L'uomo che vuole la testa dei marò
Il partito del candidato premier Narendra Modi chiede la pena di morte. E il nostro ambasciatore l'ha incontrato in una missione commerciale - Video
Narendra Modi, il nazionalista indù che vuole il pugno duro sui marò, alle elezioni di maggio potrebbe diventare il premier indiano. Personaggio discusso, fino a marzo scorso era boicottato da Londra e Ue.
E Washington non gli concedeva il visto. Grazie ai pronostici dei sondaggi, quasi tutti sono andati a rendergli omaggio. Compreso l’ambasciatore italiano, Daniele Mancini, che ospita a Delhi Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trattenuti in India da quasi due anni.
Peccato che Modi usi toni molto duri verso gli «italian marines» (guarda qui il video dove Narendra Modi si scaglia contro il "trattamento di favore" concesso ai marò accusati dell'omicidio di "due pescatori che lavoravano per guadagnare il pane") e che il suo partito, il Bjp, abbia invocato la pena di morte per i due italiani accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati. Quando ai marò furono concessi i permessi per rientrare in Italia, Modi tuonò: «Il modo in cui viene condotta questa faccenda è un insulto al nostro paese». Non contento, lo scorso marzo, alla minaccia di mancato rientro dei fucilieri in India, infiammò l’opinione pubblica a colpi di tweet. Il mese dopo, la portavoce del suo partito, Meenakshi Lekhi, chiese che fosse applicata la legge antiterrorismo , il Sua act, «per cui l’omicidio è punito con la pena di morte» (il 20 gennaio il Times of India ha rivelato che il ministero degli Interni ha appena dato il via libera in tal senso).
Modi, 63 anni, ha debuttato nell’Organizzazione patriottica nazionale, formazione paramilitare indù (nel 1948 un ex membro uccise il Mahatma Gandhi). Al primo mandato da premier dello stato del Gujarat fu accusato di aver istigato un pogrom di musulmani che causò oltre mille morti. E in un comizio a settembre ha attaccato i «privilegi» dei marò sulla libertà provvisoria. Secondo Vinod Sahai, rappresentante degli indiani in Italia, «ora fa propaganda, ma è uomo pragmatico: se vincerà, risolverà il problema». Intanto, il 24 e 25 novembre, mentre il caso dei marò s’impantanava, Mancini guidava la missione italiana in Gujarat «nella prospettiva del rafforzamento della presenza economica-commerciale in India». E si faceva immortalare sorridente nello scambio di doni e fiori con il leader nazionalista.