Omar Pedrini: la mia nuova vita ricomincia da Londra
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Omar Pedrini: la mia nuova vita ricomincia da Londra

Dopo una pausa di otto anni, l'ex leader dei Timoria torna alla ribalta con un album inciso tra l'Inghilterra e Brescia, che mescola rock classico e suoni psichedelici

Per chi ama il rock italiano (e più in generale gli artisti che hanno sempre avuto qualcosa da dire) il ritorno sulla scena di Omar Pedrini è un'ottima notizia. Dopo un paio d'anni di lavoro, l'ex leader dei Timoria ha appena presentato il suo nuovo album di inediti, Che ci vado a fare a Londra?, preceduto dal singolo omonimo. Una canzone nata dalla collaborazione tra il rocker bresciano e Michael Beasley, leader della band inglese The Folks. I due si sono conosciuti a Londra nel quartiere generale della Ignition, l'etichetta di Noel Gallagher, e hanno composto una doppia versione: oltre a quella in italiano, c'è anche quella in inglese intitolata semplicemente London.

 

Gli ospiti celebri non finiscono qui: al progetto hanno collaborato infatti anche il rapper Kiave (Jenny, scendi al fiume), Ron e Dargen D'Amico (Gaia e la balena) e i Modena City Ramblers (Nonna quercia folkband). A completare il tutto c'è poi una guest star davvero prestigiosa: il poeta Lawrence Ferlinghetti, una leggenda della Beat Generation che a 94 anni presta la voce (nel senso letterale del termine, declamando i versi del testo) al brano Poetry as insurgent art. Il risultato di questo team eterogeneo è un disco stimolante, che mescola influenze psichedeliche e rock vecchia maniera, atmosfere londinesi e nebbie padane, esprimendo al tempo stesso l'amore di Pedrini per le proprie radici e per la vita.

Allora, Omar, finalmente sei tornato in studio.

«Ho ricevuto molti attestati di stima, ma non esageriamo: a forza di parlare di me come di un pioniere del rock di casa nostra, non vorrei ritrovarmi in bacheca».

Sembra passato un secolo da quando nel 2006 presentasti «Pane burro e medicine».

«Mi ero operato da poco al cuore, e in pratica ho fatto quell'album solo con il computer, ancora steso a letto. È stato il mio modo per ricominciare a vivere; stavolta invece ho potuto suonare, godermi lo studio fino in fondo senza risparmiarmi».

Perché l'album ha un titolo così curioso?

«Sembra scherzoso, ma non lo è affatto. È la domanda che mi sono fatto, quando mi sono reso conto che in Italia, per me, molte porte si erano chiuse: in sostanza, per incidere ho dovuto fare l'emigrante. Per fortuna ne è valsa la pena: ho lavorato con musicisti di alto livello».

Per te è appena cominciata una seconda vita: ti sei sposato da poco, hai una bambina di nove mesi...

«A volte la vera rivoluzione è ricominciare a vivere. Nel mio passato non sono mancati gli eccessi, ma io non ho mai voluto distruggermi: al contrario, volevo vovere a trecento all'ora. E oggi, anche se la salute mi ha dato molti problemi, sento lo stesso grande amore per la vita, la natura e il nostro pianeta».

Un aspetto importante dell'album è la tua voglia di impegnarti per salvaguardare quello che chiami il pianeta blu, la nostra Terra.

«È l'unico che abbiamo, e lo stiamo distruggendo. Si pensa solo a fare la guerra, ma l'unico conflitto che ha davvero ragione di esistere è quello contro l'inquinamento».

Un altro elemento quasi palpabile è la dichiarazione d'amore per il Garda e la tua terra (Pedrini è nato a Brescia, ndr).

«Sono contento che sia emerso: per me è una fonte incredibile di serenità, di emozione. Mia madre, botanica, mi insegnava da bambino ad abracciare le piante quandoe ero triste, e ancora oggi girare per le vigne, riconoscere gli odori, ascoltare la natura è per me fondamentale».

Una voglia di normalità che si ritrova anche nelle storie che racconti.

«Sono storie semplici, di vita quotidiana, che a volte sono più affascinanti di un copione di Hollywood. Come il mio incontro con Nina, una signora ottantenne che vive dalle mie parti. L'ho vista che girava per strada, senza meta: aveva perso la memoria e credeva di essere una bambina. Una persona di una dolcezza meravigliosa...»

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Alberto Rivaroli