioni del contingente inviato da Teheran in Siria e Iraq, non sono ancora direttamente coinvolti nelle’offensiva contro i ribelli, ma sono stati messi a presidio dei quartieri conquistati dai governativi durante le scorse settimane nell’assedio di quella che era la più grande e ricca città della Siria e che ora è un cumulo di rovine all’interno delle quali vivono in condizioni disperate i circa 300.000 abitanti che non sono riusciti a fuggire prima dell’assedio.

 Il contributo iracheno, seppure minimo sul piano militare, appare dotato di un forte significato politico in quanto il governo di Baghdad pur essendo sostenuto dagli Stati Uniti, sceglie di appoggiare Bashar Al Assad, che per Washington rappresenta pur sempre “l’arcinemico” e che per Barack Obama “se ne deve andare”.

 

Lo stallo dei negoziati ONU
La presenza di milizie sciite irachene in terra siriana introduce un’altra pedina sulla scacchiera dei complicati negoziati promossi dalle Nazioni Unite nel tentativo, finora vano, di arrivare a una soluzione pacifica e politicamente accettabile del conflitto. Mentre le trattative di Ginevra gestite dall’inviato dell’ONU Staffan De Mistura si sono arenate sul problema di una tregua umanitaria di 48 ore per consentire l’arrivo di convogli di rifornimento di viveri e medicine per la popolazione di Aleppo, russi e americani non riescono a costruire un tavolo di confronto diplomatico per cercare una via di uscita dalla crisi.

 Barack Obama, ormai alla fine del suo secondo e ultimo mandato, non intende recedere dalla linea dell’“Assad must go”, una linea sempre più sottile e indifendibile perché il presidente siriano, grazie all’appoggio del Cremlino e di Teheran, dall’inizio della crisi non è mai stato forte come oggi. Vladimir Putin, dal canto proprio, non accetta negoziati che prevedano come precondizione, come chiedono gli americani e le formazioni ribelli da loro sostenute, la cacciata di Assad.

L’intervento iracheno in Siria potrebbe essere stato ispirato direttamente da Teheran come mossa per controbilanciare la presenza turca nell’ora

La situazione è pertanto al momento in una fase di stallo completo. Dopo il fallimento dei colloqui faccia a faccia tra Putin e Obama ai margini del vertice G20 di Hangzou, il 4 settembre scorso, le diplomazie di Washington e Mosca non sembrano essere state neanche in grado di organizzare l’incontro previsto per oggi a Ginevra tra il segretario di stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov.

 In attesa di capire se e quando il confronto si terrà, valgono per capire qual è il clima tra USA e Russia le ultime dichiarazioni del portavoce del dipartimento di stato americano, Mark Toner: “Il segretario di stato è impegnato negli sforzi per raggiungere un accordo sulla Siria […] ma noi non siamo pronti ad accettare un accordo che non venga incontro alle nostre richieste di base”. Siccome tra queste ultime primeggia il passo indietro di Assad, non si vede come il pur volenteroso Kerry possa negli ultimi due mesi del suo mandato, che scadrà a novembre con tutta l’amministrazione Obama, costringere Mosca e Damasco a cedere e a consegnare la Siria agli alleati degli americani.

 La questione siriana sarà sicuramente uno dei temi principali che, visto il fallimento dell’azione quinquennale di Obama nello scacchiere, dovrà essere segnato ai primi posti dell’agenda del prossimo inquilino della Casa Bianca.

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Alfredo Mantici