In Iraq nascono il Califfato Islamico e il Kurdistan
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In Iraq nascono il Califfato Islamico e il Kurdistan

Il conflitto tra sunniti e sciiti in Siria e Iraq segnala che i tempi sono cambiati e così anche la geografia politica mediorientale. La comunità internazionale accetterà il nuovo mondo?

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Mentre l’Iraq sta scomparendo come entità statuale e le cartine geografiche andranno presto ridisegnate, tra il territorio iracheno e siriano è nato oggi il primo “Califfato Islamico” della storia contemporanea per volere degli jihadisti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, che da oggi in poi dovremo chiamare direttamente “Stato Islamico”.

 

Abu Mohammad al-Adnani, portavoce degli insorti sunniti, ha infatti annunciato via internet che le parole “Iraq” e “Levante” spariscono definitivamente dalla sigla ISIS e che il suo capo, o meglio Califfo, è ora ufficialmente Abu Bakr al-Baghdadi, il quale “ha accettato la designazione con un giuramento di fedeltà ed è così diventato Califfo dei musulmani ovunque nel mondo”.

 

Con un simile proclama si celebra dunque un risultato inedito e rilevante che, per quanto temporaneo e discutibile visto il conflitto in corso, nessuno si aspettava di tali dimensioni. La ricostituzione del Califfato è un risultato storico per l’intero mondo musulmano e per i sunniti in primis, e corrisponde all’area sotto controllo di ISIS: si estende tra Iraq e Siria a nord tra Mosul (Iraq) e i sobborghi di Aleppo (Siria), fino a sud da Deir az Zor (Siria) a Rutba (Iraq).  

 

Cos’è il Califfato Islamico
La forma di Stato conosciuta come Califfato Islamico si rifà alle radici dell’Islam e sorge alla morte del profeta Maometto (632 d.C.), quando la comunità islamica (la Umma) si riunì sotto un’unica bandiera e sotto un solo Califfo, prima di conoscere nuove divisioni e faide interne, e tende a replicare i due centri di potere che furono Damasco e Baghdad durante i califfati omayyade e abbaside (VII-XIII secolo).

 

Il Califfato come forma di governo si può definire una monarchia assoluta, o meglio una teocrazia in cui vige la legge della Sharia e il cui capo è rappresentante di Allah in terra. Storicamente, le divisioni interne alla comunità sorsero per la trasmissione ereditaria del potere.

 

Israele sostiene la nascita del Kurdistan
A questo rompere gli indugi da parte degli insorti sunniti durante l’ultimo fine settimana di giugno, si è accompagnato anche un altro annuncio molto importante: l’endorsement dello Stato di Israele alla creazione del Kurdistan come Stato autonomo e indipendente.

 

Citando il crollo dell'Iraq e la violenza settaria durante una conferenza all’Università di Tel Aviv, infatti, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha de facto riconosciuto l'autodeterminazione dei curdi iracheni, affermando di sostenere la giusta “aspirazione curda per l'indipendenza” e parlando di “un popolo combattente che ha dimostrato impegno e moderazione politica, e che per tali ragioni merita l’indipendenza”.

 

Le parole di Netanyahu sono state precedute dalle dichiarazioni sia del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, che ha riferito al Segretario di Stato americano John Kerry che “la creazione di uno stato curdo indipendente è una conclusione scontata” della lotta tra sunniti e sciiti, sia del presidente israeliano Shimon Peres, che ha parlato direttamente all’orecchio del presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, sottolineando come “i curdi hanno, di fatto, creato un proprio Stato, che è democratico” e che perciò va sostenuto.

 

Il futuro dell’Iraq
Netanyahu, dunque, gioca la mossa del divide et impera, consapevole che la frammentazione irachena (e forse siriana) è l’unico bene che può nascere dal grande male della guerra, e che ciò consentirà di indebolire i nemici di Israele.

 

Queste forti e importanti dichiarazioni, però, destabilizzano non poco il panorama politico attuale e comporteranno la tessitura di nuovi e difficili contrappesi anzitutto diplomatici, visto che i curdi sono circa quaranta milioni sparsi tra il nord dell'Iraq, la Siria orientale, il sud-est della Turchia e l’Iran occidentale e soprattutto considerato il fatto che sinora a tutti loro è sempre stata negata l'indipendenza da ciascuno di questi Paesi.

 

Le varie autonomie concesse al popolo curdo non sono, infatti, sufficienti, così come non può bastare il palliativo dell’accettazione della lingua curda come ufficiale in Iraq. Per il Kurdistan è giunto il momento di battersi per l’indipendenza totale e non è un caso che i Peshmerga, gli agguerriti soldati curdi, abbiano occupato città chiave come Kirkuk e la regione a nord-est dell’Iraq non appena gli jihadisti dello Stato Islamico hanno iniziato la marcia verso Baghdad.

 

Resta da vedere come reagiranno anzitutto Iran e Turchia al contropiede israeliano e cosa avranno da dire gli sciiti circa lo Stato Islamico appena fondato sulle ceneri di un Paese che oggi vive la sua lenta agonia.

 

La seconda fase del conflitto
Così, dunque, il quadro è cambiato ancora e la guerra per lo Stato Islamico è giunta a una seconda fase, dove nuove entità statuali sembrano destinate a imporre inedite soluzioni alla guerra in corso nei luoghi sacri della Siria e dell’Iraq. Ciò non potrà non trascinarsi dietro l’inevitabile giudizio di Stati Uniti e Russia, che ancora non hanno preso una posizione dirimente nei giochi politici né hanno ingaggiato battaglia in prima persona. Ma che a breve dovranno esprimersi, con la forza o con la diplomazia.

 

In ogni caso, tra le due superpotenze, il Cremlino sembra avere le idee più chiare: il ministero della Difesa iracheno ha annunciato domenica di aver ricevuto da Mosca i primi cinque Sukhoi, aerei da caccia russi, per aiutare il Paese nella controffensiva agli insorti sunniti, cui si lega già il supporto sul terreno dell’Iran e del regime siriano, alleati della Russia.

 

Washington, invece, ci ha abituato all’incertezza e ai tentennamenti circa decisioni politiche nette sul Medio Oriente. Anche se fonti del governo affermano che droni armati statunitensi sorvolano da due giorni Baghdad, la Casa Bianca non ha comunicato la propria posizione ufficiale nel conflitto. Segno che vigono ancora l’incertezza e l’incredulità per la maggior parte dei protagonisti e degli altri attori regionali, in quello che si annuncia come l’inizio di una nuova era mediorientale. 

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Luciano Tirinnanzi