L'impero americano dei droni
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L'impero americano dei droni

I droni non sono la panacea dei problemi per le forze armate statunitensi ma un sistema efficace e, soprattutto, dislocato ovunque nel mondo

Lookout news

Gli Stati Uniti la considerano ormai l’arma principale di qualunque intervento in aree di crisi, tanto da essere utilizzata in ogni dove, sia con funzioni di attacco che di spionaggio e sorveglianza. Altri Paesi la ritengono indispensabile per poter vantare una forza armata moderna, tanto da devolvere ingenti risorse alla sua realizzazione nonostante la crisi economica, come il caso dell’Etiopia che ha da poco realizzato “in casa” il suo primo prototipo.

Si tratta ovviamente del drone o - altrimenti detto, in termini più tecnici - UAV (Unmanned Aerial Vehicle). Il famoso aereo senza pilota a bordo, in grado di colpire con la medesima precisione di un aereo e di ridurre le perdite umane tra le forze armate di chi lo controlla. Già ampiamente utilizzato da Bush nel 2005 per le operazioni “Enduring Freedom” e “Iraqi Freedom” (si parla di un totale di 100 mila ore di volo per operazioni di “supporto”), la pratica di impiego dei droni è stata ulteriormente sfruttata dall’attuale amministrazione Obama, tanto da indurre le Nazioni Unite a porre la questione se il suo uso estensivo non comporti una violazione del diritto internazionale umanitario, a causa dell’ingente numero di vittime civili dei suoi raid.

Vantaggi legali dell’uso dei droni
Tuttavia, il governo americano, da sempre sensibile alle esigenze di politica interna più che a quelle di politica internazionale, dovendo rispondere a un’opinione pubblica spazientita per l’aumento dei costi in termini economici e di vite umane in una guerra lontana quale quella afghana, sui droni ha optato per una linea intransigente, in ragione dei molti vantaggi che presenta.
Oltre all’assenza di rischi per il pilota, da un punto di vista economico un pilota di UAV viene addestrato con grande risparmio di tempo (2 anni per l’approntamento) e di risorse economiche. Secondariamente, tutta l’attività del drone, pur rientrando in una strategia offensiva oltre che difensiva, evita una scomoda e ufficiale dichiarazione di “stato di guerra” e, di conseguenza, evita anche l’applicazione di norme di diritto internazionale specifiche. Infine, le azioni preventive dei droni “ripuliscono” il terreno, riducendo le perdite anche per le forze terresti in azione.
Tipologia e impiego degli UAV
I droni possono essere utilizzati per svariati compiti. Inizialmente impiegati per attività di ricognizione, con le nuove tecnologie, sempre più avanzate e sofisticate, sono stati dotati di nuovi sistemi e equipaggiamenti. Oggi possono essere utilizzati per attività di simulazione, d’intelligence, per azioni di tipo “combat”, per ricerca e sviluppo e per applicazioni civili-commerciali.

La lista delle tipologie di UAV è lunga. I più conosciuti al pubblico sono i Predator e i Reaper. Ma, a seconda dei produttori e dell’impiego, si parla anche di Grey Eagle, Fire Scout, Hunter, Global Hawk, Triton, Dragon Eye, Sentinel, DarkStar, Raven, Wasp e Shadow.
A partire dalla guerra in Iraq, i velivoli senza pilota hanno assunto un ruolo crescente nelle aree di conflitto. Di conseguenza, è aumentato in modo esponenziale il numero degli UAV e delle relative basi dislocate in varie aree geografiche, non tutte note. Attualmente, le 60 postazioni ufficiali USA rappresentano un numero indicativo ma certamente inferiore al dato reale. A queste, inoltre, si dovrebbero aggiungere le altre 64 basi su territorio nazionale americano.

La mappa dei droni americani
In Asia, le basi aeree che ospitano i droni si trovano prevalentemente in Pakistan, molte delle quali al confine con l’Afghanistan (Quetta, Peshawar, Tarbela Ghazi, Shamsi), le altre sono dislocate a Islamabad e Jacobabad. A Shindand, in Afghanistan, esiste infine un’altra base aerea. Sembra che gli USA vogliano chiudere alcune di queste basi con il ritiro delle forze internazionali dall’Afghanistan, ma si parla già di un riposizionamento in Paesi confinanti, poiché difficilmente Washington lascerà del tutto una regione strategica come l’Asia centrale dove s’intrecciano gli interessi di Iran, Cina e Russia. E, infatti, è di poco più di un mese fa l’indiscrezione (apparsa su un quotidiano indiano) di Port Blair quale possibile destinazione futura degli UAV statunitensi.
In Africa, molte delle basi aere vengono utilizzate per operazioni su scala ristretta e sono praticamente costituite da hangar all’interno di aeroporti civili e militari americani. I droni operano da postazioni in: Etiopia, Kenya, Uganda, Sud Sudan, Burkina Faso, Niger, Libia e da Gibuti, in Somalia, notoriamente uno degli avamposti più importanti e considerato per anni il “cuore” delle operazioni segrete in tutta l’Africa e il Medio Oriente. Anche le turistiche Seychelles ospitano attività legate ai droni.

Lo Yemen è uno dei Paesi del Medio Oriente su cui notoriamente arrivano numerosi raid americani contro postazioni jihadiste. Più recentemente è stata rivelata, sia dal Washington Post che dal New York Times, l’esistenza di una base (tenuta segreta fino ad ora) in Arabia Saudita, costruita un paio di anni fa e situata in una zona assolutamente isolata, a decine di miglia dalla prima via di comunicazione e ancor più da un qualsiasi centro abitato. Naturalmente non è la prima, ma una delle tante dell’area. Vi sono località che ospitano i droni americani anche in Oman, negli Emirati Arabi Uniti, in Iraq, in Israele e in Qatar. Nel Mediterraneo, le basi conosciute sono in Turchia e in Italia, a Sigonella. Il dubbio è soltanto su chi le controlla esattamente: la CIA o le Forze Armate degli Stati Uniti? Non è una questione da poco.

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Cristina Era (Lookout news)