Embargo sulle armi: l'Onu tentenna, la Libia affonda
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Embargo sulle armi: l'Onu tentenna, la Libia affonda

Il Consiglio di Sicurezza rinvia la decisione sulla richiesta di revoca da parte del governo libico: la soluzione diplomatica appare sempre meno praticabile

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Gli orrori del campo petrolifero di Al-Ghani, situato 770 km a sud-est di Tripoli, dove il 6 marzo i miliziani dello Stato Islamico hanno decapitato otto guardie e rapito nove dipendenti stranieri, sono l’ennesima dimostrazione della gravità della crisi libica. Una crisi che nelle ultime settimane si è riversata soprattutto attorno ad alcuni dei principali terminal petroliferi del Paese, con bombardamenti aerei e scontri incrociati tra i reggimenti dell’esercito regolare libico, milizie islamiste e gruppi jihadisti affiliati a ISIS.

 In queste precarie condizioni mercoledì 11 marzo è in programma a Rabat, in Marocco, la ripresa dei negoziati mediati dalle Nazioni Unite. Incontri si stanno svolgendo anche oggi martedì 10 marzo ad Algeri. L’inviato dell’ONU in Libia Bernardino León riproporrà ai due schieramenti politici libici – i ‘laici’ del governo di Beida guidato da Abdullah Al Thinni e gli islamisti di Tripoli rappresentati dall’esecutivo di Omar Al Hassi – un accordo per la formazione di un governo di unità nazionale. La soluzione diplomatica appare però sempre meno praticabile. Ieri, lunedì 9 marzo, da Tobruk il generale Khalifa Haftar, nominato nuovo comandante in capo delle forze armate, ha dettato la linea ufficiale del governo di Beida. Per evitare di essere inghiottita dal caos jihadista, la Libia conta sull’appoggio del vicino Egitto e dei Paesi della Lega Araba e chiede all’ONU il congelamento dell’embargo sulle armi.

 

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 La richiesta è stata formalmente sottoposta al Consiglio di Sicurezza dell’ONU ma una decisione in merito continua a essere rinviata. Nell’ultima votazione sei Stati membri del Consiglio (tra cui Francia, Stati Uniti e Regno Unito) hanno votato a favore, mentre gli altri sette si sono opposti. Il governo libico non vede però alternative. L’obiettivo è ottenere il sì delle Nazioni Unite per ricevere le forniture già concordate con Repubblica Ceca, Serbia e Ucraina: 8 elicotteri, 6 aerei da combattimento, 4 cacciabombardieri, 150 carri armati, 150 mezzi per il trasporto di truppe muniti di mitragliatori, 10.000 lanciagranate automatici, 1.000 fucili di precisione, munizioni e colpi di mortaio.

 L’ONU per ora tentenna. Un gruppo di esperti ha espresso al Consiglio di Sicurezza le preoccupazioni sul fatto che gli arrivi di armi dall’estero possano essere intercettati dai gruppi jihadisti o dalle milizie islamiste fuori dal controllo del governo di Tripoli. Traffici di armi continuano inoltre a essere registrati soprattutto nella zona tunisina di Ben Guerdane, vicino al confine con la Libia. Nell’ultima settimana in quest’area le autorità tunisine hanno scovato un deposito nella zona di Wadi Rebaye e a Moussarref. Tra le armi sequestrate proiettili e razzi RPG, mine anticarro, kalashnikov, cartucce e detonatori. Pare che le armi provenissero dalle montagne Chaambi, al confine tra Tunisia e Algeria, dove è altissima la concentrazione di gruppi islamisti radicali.

 Di fronte al moltiplicarsi di focolai di tensione in tutto il Nord Africa, l’ONU prima o poi dovrà prendere una decisione. Continuerà a puntare sulla diplomazia o sdoganerà l’invio di armi nella polveriera libica?

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