Jake Bugg: per sfondare non serve un talent show
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Jake Bugg: per sfondare non serve un talent show

Diciotto anni, tanto talento e una discreta dose di sfrontatezza, viene descritto dalla critica musicale di tutto il mondo come il nuovo Bob Dylan

"Quando hanno smesso di suonare le cornamuse, ho capito che toccava a me. Mi sono trovato a cantare a 2 metri da Karl Lagerfeld (il direttore creativo di Chanel, ndr) davanti a un parterre di modelle meravigliose. Una notte di pura magia". Ne ha ricevuti tanti di applausi Jake Bugg all’evento fashion del 2012, la sfilata Métiers d’art di Chanel andata in scena nel castello di Linlithgow, a pochi chilometri da Edimburgo, in Scozia. Era lui il performer prescelto per una serata epocale, tra lusso, eleganza e suggestioni del passato (a Linlithgow è nata Maria Stuarda).

Diciotto anni, tanto talento e una discreta dose di sfrontatezza, Bugg viene descritto dalla critica musicale di tutto il mondo come il nuovo Bob Dylan. Un paragone da brividi su cui ama glissare spesso e volentieri. "Si fa presto a dire Dylan. Ognuno è figlio del suo tempo, i confronti sono funzionali ai media, ma non hanno senso. Ho deciso che cosa avrei fatto da grande davanti a una puntata dei Simpson. A un certo punto è partito Vincent, un brano di Don McLean (storico autore americano di molti hit, tra cui “American pie”, cantata anche da Madonna, ndr) e mi ha folgorato".

Così giovane e così rétro, il ragazzo di Nottingham è a un passo dal diventare una superstar. Lo dicono le recensioni entusiastiche del suo primo e omonimo disco e lo dice il primo posto nella classifica inglese degli album più venduti. Un traguardo conquistato con una manciata di brani che hanno il suono e l’atmosfera del Village di New York nei primi anni Sessanta, quando il quartiere era la casa di Dylan e di tutta la scena folk rock.

"Evidentemente, nella vita ho una missione: tenere lontano dalla vetta delle classifiche le schifezze che spuntano dai talent show musicali" ama dire, incurante delle email e dei tweet che lo sommergono di insulti. "Sei soltanto uno str... snob" scrivono i più educati tra i fan di American Idol e X Factor. Ma lui fa spallucce e tira dritto. "Li lascio sfogare, in fondo mi divertono. Per anni i miei compagni di scuola hanno cercato con ogni mezzo di convincermi a partecipare ai talent. Che, indubbiamente, sono una scorciatoia per la classifica, ma dal mio punto di vista il prezzo era ed è troppo alto. Più che di interpreti, la musica ha bisogno di gente che prenda la chitarra in mano e scriva grandi canzoni. Ricantare in televisione solo quel che è già stato famoso è claustrofobico e anche un po’ noioso".

Sull’onda del successo in patria Bugg è stato spedito in America a fare gavetta come supporter dei concerti solisti dell’ex Oasis Noel Gallagher. «Una bella prova di resistenza e autocontrollo» racconta. «Potevo scegliere di godermi la popolarità a casa e invece mi sono avventurato negli States dove non mi conosce nessuno e suono in teatri semivuoti alle 7 e mezzo di sera. Non solo, a 18 anni in America l’alcol è un miraggio. Così, dalle mie richieste per il camerino, ho dovuto cancellare pure la birra. L’ho fatto senza battere ciglio: nessuno potrà accusarmi di essermi comportato da diva».

"Sei un giovane vecchio" gli scrivono i detrattori, ovvero suoi coetanei per cui la musica è prima di ogni altra cosa un ritmo sincopato. Ma lui non si scompone. Anzi, ogni volta che può ricorda a tutti chi sono gli eroi del suo pantheon personale: "I Beatles, Jimi Hendrix, Bob Dylan, Elvis Presley e, se parliamo di calcio, Pelé, il più grande fuoriclasse di tutti i tempi". Manca solo la televisione in bianco e nero, verrebbe da dire. "In ogni caso preferisco la radio" replica. Per non smentirsi.

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Gianni Poglio