Moreno, "Stecca", l'intervista
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Moreno, "Stecca", l'intervista

Il vincitore di "Amici di Maria De Filippi 12" oltre il talent show. Il giovane freestyler della casata Donadoni, dall'underground alla major è arrivato per due settimane primo in classifica con il suo album d'esordio. Sarà pure piccoletto, ma ha le spalle già grosse

Sono le sei del pomeriggio, è una giornata di promozione piuttosto intensa per Moreno, oggi. Stecca arriva al primo posto in classifica per due settimane e siamo certi dominerà la top 10 per molto tempo.

Lui è lo stesso che il 9 febbraio 2013 spunta a "Amici 12" e in pochi mesi scombina ogni nostra certezza. Entra da pecora nera e alla fine vince a mani basse. Ha portato il rap in prima serata conquistando anche il pubblico adulto. Moreno, quello che è tutto un sorriso, oggi è serissimo: ha voglia di parlare di musica. E noi, finalmente, glielo permettiamo.  

La cosa che mi ha colpito di più di tutto il tuo percorso a Amici, è il fatto che hai potuto cantare il 50% del tuo disco in tv. Non è una cosa da tutti, nemmeno a Sanremo o in altre edizioni di "Amici" c'è stata una tale opportunità.
"Il risultato forse più gratificante per me è stato alla fine non cantare più solo le cover per suonare pezzi miei. Solo finendo il disco per tempo avrei potuto cantare i miei brani live durante il programma. Mi sono imposto di lavorare in modo veloce ma non troppo veloce per non scrivere qualcosa che non mi piacesse. È stata una sfida nella sfida perché nel frattempo per il serale avevo ancora tante cose da preparare".

Tra l'altro abbiamo visto disperarti per una cover di Emis Killa!
"Era un momento difficile. In America questo tipo di cose è una consuetudine a cui noi italiani, semplicemente, non siamo abituati. Lì lo chiamano tributo e qui invece suona come se fosse una cosa di minor valore, ma ti assicuro che quando vai a vedere nomi come Snoop Dogg, loro prendono e cantano 2Pac. In Italia se fai una canzone di un altro rapper è visto come un fake".

Non ho mai avuto considerazioni negative su questo, anzi, era necessario e in fondo anche importante "scomodare" i grandi nomi o i nomi nuovi del rap. Non ti nego che al posto tuo, non sarei mai uscito dallo stato di panico.
"Che poi è quello che è successo a me. Ma alla fine dopo una vittoria del genere e con tutto quello che sta succedendo ora, direi che non mi posso assolutamente lamentare. E forse, non lo farebbero neanche altri colleghi nei miei panni. Qualcuno, rispetto al mio percorso di questi mesi, si è anche ricreduto".

Quindi hai avuto dei "Mah" che sono diventati dei "Bravissimo"?
"Hai voglia! Ho preferito di gran lunga avere a che fare con persone coerenti che hanno mantenuto la linea della diffidenza, rispetto a chi ieri mi puntava il dito e oggi mi riempie di complimenti. Adesso, diciamocelo tra di noi, è anche facile".

Lo dici anche nel disco: ringrazio chi ha "davvero" creduto in me.
"L'esempio lampante è quello dei fan. Ci sono un sacco di ragazzi che mi seguono da tempo e mi seguirebbero anche in cima al mondo. Quando entri nel contesto delle gare di freestyle e poi cambi un po' strada, cerchi altre opportunità, ti abbandona e non è un normale allontanamento perché, per esempio, hai fatto un disco brutto. È un allontanamento di concetto che non capisco. Poi ci si lamenta che non si riesce ad emergere e difendere il genere. Non lo capisco proprio".

Anche Fabri Fibra è uno di quelli che divide il pubblico ma guarda dov'è ora. Volevo capire cosa rappresenta per te artisticamente, visto che hai lavorato con lui per questo esordio.
"Credo di poter dire che è il massimo fenomeno che l'Italia ha avuto modo di vedere nell'ambito del rap. Non si sa come, ha il potere di fare un tormentone dietro l'altro, ha un modo di scrivere e fare canzoni ipnotico. Basti pensare a "Ring Ring", a chi verrebbe in mente di elaborare un testo in cui si passa da "La base col rap" a "La base corre" ripetuto in quel modo? Geniale. Vedevo delle persone molto lontane dal genere anche solo nello studio di Amici che non riuscivano più a togliersi quella canzone dalla testa. È incredibile".

Spero che la stima nei confronti della sua musica non si limiti al suo successo commerciale.
"Ho ascoltato un bel po' di pezzi degli Uomini di mare, ho seguito da fan il suo evolversi, non sono uno di quelli che dice che una cosa era meglio prima. Anche lui, come dovrebbe fare chiunque, è cambiato. Ha fatto una gavetta dura con almeno sette e otto anni di underground. Per poter fare musica di successo, bisogna arrivarci con l'esperienza e con il tempo".

Quando ti ho visto all'edizione uno di Mtv Spit, mi hai colpito perché non hai detto nemmeno una "parolaccia". E nel disco ce ne sono al massimo un paio. Insomma, è un'anomalia. 
"C'è la possibilità che abbia perso a Mtv Spit perché non ho detto abbastanza parolacce (ride). A parte gli scherzi, sono uscito a testa alta, J Ax mi ha fatto i complimenti quando sono uscito dalla gabbia e mi ha dato delle opportunità. Quando l'avversario inizia a fare delle rime in cui parla solo di tua madre come se fosse una porno attrice, mi riferisco all'amico Fred De Palma, la differenza rispetto al mio stile diventa più evidente".

Tra l'altro le parolacce vengono bippate, i contenuti sono liberi ma le "volgarità" esplicite vengono filtrate.
"So che ci sono delle regole televisive, ma in realtà non sono molto d'accordo su questo perché il risultato è che alla fine non si capisce bene cosa il freestyler stia dicendo, ti perdi, non capisci se facendo bene o male. Ho visto da poco qualcosa di questa edizione. Ha vinto Shade giusto?" 

Sì, tra l'altro ha vinto sovvertendo ancora una volta gli stereotipi del rapper alto, massiccio, iper tatuato e con la faccia da bad boy.
"Spesso si fa di un'erba un fascio. Alcuni pensano ancora che il rap sia ancora solo una faccenda della strada con la collanazza e la macchina molleggiata. Un modo di rappresentare il rap che richiama un mondo che non è il nostro. Tra l'altro con Shade credo di aver fatto la mia prima sfida di freestyle a Genova".

Ma torniamo a noi. Perché lo fai, perché sei così educato? Perché? Non me lo spiego.
"Credo che sia stato un naturale processo di maturazione. A 16 anni quando ho cominciato a fare freestyle, c'era gente che lo faceva da 10 anni e lo stereotipo dell'insulto pesante e esplicito era molto diffuso, così come lo è stato sempre in America. Insomma, il fatto che si parli in un certo modo è un po' la regola".

Quindi?
"Quindi ho capito che insultare era una cosa talmente usurata da diventare banale. Parto dal presupposto che se mia madre sentisse arrivare certe frasi da alcuni di questi colleghi e amici, una bella cucchiaiata sulle mani alla vecchia maniera se la prenderebbero. Ho visto che nei miei freestyle posso essere più creativo se non passo da quei territori e che ogni volta che uso le parolacce, queste hanno una forza più incisiva. Ma è stata una cosa naturale, come il mio carattere. Così come ognuno deve poter decidere che personaggio essere, Salmo in questo è un maestro negli ultimi anni, è un ragazzo che fa dei numeri incredibili".

Ho scoperto che hai collaborato al disco di Paola&Chiara con il brano «Tu devi essere pazzo» in tempi non sospetti.
"È curioso perché ci siamo incontrati quando di tutto quello che mi sta succedendo ora non ne sapevo proprio niente. Quando mi hanno inviato la canzone io ho detto loro che ho un tatuaggio di un matto con una camicia di forza, il mio braccio destro è quello della pazzia dove ho molti dei miei tatuaggi che sono un po' dedicati al tema della follia. Ci siamo incontrati, loro le conoscevo già molto bene perché sono sempre state un po' le regine dell'estate con i loro brani dance come 'Vamos a bailar'. Vedendole dal vivo ti accorgi proprio di come siano diverse e abbiano due personalità completamente opposte. Davvero carine loro e il pezzo sembra sia venuto bene".

Quando si arriva al mercato discografico, perché si smette un po' con le gare di freestyle? Ho sempre pensato che per il freestyler fosse come uno sport a cui non si riesce a rinunciare facilmente.
"Perché si fa uno scalino in più. È stato uno step anche per me. Chi lo fa o lo ha fatto è poi più completo nella sua disciplina, questo è indubbio. Ma a un certo punto, quel tipo di discorso non può più giovare tanto a quello che stai facendo nella tua carriera. La mia visione personale è che è meglio lasciare spazio ai nuovi nomi, ma non escludo di poter fare freestyle nei live, magari con degli ospiti. A questo credo di non poter rinunciare mai ed è anche quello che il pubblico si aspetta. Vincere i contest sono delle bandierine che metti all'inizio del tuo percorso, ma arriva un momento, come questo, in cui li metti alle spalle e vai oltre". 

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Alessandro Alicandri