Arriva 'la bomba' (anzi, torna)
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Arriva 'la bomba' (anzi, torna)

Dai test in Corea ad Israele contro Iran: è muro contro muro sul nucleare e si ritorna a parlare di "guerra" - Lookout News -

di Luciano Tirinnanzi (LookOut)

Pensavamo di aver consegnato la Guerra Fredda ai libri di storia del Novecento. E, invece, dopo solo tredici anni di XXI secolo, torniamo inevitabilmente “a bomba”. Fuori dai giochi di parole, il nucleare è e resta una questione capitale nella politica militare internazionale. Il test di martedì 12 febbraio in Corea del Nord, fortemente voluto dal suo nuovo leader Kim Jong-un (il terzo, dopo quelli del 2006 e del 2009) ha provocato un terremoto non solo sottoterra ma anche nelle cancellerie di mezzo mondo - innervosendo soprattutto Seul, Tokyo e Beijing - e offerto un ulteriore spunto di riflessione agli Stati Uniti, direttamente chiamati in causa da Kim.

L’annuncio del presidente Obama di voler progressivamente diminuire il numero di testate nucleari fino al raggiungimento di una soglia massima per ciascuno Stato, stabilita in trecento ordigni (nel 1980 ne possedeva oltre 12mila), oggi non è più ascrivibile alla propaganda. La Casa Bianca lo vuole davvero. Perché?

A possedere la bomba oggi sono i seguenti Paesi: Usa, Russia, Cina, Regno Unito, Francia, India, Pakistan, Corea del Nord e Israele. Eccettuati i primi due, nessun altro possiede più di trecento testate. L’indicazione di Washington corrisponde dunque a una soglia psicologica, significativamente rilevante e implicitamente distensiva. Nessuno si aspetta colpi di testa provenienti dall’Europa o dall’Asia e, nonostante lo sforzo propagandistico della Corea del Nord, la provocazione di Pyongyang non viene percepita come minaccia reale. O, almeno, Washington la considera meno cogente.

Piuttosto, sono Israele e Iran a preoccupare gli Stati Uniti e il mondo intero: Teheran, infatti, ritiene che il nucleare sia il mezzo idoneo per fare quel salto di qualità che gli permetta di presentarsi al mondo (arabo e non) come primus inter pares. Dal suo punto di vista, se vi è riuscita la Corea del Nord - che non ha certo le stesse risorse economiche - perché non potrebbe riuscirci l’Iran? Per Israele, invece, esplicitamente minacciato dall’Iran, questo è del tutto intollerabile.

Ora, negli ambienti dell’intelligence e delle forze armate israeliane, circola sempre più spesso una parola chiave: “immunity zone”. Essa indica il momento in cui gli iraniani riusciranno a mettere al sicuro, bene in profondità, gli impianti nucleari, rendendoli inattaccabili dall’aria e quindi vanificando l’eventualità di un attacco aereo preventivo. Quando l’Iran avrà raggiunto la “immunity zone”, il potere di deterrenza di Israele diventerà evanescente e gli ayatollah potranno continuare indisturbati il programma di arricchimento del plutonio e terminare la costruzione di un ordigno nucleare.

Per quanto a Teheran la confusione regni sovrana e la leadership iraniana resti divisa e rissosa anche sul tema nucleare, non vi è alcuna certezza che il confronto dialettico di questi giorni con gli americani rallenti la costruzione della bomba. Ma il punto è, tutto sommato, un altro: un minuto prima che Teheran avrà raggiunto la “immunity zone”, Israele attaccherà l’Iran e darà il via a una guerra dagli esiti imprevedibili, forse mondiale. Questa non è più un’ipotesi, è la certezza contro cui gli Stati Uniti stanno cercando una soluzione.

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