Il salto di qualità di Boko Haram
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Il salto di qualità di Boko Haram

Con oltre 1.500 morti da inizio anno, l’episodio delle studentesse rapite e i 100 morti di ieri a Jos e i 30 di oggi, la Nigeria è schiacciata dal terrorismo. USA ed Europa meditano una risposta adeguata

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Cresce di ora in ora il numero delle vittime per l'esplosione di due autobombe nella città di Jos, nello Stato di Plateau, nella parte centrale della Nigeria. A riferirlo è l'agenzia nazionale per la gestione delle crisi (Nema), che teme un bilancio ancora peggiore dei 118 decessi inizialmente stimati, cui dovrebbero aggiungersi purtroppo anche altri diciasette morti avvenuti questa mattina per un attentato nella regione del Borno che non è stato rivendicato

 

Nel mirino dei terroristi a Jos c’erano una stazione dei taxi e il Terminus market. Anche se una rivendicazione per il momento non è arrivata, le indagini addebitano la responsabilità a Boko Haram, il pericoloso gruppo islamista che, in particolare dal 2009, semina il panico nel nord del Paese ed è stato protagonista lo scorso aprile dello spettacolare rapimento di oltre duecento studentesse cristiane (poi da loro convertite all’Islam).

 

Dall’inizio dell’anno, sono già morte oltre 1.500 persone in attacchi di Boko Haram e il gruppo sta intensificando le operazioni terroristiche giorno dopo giorno. Il mese scorso, oltre cento persone sono state uccise in due attentati gemelli nella capitale Abuja, mentre un attentatore suicida domenica ha colpito a Kano, uccidendo cinque persone.

 

Ieri, invece, a scatenare il panico tra la popolazione sono state due esplosioni a tempo, a distanza di venti minuti, pensate per provocare il maggior numero di vittime civili possibile. “Ci vogliono tutti morti” è stato il tweet più condiviso sui social network in queste ore, opera di una fotografa nigeriana, che testimonia il clima di terrore che regna in queste ultime settimane in Nigeria, duramente colpita da Boko Haram.

 

Una tecnica, quella delle esplosioni a tempo con l’utilizzo di camion bomba, che è tristemente nota e che abbiamo già visto utilizzata in Afghanistan e Iraq. Lo stile è quello di Al Qaeda, anche se il marchio della jihad internazionale non va confuso con questo gruppo terroristico, che invece è di matrice locale e affonda le radici della propria esistenza nella estrema povertà in cui versa il nord del Paese, islamista e arretrato, dove manca l’economia del petrolio, gestita invece nel sud cristiano e nella costa tra Lagos e soprattutto Port Harcourt, nel Delta del Niger.

 

Il salto di qualità di Boko Haram
In ogni caso, l’episodio di Jos certifica il salto di qualità dei terroristi, che hanno iniziato la loro attività con azioni mordi e fuggi ed esplosivi artigianali lanciati dalle moto in corsa e sono arrivati sin qui. Segno che la sfida al governo del presidente Goodluck Jonathan è in pieno svolgimento e che Boko Haram intende allungare la scia di sangue da qui al 2015, quando sono previste le elezioni presidenziali. Ma segno anche che il gruppo potrebbe essere stato infiltrato da nuovi strateghi, magari stranieri, che intendono coordinare e spettacolarizzare le azioni stragiste.

 

A guidare il gruppo, oggi è il teologo Abubakar Shekau, che ha ereditato la leadership dal defunto Mohammed Yusuf e dai primi guerriglieri islamisti che operavano in Nigeria già dal 2002. Shekau è descritto come un fanatico sanguinario e tutto fa pensare che la sua guerra contro il governo e i cristiani non finisca qui. A dare fiducia al leader di Boko Haram sono poi l’impotenza dello Stato, che si è dimostrato inerme sinora, e le condizioni sul campo, che di fatto impediscono a Jonathan di stanare i terroristi.

 

Lo Stato del Borno, in particolare, quartier generale di Boko Haram (nome che significa “la cultura occidentale è peccato”), consente al gruppo di spadroneggiare, grazie soprattutto alla morfologia del territorio: la Foresta di Sambisa, un'area di ben 60mila chilometri quadrati nel nordest, è impenetrabile alle forze dell’ordine e qui verosimilmente sono nascosti sia i guerriglieri sia le studentesse rapite. Sinora, i militari si sono rifiutati di inoltrarsi nella foresta per stanare i terroristi, asserendo che il governo non li arma a sufficienza per sconfiggere i jihadisti.

 

La popolazione insorge, l’Europa valuta l’intervento
Questo potrebbe spingere la popolazione a farsi giustizia da sé e innescare i meccanismi di una guerra civile dai risvolti imprevedibili. In questi giorni, le cronache riportano di centinaia di uomini - per lo più cacciatori armati di fucili, spade, pugnali, archi e frecce avvelenate - che si stanno radunando intorno alla città di Maiduguri. Padri e fratelli delle studentesse rapite, ma anche persone normali che non ne possono più di vivere sotto la minaccia incombente del più retrogrado terrorismo islamico che l’Africa conosca.

 

Jos stessa, capitale dello Stato di Plateau, già in passato è stata protagonista di violenti scontri tra pastori cristiani e musulmani. “Subito dopo l'attentato alcuni ragazzi cristiani hanno messo in piedi dei checkpoint, ma le autorità religiose stanno mediando per evitare altra violenza”, ha raccontato all'ANSA Lionello Fani, un italiano della Onlus Apurima che da anni vive in Nigeria.

 

In questo clima, per evitare una destabilizzazione maggiore, la Francia - attivissima negli scenari di crisi africani - ha organizzato un summit a Parigi lo scorso 17 maggio, dove il presidente Francois Hollande ha ospitato il presidente della Nigeria e i capi di stato di Ciad, Camerun, Niger e Benin, insieme a rappresentanti di Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Europea.


 

È stato deciso un piano d'azione regionale per combattere efficacemente la setta islamica - “Siamo qui per dichiarare guerra a Boko Haram” ha riferito il presidente del Camerun Paul Biya - anche perché l’intelligence francese teme che i contatti tra Boko Haram e AQIM (Al Qaeda nel Magherb Islamico, già protagonista della guerra in Mali) si siano intensificati.

 

Per il momento,
il piano d’azione prevede solo il coordinamento dei servizi segreti, lo scambio di informazioni, una regia unitaria per lotta al gruppo islamista e la sorveglianza delle frontiere. Ma non si è parlato dello schieramento di truppe francesi: “non ce n’è bisogno” ha dichiarato Hollande, concordemente con il presidente Jonathan. Al quale, se è vero il motto del nomen omen, non resta che augurare “Goodluck”.

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Luciano Tirinnanzi