#hiphopanorama - Primo: "Il mio microfono d'oro insieme a Tormento"
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#hiphopanorama - Primo: "Il mio microfono d'oro insieme a Tormento"

Il rapper dei Cor Veleno presenta il suo nuovo progetto musicale raccontando la crescita umana e artistica frutto di un'esperienza pluridecennale nella scena hip hop italiana

Tra gli artisti più apprezzati dell'underground italiano non si possono dimenticare i Cor Veleno, collettivo romano composto dai rapper Primo Brown e Grandi Numeri e dal dj Squarta. Dopo una carriera ormai ventennale che li ha portati in giro per i palchi di tutta Italia l'ispirazione e la voglia di stupire ancora non mancano. Panorama.it ha intervistato in esclusiva Primo in una chiacchierata tra passato e futuro dove l'artista romano ha anche raccontato i retroscena di "El micro de oro", nuovo progetto discografico che lo vedrà al microfono insieme all'ex membro dei Sottotono Tormento.

Stai lavorando ad un disco con Tormento che si chiamerà "El micro de oro", come è nata questa collaborazione e quali saranno le tempistiche?

Prima di tutto io e Tormento siamo amici nella vita. Ci siamo conosciuti nel 2002, tempi d’oro per i Sottotono e i Cor Veleno. Oltre i rispettivi repertori abbiamo iniziato a fare cover di pezzi americani per studiare come l’italiano potesse stare in metrica e suonare meglio, più simile alla fluidità dell’americano. Poi ci siamo accorti che nei locali suonavano le nostre cover al posto dei brani originali, è stato un successo. Lo scorso anno abbiamo fatto un live insieme a Treviso e da li abbiamo deciso di dare il via a questo progetto. Crediamo che sarà pronto per la primavera, di sicuro prima faremo altri estratti video come il primo: “Mantenere”. Da quando io e Torme abbiamo riscoperto il palco insieme, è venuto da sé volere finalmente mettere una pietra in comune lungo il percorso. Un microfono è il simbolo di quello che ci accomuna da sempre, ed è d'oro, perché è prezioso come quello che c'è di più umano nella musica che suona in profondità.

Nel primo singolo estratto "Mantenere" parli di cose vere, quali sono per te?

Quando ho scritto quel pezzo mi è venuta in mente la mia famiglia, le persone che nonostante tutto sono sempre rimaste al mio fianco in tutti questi anni. Maturando e cambiando è fondamentale avere un bagaglio umano che ti permetta di fare il punto della situazione con lucidità. Nella terza strofa parlo degli amici, della voglia di mantenere i rapporti, una cosa che ad ora non so più come si fa, per una serie di motivi. Tuttavia ho 36 anni e mi rendo conto che tutti adesso stanno mettendo su famiglia, nel mio cellulare ho più foto di figli dei miei amici che di donne. Ma per come la vedo oggi, la mia famiglia sono io. La prima strofa invece è più intima, ma trapela comunque il filo conduttore di tutto il brano, la voglia di non intaccare le cose vere della vita, di non falsarle.

Questa golden age dell'hip hop italiano lascia sempre più intendere che non esista solo mainstream ed underground ma anche una fascia intermedia tra le due realtà di cui anche te fai parte, cosa ne pensi?

L’Italia è in differita di 15 anni ma tutto quello che sta succedendo nella scena hip hop è splendido. Esistono un sacco di nuove generazioni che si danno da fare già con un approccio molto talentuoso e di ricerca, ancora poco professionale, ma spesso mi sorprendono davvero. Questo permette a tutto il movimento di avere più forza, più qualità, più mezzi. Non c’è solo il mainstream e l’underground, esistono realtà di mezzo che sanno difendersi. Questo grazie anche ad un pubblico di riferimento che prima mancava. Per questo bisogna dire grazie anche a tutte le realtà del main che arrivando in alto non hanno dimenticato e snobbato le origini. Mi riferisco ai vari Dogo, Marracash, Fabri Fibra, Cor Veleno, Articolo 31, Mondo Marcio, Frankie, Sottotono, Colle Der Fomento, Neffa e Deda, Flaminio Maphia, e tutti quelli che l'hanno fatto nel loro momento storico, e l'Hip Hop ha riconosciuto il loro contributo.

Si sogna di fare musica per vendere ma poi si finisce ad essere spaventati dal termine "venduto", come lo spieghi?

Spesso i fan si sentono traditi dalle scelte di un artista. Ma l’artista è prima di tutto una persona. Io ho avuto un’esperienza in Sony diversi anni fa e non è stato facile, ma sicuramente utile e necessario. Prima cercavano di cambiare i cantanti rap per farli vendere di più, ora invece hanno capito che devono investire sul “pacchetto completo”. Quando i miei fan mi dicono “non mi deludere” io spero che siano loro per primi a non deludere loro stessi. La verità è che gli artisti possono cambiare, maturare e fare scelte diverse. Una carriera è un percorso parallelo alla vita, non si può impostare a tavolino. Anzi si può, ma io non ci riesco.

Spesso nella musica si parla di compromessi ma nei tuoi testi hai sempre faticato a farli. Come è nato il testo di "Cantano tutti"?

Su questo argomento ho “litigato” con tanti amici. Scendere a compromessi non è mai stato il mio forte, non riesco a fare un pezzo per questo o quest’altro pubblico. Riesco solo a gettare inchiostro per raccontare le mie verità, i miei punti di vista, le mie riflessioni. Quel brano ne è un chiaro esempio. I compromessi quotidiani sono molto più infami e subdoli di quelli richiesti dal music business, quindi nella musica cerco di tenermi una via di fuga, per farne meno possibile.

Vieni da Roma, una città che è cambiata molto da quando hai iniziato a fare questa musica. Cosa ti manca della Roma di vent'anni e fa e cosa ti piace di quella di oggi?

Roma è cambiata tanto in vent’anni. Quando ho iniziato era difficile fare musica, gli studi erano pochi e professionali ma quando chiedevi di mixare le tracce con il suono hip hop ti ridevano in faccia. Adesso è cambiato tutto, nella capitale ci sono decine e decine di realtà. Tanti studi professionali improntati alla musica hip hop dove registrare brani di qualità. Si lavora alla grande, c’è integrazione, voglia di fare, emergono artisti nuovi con tanta rabbia e ambizione. Tutto questo a fare da contrasto con la qualità della vita normale, che invece è in picchiata verso il fango. Le nuove generazioni almeno cercano di reagire come possono.

Se dovessi scegliere un film per descrivere la tua vita che film sarebbe?

Sono un appassionato di cinema, dopo la musica è uno dei miei hobby preferiti. Se fossi un film sarei “The Game” con Michael Douglas. Spesso mi sento come in un gioco di ruolo, quel film mi calza a pennello.

Tu hai tanti fan ma di chi è che sei fan?

Adesso non mi sento fan di nessuno ma lo sono stato eccome. Ero letteralmente impazzito per Jovanotti, che era l'unico con Albertino a suonare il rap in radio. Sul finire degli anni ’80 andavo al Teatro delle Vittorie per aspettarlo. Lui registrava le puntate di Fantastico e veniva dai primi dischi rap, o quella specie di cosa che lui sapeva fare. E’ stato proprio fuori dal teatro che ho conosciuto Grandi Numeri ed è stato Lorenzo a fare indirettamente da collante tra alcune delle prime realtà hip hop. Tramite lui abbiamo conosciuto altre zone di Roma dove c’erano breaker, dj, rapper. Fino a poco tempo prima ci sentivamo alieni invece abbiamo scoperto di essere in tanti, dai centri sociali alle posse, dai breakers di Galleria Colonna, i tempi di Babilonia, negozio storico di Via del Corso, primo fulcro della fine degli anni 80, fino a Piazzale Flaminio e molto altro ancora. Lorenzo si esaltò per il brano “Le guardie, i pompieri e l’ambulanza” e i Corveleno finirono in tour con Jovanotti, registrando anche con lui il brano “Cose pericolose” per il disco “Buon sangue”. Adesso siamo amici, lo sento almeno una volta al mese. Ora sta vivendo una bella esperienza negli Usa. Aveva iniziato qualche anno fa con esibizioni in qualche piccolo locale e ora si sta ritagliando sempre più spazio oltreoceano.

Nel brano "Ferragosto Hate" racconti che la tua prima rima è stata scritta nel giugno del 1988. E' vero? Te la ricordi?

Me la ricordo. Era una rima contro i pariolini, il modo romano di chiamare i fighetti. Ogni città ha i suoi pariolini e la mia prima rima era contro di loro. Adesso mi viene da ridere perché ho tanti amici pariolini ma all’epoca era stato il mio primo scorcio di rivolta. Non l’avevo neppure registrata, era nata così. La mia prima rima: dopo quella non ho più smesso.

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Matteo Politanò