Spandau Ballet a Roma - La recensione
Ufficio stampa
Musica

Spandau Ballet a Roma - La recensione

Tutto esaurito al Palalottomatica per la convincente esibizione del quintetto inglese. Annunciate altre tre date estive in Italia

Troppo spesso si parla, a proposito delle reunion delle band che hanno segnato con la loro musica i decenni scorsi, dioperazione nostalgia. Quest’ultima è un sentimento dolce-amaro, sospeso tra la piacevolezza del ricordo e la dolorosa constatazione di una mancanza. Niente di tutto questo ha caratterizzato il concerto degli Spandau Ballet al Palalottomatica di Roma, una vera e propria festa alla quale sono accorsi entusiasti 10.000 invitati.

Ciò che resta, nella musica, non sono le comparsate televisive, le copertine sui giornali, le scene di isteria collettiva, gli ascolti su Spotify o le visualizzazioni dei video su Youtube, effimeri parametri tanto oggi in voga, ma le canzoni.

Quando un brano supera il banco di prova dei venti/trent’anni e ancora suona fresco e attuale, si è verificato un piccolo miracolo. Ogni canzone che assurge a un classico diventa un puzzle nel complesso mosaico dei nostri ricordi e ogni trentenne e quarantenne di oggi ha un vivido ricordo legato a filo doppio a una canzone degli Spandau Ballet.

Il repertorio del quintetto inglese, che ci ha lasciato almeno quindici brani memorabili, è infinitamente superiore a quello delle boy band di oggi. Non a caso gli Spands (come vengono chiamati dai fan) non sono un gruppo costruito a tavolino da uno scaltro produttore per avere successo, ma un collettivo affiatato che ha calcato per anni piccoli palcoscenici prima di incontrare il successo mondiale.

Qualità che sono emerse anche ieri a Roma, dove la band capitanata da Tony Hadley ha chiuso il suo tour italiano di cinque tappe.

Il gong suona alle 21.10, con il recente singolo Soul boy scritto per il docu-film Soul Boys Of The Western World, inserito nell’ultima raccolta The Very Best of Spandau Ballet: The Story. La voce di Tony Hadley suona chiusa e coperta dagli altri strumenti, anche nella seguente Highly strung, il primo successo degli anni Ottanta a essere proposto.

Per fortuna qualcuno ha avvertito il banco mixer del problema e da Only when you leave abbiamo potuto apprezzare di nuovo tutta l'estensione vocale del cantante, che ha acquistato con gli anni più colori e sfumature. L’assolo di sax di Steve Norman, ricco di pathos e di intensità, è stato un tuffo al cuore per le numerose fan del polistrumentista.

Si abbassano le luci per la power ballad How many lies, dove Hadley sfoggia le sue doti da consumato crooner, crescendo di ritmo nel finale. “Grazie, grazie mille. Roma è la città che amo di più insieme a Londra”, dichiara sornione il cantante.

Si accende il maxischermo con alcune immagini tratte da Soul Boys Of The Western World, nelle quali il quintetto era nel fiore della gioventù. Il palco si illumina di luci dorate per accompagnare l’emozionante Round and Round, che regala i primi brividi della serata. “Ci piace vedere le immagini di quando avevamo 20-22 anni -sottolinea Hadley- e di quando anche voi eravate molto più giovani”.

Spazio ai nuovi singoli This is the love, dove si sente l'esperta mano del produttore Trevor Horn, e Steal, un midtempo che risulta un po’ datato nelle sonorità.

Grande entusiasmo suscita il funky bianco di Chant nr.1, che fa scattare in piedi le prime file del Palalottomatica, scandito dalla batteria di John Keeble e dalle percussioni di Steve Norman. La chitarra di Gary Kemp è in primo piano, così come il basso di Martin Kemp, che si produce nell’unico assolo del concerto.

Aumentano ancora di più i ritmi con il medley dedicato al Blitz, il locale di Londra dove hanno mosso i primi passi alla fine degli anni Settanta. Scorrono senza troppi sussulti Reformation, Mandoline Confused, mentre The Freeze è introdotta dall’accensione di una gigantesca mirrorball anni Settanta che trasforma la struttura dell’Eur in una grande discoteca, soprattutto quando arriva l’irresistibile To cut a long story short, il capolavoro del periodo electropop degli Spands. La canzone viene dedicata a Steve Strange dei Visage, scomparso recentemente, un grande amico della band.

E’ il momento di un colpo di teatro: mentre John Keeble, Steve Norman e Martin Kemp sono impegnati nel brano strumentale Glow, Tony Hadley e Gary Kemp salgono sopra un palchetto alla fine del parterre per attaccare a sorpresa la ballad Empty spaces, solo voce e chitarra, ripresi dagli smartphone degli increduli spettatori che si sono ritrovati a pochi metri di distanza dai loro beniamini.

"La prossima canzone è quella da cui è partito il nostro successo in Italia”, sottolinea Hadley per presentare I’ll fly for you, accompagnata dalle suggestive immagini di nuvole e cielo sul maxischermo.

Al termine del brano il cantante, con una birra in mano e un Jack Daniel’s nell’altra, presenta uno ad uno i membri della band, mentre Norman introduce Hadley soprannominandolo giocosamente “Topo Gigio”.

Gran finale con un poker di hit: Instinction, Communication, Lifeline e True. Quest’ultima viene cantata in coro dai 10.000 spettatori del Palalottomatica, un momento di grande emozione.

La band esce per riprendere fiato, giusto il tempo di una breve pausa. Nel bis cala un tris d’assi: l’intensa ballad Through the barricades, con gli smartphone  a simulare gli accendini degli anni Ottanta, caratterizzata da una lunga coda strumentale dove ogni musicista può mettere in luce le sue qualità, e le trascinanti Fight for ourselves e Gold, due autentiche scariche di adrenalina.

Dopo due ore gli Spandau Ballet salutano il pubblico, che applaude con entusiasmo l’eccellente concerto, una piacevole conferma del ritrovato affiatamento del quintetto.

Tony Hadley dà appuntamento al tour estivo con tre date italiane: il 6 luglio all’Arena di Verona, il 14 luglio alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma e il 16 luglio al Teatro Greco di Taormina.

“Cosa resterà degli anni Ottanta”, si chiedeva Raf in una delle sue canzoni più ispirate. Sicuramente le canzoni degli Spandau Ballet.

I più letti