L’Europa ai tempi di Angela Merkel
AP Photo/dapd, Lennart Preiss
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L’Europa ai tempi di Angela Merkel

La realpolitik della Cancelliera che ha teorizzato l’austerity marca la differenza rispetto alle altre leadership d’Europa. Ma, una volta ottenuto il terzo mandato, cambierà qualcosa?

 

(Lookout News )

C’è una sostanziale differenza tra la Germania di Angela Merkel e tutti gli altri grandi Paesi europei: la realpolitik. Il motivo per cui la coalizione del cancelliere uscente ha ottenuto una straordinaria fiducia popolare è rintracciabile soprattutto nella volontà di creare consenso attraverso le leve della convenienza politica e della praticabilità di scelte concrete, che hanno avuto riflessi immediati e tangibili per la popolazione.

 

Guardandosi bene dall’approntare riforme radicali di sistema e dal mettere mano alle questioni politiche più controverse, la “mammetta” - come la chiamano affettuosamente i tedeschi - ha potuto cavalcare l’onda di un’Europa che, almeno teoricamente, sta uscendo dalla recessione e che, sempre teoricamente, trova in Angela Merkel la sua figura di riferimento. Del resto, vale la battuta attribuita a Giulio Andreotti, “sono di media statura, ma non vedo giganti attorno a me”. Tanto è bastato per fare il pieno di voti.

 

La ricetta Merkel
Il che non significa che la “ricetta Merkel” sia stata la migliore, soltanto che per i tedeschi ha funzionato. La cancelliera ha seguito il motto hic manebimus optimee, senza puntare su grandi trasformazioni, si è appropriata delle politiche care anche ai suoi avversari evitando accuratamente di fare dell’Europa un tema centrale e dibattuto, preoccupandosi invece di ciò che più conta per i cittadini tedeschi in tempi di crisi: il lavoro.

 

Che poi questo lavoro, parimenti alla miracolosa diminuzione della disoccupazione, abbia portato con sé anche un eccessivo innalzamento del part-time e del precariato è altra questione, che non attiene al contemporaneo e che potrà avere serie conseguenze solo nel futuro. Ma questa non è propriamenterealpolitik. L’importante per “mammetta” era risollevare adesso la Germania e non perdere lo scettro d’Europa.

 

Come sostengono autorevoli politologi tedeschi, insomma, fino a quando la disoccupazione è bassa, la crescita economica mantiene il segno più e le politiche europee sono un vantaggio per il popolo tedesco, che ragione c’è di votare il cambiamento?

 

Anche così Angela Merkel è riuscita nel difficile compito di entrare nella storia della Repubblica federale, dove già sedevano Adenauer e Kohl, superandoli potenzalmente per consenso e soprattutto per longevità. Un fatto che le permetterà ora di torreggiare per altri quattro anni sui tedeschi e sull’Europa.

 

Il sistema elettorale e il confronto con l’Italia
Anche se la crisi economica è la protagonista occulta di queste elezioni, non possiamo né dobbiamo leggere ogni evoluzione politica in Europa con le sole lenti dell’economia. Né differenti sistemi elettorali possono bastare a spiegare l’exploit di una coalizione come la Cdu-Csu, che ha raggiunto in patria un consenso tale da sfiorare la maggioranza assoluta (ovvero il 50% dei voti più uno).

 

Certo, non si può non notare come nella storia della Repubblica federale (intesa dal 1949 ad oggi) lo strumento della sfiducia e le elezioni anticipate siano state usate soltanto due volte, in via del tutto eccezionale.

 

Il confronto con l’agone politico italiano in questo caso sarebbe troppo facile e ingiusto. Che Angela Mekel sia cancelliere della Germania ininterrottamente dal novembre 2005 mentre in Italia da quella data si invece sono avvicendati ben cinque diversi governi, neanche tutti espressi per volontà popolare, però qualcosa lo dice.

 

In tal senso, aggiungeremo soltanto che mentre in Italia le elezioni sono caratterizzate da una liturgia di lotta e la politica da una carica eccessiva di significati e simbologie - dove per sua natura il dramma teatrale e il pathos prevalgono facilmente sulla lucidità e dove ribaltare una situazione spesso è considerata virtù - in Germania i tedeschi prediligono da sempre una stabile sobrietà.

 

Il confronto con Cameron e Hollande
Ma la stabilità di governo non è certo esclusiva di Berlino ed è un valore importante anche per Paesi come Francia e Regno Unito. Eppure i loro leader, Cameron e Hollande, non si avvicinano lontanamente a Frau Merkel: David Cameron, ad esempio, è da poco stato “sfiduciato” dal parlamento che - per la prima volta nella storia inglese - ha respinto la richiesta d’intervento nella guerra di Siria, con ciò dimostrando la debolezza non soltanto della proposta ma soprattutto di un leader indeciso in politica estera e ancora succube del “rapporto speciale” con gli Stati Uniti, a tutto danno dell’Europa unita.

 

Inoltre, l’ondivago procedere di un premier che ammicca agli euroscettici pur difendendo il sistema europeo di cui è parte, non giova alla sua credibilità e, di conseguenza, non gioverà alla sua popolarità. Difficilmente vedremo David Cameron governare il Regno Unito per dodici anni. Perché l’orgoglioso popolo inglese preferisce ancora l’immagine di Winston Churchill che Yusuf Karsh immortalò per la copertina diLIFE,a quella di un primo ministro ritratto mentre schiaccia un pisolino a piedi scalzi e camicia aperta, con la “red box” delle emergenze governative accanto e la cognata che se la ride.

 

Meglio non può dirsi di Francois Hollande che, al pari del collega inglese, è saldo al governo solo per senso di responsabilità e garanzie di sistema, mentre la sua amministrazione viene pesantemente punita dai mercati e il potenziale successo che aveva animato i primissimi giorni del suo mandato, si è spento poco dopo che il numero uno dell’Eliseo ingoiasse gli sbeffeggiamenti dei francesi facoltosi alla Depardieu e alla Arnault, fuggiti in Belgio o altrove per evitare la “tassa sui ricchi” sulla quale Hollande si era giocato molta della propria campagna elettorale.

 

L’austerity e il terzo mandato
Insomma, mentre Cameron puntava alla guerra in Siria e la Francia ci scommette ancora, la Germania di Angela Merkel spendeva gran parte del tempo a parlare di problemi di politica interna. Così, invece di farsi schiacciare al G20 di San Pietroburgo (come accaduto persino a Barack Obama), veniva immortalata mentre un galante Vladimir Putin la cingeva con uno scialle, in un gesto di vicinanza e rispetto impossibile da non notare.

 

 

Dunque, quelle di Angela Merkel non sono state scelte epocali né rappresentano politiche memorabili o replicabili altrove. Di sicuro, “mammetta” non ha puntato all’ideologia o al cambiamento dellostatus quo. Ma è proprio questo che le ha consentito di raggiungere il risultato che si era prefissa.

 

Ora, però, raggiunto l’obiettivo del terzo mandato, potrebbe essere lei stessa a riconoscere che la sua pericolosa ricetta di conservatorismo e austerity non funzionerà ancora a lungo e che si può anche pensare di ammorbidire quelle posizioni, modificando la ricetta e cambiando rotta. E qui torniamo ancora allarealpolitk: sarà un caso che questo termine,per quanto le sue origini possano attribuirsi al greco Tucidide, all’italiano Machiavelli o al francese Richelieu, lo pronunciamo sempre in tedesco?

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Luciano Tirinnanzi