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ELVIS BARUKCIC/AFP/Getty Images
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I Balcani senza pace: la sentenza Oric e i fantasmi del passato

Il comandante bosniaco assolto a Sarajevo dall'accusa di crimini di guerra mostra l'impossibilità di chiudere questa pagina tragica della storia

La notizia è passata quasi sotto silenzio.

Naser Oric, comandante delle milizie bosniache durante la guerra nell’ex Jugoslavia, insieme con il suo braccio destro Sabahudin Muhic, è stato assolto dall’accusa di crimini di guerra dal tribunale di Sarajevo, Bosnia,

I crimini riguardavano i fatti tra il 1992 e il 1995, quando con i suoi uomini difendeva l’enclave musulmana di Sebrenica, al confine serbo.

Oric resistette a lungo all’assedio in Bosnia orientale da parte delle forze serbe, fino alla capitolazione della città nel luglio 1995, le cui conseguenze furono a dir poco terribili.

Il comandante è, infatti, noto alle cronache come il “difensore di Srebrenica”, in relazione alla sventurata città bosniaca dove nel luglio del 1995 si consumò una pulizia etnica ai danni della popolazione musulmana locale: 8mila morti, la peggior strage in Europa dalla seconda guerra mondiale, opera delle forze serbe agli ordini del generale Ratko Mladic, altrimenti noto come il “macellaio dei Balcani”.

In relazione a quel frangente storico, Oric era accusato di aver causato la morte di alcuni prigionieri serbi e di aver praticato torture e violenze.

Per simili imputazioni, era già stato processato nel 2006 dal Tribunale Penale Internazionale dell’Aia per l’ex Jugoslavia (ICTY), che lo aveva condannato a due anni di prigione contro i sedici richiesti dall’accusa, poiché gli addebiti più gravi erano caduti.

Tra i pochi bosniaci a essere stati processati per crimini commessi durante la guerra nell’ex-Jugoslavia, Oric è stato ora definitivamente assolto dal tribunale di Sarajevo, che ha respinto ogni accusa per la guerra del 1992-95.

Per molti serbi di confine, tuttavia, il comandante bosniaco resta autore d’indicibili barbarie durante i ripetuti attacchi contro i villaggi serbi attorno a Srebrenica. Alcune associazioni delle vittime stimano in 2.428 il numero dei civili e soldati serbi uccisi nell’area durante quelle incursioni.

IMPOSSIBILE METTERE UN PUNTO

Se, dunque, questa sentenza cercava di mettere un punto su alcune delle pagine più infami della storia recente d’Europa, tuttavia Sarajevo e Belgrado ancora non riescono e non possono chiudere definitivamente i conti con il passato. E i rispettivi tribunali, in un certo senso, s’adeguano.

Lo stesso autore del massacro di Sebrenica, Ratko Mladic, che già nel 1995 fu accusato di crimini contro l’umanità ma riuscì a sfuggire all’arresto sino al maggio 2011, al termine di una lunga latitanza, è tornato alle cronache proprio questa settimana per la richiesta dei suoi avvocati di rilascio temporaneo per ragioni di salute.

Il governo di Belgrado si è unito alle richieste inoltrate ai giudici del Tribunale Penale Internazionale dell’Aia affinché l’ex generale, gravemente malato, possa essere curato in Serbia.

Una richiesta che ha fatto discutere non poco e che non giova a rasserenare il clima intorno al recente passato di questa regione.

Visto anche che la sentenza di primo grado per le imputazioni a suo carico (non solo il massacro di Srebrenica, ma anche l’assedio di Sarajevo e le persecuzioni ai danni delle popolazioni musulmana e croata) non è ancora giunta ed è attesa entro la fine di quest'anno.

Criminali nella guerra dei Balcani sono esistiti dall’una e dall’altra parte e la verità storica, più che quella dei tribunali, peserà a lungo nelle coscienze, nella memoria e nelle relazioni tra stati, in un’area ancora calda che ha condiviso con l’intera Europa e la Nato le responsabilità di una guerra fratricida. Un ricordo vivo che rappresenta forse l’ultimo ostacolo psicologico alla riconciliazione definitiva di questi popoli.

Tuttavia, anche se le prossime generazioni sono la più concreta speranza per un rasserenamento politico-sociale nella regione, sui destini dei Balcani pesano ancora sia alcuni aspetti sociali come il crescente radicalismo islamico tra i giovani, sia aspetti politici come la questione irrisolta del Kosovo, il cui mancato riconoscimento da parte serba - che ha portato Pristina a dichiarare unilateralmente l’indipendenza il 17 febbraio 2008 - è spina nel fianco per l’adesione serba all’Unione Europea e un pericoloso buco nella sicurezza dei confini, che aumenta anziché ridurre le incertezze per quell’area che resta ancora grigia nella cartina dell’Europa unita.

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Luciano Tirinnanzi