Lauryn Hill live in Roma - La recensione
Musacchio e Ianniello
Musica

Lauryn Hill live in Roma - La recensione

Tutto esaurito alla Cavea dell'Auditorium per il concerto della diva americana, tra luci e ombre

E' stato bello, ma è un peccato perchè poteva essere indimenticabile. E' questo, in sintesi, il nostro giudizio sull'atteso concerto di Lauryn Hill, una delle migliori cantanti black degli ultimi vent'anni, autrice nel 1998 del capolavoro The Miseducation of Lauryn Hill, vincitore di 5 Grammy Awards, 18 milioni di copie vendute nel mondo.

Un album che abbiamo amato e consumato negli anni, di cui  avremmo voluto ascoltare un maggior numero di canzoni (alla fine della serata saranno solo 3), che resta l'unico disco di inediti dell'ex Fugees,  a parte l'intenso live acustico Mtv Unplugged No. 2.0.

La cantante di East Orange ha fama di personaggio dal carattere assai difficile e problematico(un addetto ai lavori ci ha confidato che "è più ingestibile di Loredana Bertè"), non si contano le volte in cui ha annullato concerti all'ultimo momento per non meglio precisati "motivi di salute", mentre nessuno mette in dubbio le sue straordinarie doti di interprete, eccellente sia nel cantato che nel rap.

Già alle 21 la Cavea dell'Auditorium, dove non c'era neanche uno strapuntino libero, ribolliva di entusiamo per uno dei concerti più attesi dell'estate. Bisognerà però aspettare ancora un'ora per l'ingresso trionfale della cantante e della sua numerosa band, con undici elementi in totale.

Tutto il pubblico è già in piedi, c'è un entusiasmo febbrile e tutte le condizioni per regalare una serata indimenticabile ai 3.700 spettatori, tra cui numerosi cantanti(abbiamo intravisto, tra gli altri, Giorgia, Marco Mengoni, Roy Paci, Diodato e Adriano Viterbini). Lo sarà soltanto in parte.

Fin dalle prime battute la cantante appare nervosa e tesa, continua a riprendere i musicisti, in particolare il bassista a cui va tutta la nostra solidarietà, per non parlare del tecnico del suono, che ieri sera ha trascorso due ore di passione.

Ora, che un'artista del suo calibro richieda la perfezione è giusto, ma non abbiamo mai visto, prima di ieri, una professionista che non fa che lamentarsi in continuazione con ciascun componente del (valido) gruppo, con gesti plateali e stizziti.

Un nervosismo che veniva percepito anche dagli spettatori, che invece erano in fremente attesa di un saluto, di un ringraziamento o del consueto "Ciao Roma" che in genere non si nega a nessuno. Nulla di ciò.

Per un'ora assistiamo a uno spettacolo abbastanza surreale, nel quale la cantante alterna la sua splendida voce, accompagnata dall'inseparabile chitarra, a evidenti gesti di disapprovazione nei confronti dei poveri musicisti. Alcuni, dopo essere stati ripresi, guardano il collega vicino e sorridono, come si fa quando si viene ripresi da una vecchia zia un po' pedante.

Come se non bastasse, l'audio all'inzio è confuso e sbilanciato sul basso, che tende a coprire gli altri strumenti. I volti interdetti dei nostri vicini di concerto sono rivelatori che qualcosa non sta andando per il verso giusto.

Dopo un'ora tutt'altro che indimenticabile, basata in buona parte sui brani di Mtv Unplugged No. 2.0. e alcune cover, come Love is stronger than pride di Sade, Lauryn si alza dalla sedia e con essa si alza improvvisamente il livello della serata.

"Buonasera Roma, come va?" è la prima frase che esce dalla sua bocca. Il cambio di marcia arriva con Lost ones, brano d'apertura del suo album-capolavoro The Miseducation of Lauryn Hill, che dà finalmente il via alla festa.

Seguono nell'entusiasmo generale altre due hit mondiali come Fu-gee-la dei mai dimenticati Fugees e la romantica Killing me softly, cavallo di battaglia di Roberta Flack, proposta in una versione più funky e ricca di groove di quella dell'album del 1996.

Ecco il momento reggae, con un omaggio al suo ex suocero Bob Marley(la cantante è separata da 3 anni dall'ex marito Rohan Marley, figlio di Bob Marley. a cui ha dato 5 figli) negli inni Jammin', Is this love e Could you be loved, inframezzate da un omaggio a Stevie Wonder, che al padre del reggae dedicò la sua magnifica Master blaster.

La voce della cantante, finalmente libera dalle paure e dal nervosismo inziale, è libera di dispiegarsi in tutta la sua notevole estensione ed è una gioia ascoltarla al massimo delle sue possibilità.

Lauryn dà un saggio della sua potenza ed eleganza in Feeling good di Nina Simone, per chiudere il concerto con l'emozionante Zion e con l'esplosiva Doo Wop(That thing), dove i musicisti mostrano tutte le loro qualità e gli spettatori ballano e cantano come se non ci fosse un domani.

Dopo due ore di concerto, Lauryn si rimette il cappello, da vera diva, saluta e se ne va.

Resta in bocca un sapore dolceamaro, di una serata deludente nella prima parte ed esaltante nella seconda.

Rimane però la soddisfazione di aver ascoltato dal vivo una cantante che, se riesce a far pace con i fantasmi del suo turbolento passato, non ha rivali per voce, songwriting, intensità ed esplosività.

Chissà come si comporterà il 20 luglio a Lucca, per la seconda e ultima data italiana del tour. Una cosa è certa: con Lauryn Hill la noia è bandita.

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Gabriele Antonucci