Sanremo 2019, i duetti: il meglio e il peggio della quarta serata
Musica

Sanremo 2019, i duetti: il meglio e il peggio della quarta serata

Travolgenti Daniele Silvestri Manuel Agnelli e Rancore, Cristicchi-Meta e Bertè-Grandi. Per la giuria d'onore i migliori sono stati Motta e Nada.

La serata dei duetti è una delle più attese e potenzialmente divertenti del festival, una vera e propria festa in musica, ma anche un modo per apprezzare i brani in gara da un’angolazione inedita.

Federica Carta e Shade con Cristina D’Avena in Senza farlo apposta non aggiungono quasi nulla a quello che avevamo ascoltato nei giorni scorsi. Brano adolescenziale. Anche troppo. 

Motta & Nada in Dov’è l’Italia: beh, un merito indiscutibile di Nada è quello di rivitalizzare canzone e performance. Ma nemmeno lei può fare miracoli... Secondo la giuria d'onore la loro performance è stata la migliore in assoluto...

Irama con Noemi e Caterina Guzzanti, La ragazza col cuore di latta: vale quanto scritto sopra. Non bastano Noemi (e nemmeno un coro gospel) per risollevare questo pezzo. 

Effetto Liga: bella Luci d'America, ma il classico Urlando contro il cielo (dopo un'infinita gag con Bisio) accende il teatro e anche chi è davanti alla Tv. Un ricostituente nel segno del rock che culmina nell'incontro tra Ligabue e Baglioni sulle note di Dio è morto. Chissà se Francesco Guccini era sintonizzato...

Patty Pravo e Briga con Giovanni Caccamo in Un po’ come la vita: Patty è sempre Patty, ma non è facile darle la sufficienza dopo questa esibizione a tre. 

Negrita con Enrico Ruggeri e Roy Paci in I ragazzi stanno bene: fino ad ora l'incontro artistico meglio riuscito: si vede che i protagonsiti calcano i palchi da decenni...

Il Volo con Alessandro Quarta in Musica che resta: buona parte della crtitica li stronca, ma vanno forte nel mondo, sono tenicamente ineccepibii e a differenza di quasi tutti  quelli che li hanno preceduti emanano entusiasmo.

Arisa con Tony Hadley e i Kataklò in Mi fa stare bene: voci a fuoco, ritmo e senso dello spettacolo. Il primo vero lampo di entertainment arriva alle 22,20...

Mahmood con Gué Pequeno in Soldi: il sound contemporaneo irrompe sul palco, è forse questa la vera novità di Sanremo 2019. 

Ghemon con Diodato e i Calibro 35 in Rose viola: una performance soul funk jazz con due voci che funzionano. Quando mettersi insieme per fare musica ha un senso.

Francesco Renga con Bungaro ed Eleonora Abbagnato in Aspetto che torni: tutto formalmente perfetto e aggraziato. Ma come abbiamo scritto ieri, Renga all'Ariston ha interpretato pezzi molto più forti. 

Ultimo con Fabrizio Moro in I tuoi particolari: uno dei pezzi più classici e sanremesi del Festival. Piacerà e passerà molto in radio. Nulla di nuovo.  

Nek con Neri Marcoré in Mi farò trovare pronto: una parentesi di raffinatezza. Nek canta benisismo e Marcorè fa la sua parte. Intensi.

Boomdabash con Rocco Hunt in Per un milione: vanno in mezzo al pubblico e lo fanno ballare. Un po' di adrenalina e di energia non guastano alle 23,15.

The Zen Circus con Brunori Sas in L’amore è una dittatura: ecco un altro caso in cui l'unione fa la forza. Intriganti e potenti scuotono dal torpore che aleggia sulla serata. 

Paola Turci con Beppe Fiorello in L’ultimo ostacolo: tutto sommato era meglio la versione presentata in gara. La Turci ha classe e voce per fare da sola. 

Anna Tatangelo con Syria in Le nostre anime di notte: a volte, non bastano due belle voci per emozionare. 

Ex-Otago con Jack Savoretti in Solo una canzone: in poche parole l'esibizione, come il brano, non decolla.

Enrico Nigiotti con Paolo Jannacci e Massimo Ottoni in Nonno Hollywood: una ballad con qualche sprazzo di intensità. Stupende le espressioni di Paolo Jannacci al pianoforte. 

Loredana Berté con Irene Grandi in Cosa ti aspetti da me: energiche e determinate: la sala è tutta con loro. Boato e standing ovation.  

Daniele Silvestri feat. Rancore con Manuel Agnelli in Argento vivo: una spanna sopra tutti gli altri con una super performance che come unico difetto ha quello di essere andata in onda a mezzanotte. 

Einar con Biondo e Sergio Sylvestre in Parole nuove: strofe rap e melodia tradizionale. Passa e va senza incidere. 

Simone Cristicchi con Ermal Meta in Abbi cura di me: emozionano e incantano. Bravissimi. Non serve aggiugere altro. 

Nino D’Angelo e Livio Cori con i Sottotono in Un’altra luce: una commistione di stili che non dispiace: moltomeglio ditanti altri in gara. 

Achille Lauro con Morgan in Rolls Royce:il gran finale nel segno della complicità tra citazioni rock and roll e attitudine trap-punk. Tra troppo e troppo poco. 

IANSA/RICCARDO ANTIMIANI
Rancore, Manuel Agnelli e Daniele Silvestri

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Gianni Poglio