Armi chimiche Siria: i dubbi dello smaltimento in mare
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Armi chimiche Siria: i dubbi dello smaltimento in mare

Si fa strada l’ipotesi di smaltire l’arsenale chimico di Assad a bordo di una nave della marina americana. Ma portare a termine la missione non sarà semplice

di Rocco Bellantone

per Lookout News

La complessa questione della distruzione delle armi chimiche siriane potrebbe arrivare a una svolta tra circa quarantotto ore, quando i rappresentanti dei Paesi del Consiglio NATO-Russia si riuniranno per fare il punto sulla realizzazione della risoluzione 2118 delle Nazioni Unite.

La notizia è stata comunicata oggi dall’ambasciatore russo presso la NATO, Alexander Grushko, il quale ha spiegato che al vertice saranno fondamentalmente due i punti all’ordine del giorno che verranno affrontati: l’organizzazione della conferenza di pace Ginevra 2, annunciata per il 22 gennaio, e, per l’appunto, la distruzione dell’arsenale chimico del governo di Bashar Assad.
 
I riflettori saranno puntati soprattutto su quest’ultimo argomento, considerato che il termine fissato per la conclusione della missione congiunta ONU-OPAC, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, è il 31 dicembre, e che gli ostacoli da superare sono ancora molti.

Sinora, infatti, non è stata ancora trovata una destinazione per portare a termine l’ultima fase dell’operazione, vale a dire lo smaltimento delle sostanze tossiche in un luogo sicuro, dopo i falliti tentativi da parte degli Stati Uniti di affidare il compito a qualcuno dei Paesi membri della NATO (l’ultimo “no” in ordine di tempo è stato quello dell’Albania).

- Il piano degli Stati Uniti

Pochi giorni fa Ahmet Uzumcu, direttore dell’OPAC, ha affermato che sono in corso le valutazioni delle candidature di 35 compagnie private, che si sono proposte per portare a termine l’eliminazione completa dell’arsenale entro la metà del 2014. Nell’immediato, invece, l’opzione che si sta facendo strada per tenere in piedi il piano, faticosamente concordato con la Siria grazie alla mediazione della Russia, è quella avanzata dagli Stati Uniti, che hanno proposto di concludere il lavoro sulla nave della marina americana MV Cape Ray. Il programma consisterebbe nella messa in funzione, a bordo della nave, di un impianto di distruzione cellulare degli armamenti, che utilizza l’acqua per diluire le sostanze chimiche rispettando i necessari standard di sicurezza.

Tecnicamente il processo si chiama idrolisi, ossia una reazione chimica in cui le molecole vengono scisse in due o più parti per effetto dell’acqua producendo una reazione inversa alla condensazione. Secondo le stime, il procedimento dovrebbe produrre circa 7,7 milioni di litri di acque di scarico che, successivamente, verrebbero imballati in 4mila contenitori, il cui livello di tossicità può essere indicativamente paragonato a quello di molti altri comuni scarti industriali.
 
- Gli interrogativi sul processo di distruzione

Dunque le circa 1.300 tonnellate di sostanze tossiche raccolte in questi mesi dall’OPAC nei 22 dei 23 siti dichiarati dal governo siriano (l’ultimo era stato abbandonato da tempo), comprese circa 30 tonnellate di gas mostarda, potrebbero finire sulla MV Cape Ray ed essere processate in tempi relativamente brevi.

Oltre a questi aspetti tecnici, che teoricamente non dovrebbero presentare particolari insidie, vi sono però delle questioni logistiche da affrontare. Al momento ciò che si sa per certo è che i materiali e i contenitori che verranno utilizzati per l’imballaggio delle sostanze chimiche sono arrivati in Siria dal Libano. Una volta imballato, il carico (in totale circa 200 contenitori) dovrebbe essere trasportato entro un paio di settimane in un porto del Mediterraneo, probabilmente uno tra Latakia e Tartus.

E qui sorge il primo problema. Poiché nessuno sembra disposto a scortare il carico fuori dalla Siria, considerati i livelli minimi di sicurezza a causa della guerra civile in corso, si sta facendo strada la possibilità che a farsene carico alla fine potrebbe essere lo stesso esercito siriano. Questa ipotesi presenta, tuttavia, dei pericoli non sottovalutabili. Sono in grado le truppe di Assad di scortare i contenitori dai siti fino ai porti? I ribelli accetteranno di non sfruttare l’opportunità di attaccare i loro rivali? Come la comunità internazionale e l’ONU pensano di poter garantire il pacifico trasferimento di materiale così pericoloso in un Paese in guerra civile da più di due anni?

Un altro interrogativo riguarda poi la MV Cape Ray e l’opportunità che sia questa nave ad attraccare nel porto stabilito per caricare il materiale tossico. Per evitare possibili attacchi, qualcuno ha proposto di utilizzare piccole navi per traghettare il carico fuori dalle acque siriane e poi consegnarlo agli americani. Questa potrebbe essere una soluzione, nella speranza, ovviamente, che tutto il risultato del lavoro compiuto dall’OPAC in questi mesi arrivi intatto al momento della spedizione. Possibilità che rischia però di assottigliarsi ogni giorno trascorso dalla comunità internazionale senza arrivare a una decisione definitiva.

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